domenica 25 maggio 2025

GIORNATE INTENSE AL CORSO DI BRASILIA

 




Ciao a tutti e tutte!

Vi scrivo al termine di una settimana che con un termine gentile definisco “intensa”, ma con cuore reggiano posso dire “pesante”, caratterizzata da lezioni ed incontri (chiaramente in portoghese) che hanno riempito le nostre giornate, senza lasciarci molto respiro. Ne vale la pena, anche perché sono le ultime settimane e visto che ora iniziamo a capirci qualcosa, vanno vissute intensamente, ma non posso negare che alla fine la testa è proprio stanca… É una fatica che non conoscevo: vivere in un ambiente ove capire e parlare è un impegno, ove il collegamento fra l’interiorità del cuore e della mente e l’espressione nelle parole (ed anche nei gesti) non è spontanea, ma chiede una mediazione laboriosa e non sempre coronata di successo. Fino ad ora potevo dire: non conosco la lingua, mi tiro fuori e pace…; ora che conosco (poco) il portoghese non posso più dirlo, comincio a mettermi dalla parte di chi vuole e deve capire e parlare ed è un impegno grande. È chiaro che non posso evitare di pensare agli amici egiziani coi quali ho vissuto a Campegine ed a tutti i nuovi italiani che vivono in mezzo a noi, che per anni vivono questa fatica e spesso senza gli aiuti necessari, ma anche a tutte le persone con difficoltà comunicative ed a chi non ha gli strumenti culturali per poter dire e “potersi” dire… 
Guardo con una certa preoccupazione anche ai giovani partecipanti al nostro corso, che ancora non sono religiosi e sono stati mandati qui a fare il loro cammino di formazione: Mingh e Dingh che vengono dal Vietnam, Francisco che viene dal Togo, altri che sono già un po’ più strutturati di loro, ma ancora giovani. Penso ai giramenti di testa e di cuore che io vissi negli anni di formazione in seminario e nei primi anni di ministero: grazie a Dio avevo vicino formatori e uomini di fede capaci di capire anche le parole che non riuscivo a dire… Loro come faranno a parlare della loro interiorità con formatori e con un popolo del quale conoscono appena la lingua e che non conosce la loro cultura, i loro significati, il loro modo di vivere la fede?.. mah… Ci sono scelte anche all’interno della chiesa che mi lasciano per lo meno perplesso… 
Penso anche ai nostri dialoghi “normali” fra italianissimi e cristianissimi: forse tante volte diamo troppo per scontato di capire quello che ci viene detto e non mettiamo in dubbio le nostre interpretazioni. Abbiamo sempre bisogno di imparare la lingua dell’altro.




Nella nostra struttura questa settimana abbiamo anche avuto un corso di formazione sulla missionarietà per preti provenienti da tutto il Brasile. Fra questi “ospiti” si notava uno con uno strano cappellino in testa, tipo vescovo o papa, che non concelebrava. Un po’ casualmente mi sono trovato a parlare con lui, che ha un ottimo italiano perché è stato in Italia alcuni anni. Ho così scoperto che lo strano copricapo era una kippà ebraica: di nazionalità israeliana (lui dice “israelita”), è uno dei pochissimi giudeo-cristiani esistenti. Cosa significa “giudeo-cristiano”? Non è un ebreo diventato cristiano abbandonando l’ebraismo (non avrebbe più la kippà), ma un ebreo che rimane nella fede ebraica e crede che Gesù è il Figlio di Dio, che ha salvato il mondo. Erano così anche gli Apostoli, Paolo ed i primi cristiani: ebrei che continuavano a frequentare il tempio e la sinagoga e si riunivano per l’Eucaristia. Solo in conseguenza della cacciata da parte degli altri ebrei, questa forma primitiva di cristianesimo cessò. Quindi, un cristiano come lo erano i primissimi crsistiani.
Essendo lui israeliano, o israelita che dir si voglia, non ho potuto evitare di chiedergli qualcosa sulla situazione di Gaza. La risposta mi ha raggelato: “noi siamo sempre stati in guerra, ho cinquant’anni ed ho visto stragi di migliaia di uomini delle quali non ha parlato nessuno… l’unica differenza di Gaza e che se ne parla… e poi Gaza non è né Palestina né Israele…, per noi è lontana”. 
Bello essere Ebrei, bello essere Cristiani, ma sarebbe più bello essere innanzitutto uomini.

Questa settimana ho fatto un’ultima cosa, che dice che sono molto in forma: ho fatto una bella brontolata, ma con tono razionale e garbato, direi quasi “alla brasiliana”. 
Dopo aver rimuginato dentro, cosa che fa piuttosto male, mi sono deciso ed ho parlato con i responsabili del corso. Di cosa? Non certo dell’accoglienza, che è ottima, e nemmeno della scuola o della formazione, che è di buona qualità: ho parlato della chiusura dell’ambiente in cui siamo, perché può succedere che anche in un ambiente missionario si viva distanti dal mondo e da quanto avviene. Qui succede un po’ questo: non c’è un giornale, non di parla mai del mondo esterno e di quanto sta avvenendo, non c’è una preghiera dei fedeli che ricordi le situazioni attuali… La stazione marziana di Musk sarebbe più vicina al mondo reale.
Anche un ambiente missionario, anche una parrocchia, può avete un grande impegno per se stesso e per assolvere i propri compiti, ma senza avere l’apertura del cuore che guarda il mondo con le sue speranze e grandissime sofferenze e le mette davanti al Signore. 
Mi ha fatto piacere il fatto che ho trovato un ascolto sincero ed interessato: loro hanno assunto l’incarico da poco e stanno pensando alla forma che vogliono dare a questa preziosa esperienza. Quindi la brontolata potrebbe essere servita.

Mi fermo qui: mi riposo un poco, perché anche le prossime settimane saranno intense. Ringrazio sinceramente il Signore per quello che sto vivendo, perché l’incontro con tante realtà e culture è un dono riservato a pochi, ed io sono uno dei pochi (però lo siete anche voi, se guardate alle culture che vivono nei nostri paesi e provate ad incontrarle un po’)

Vi lascio le foto di due notturni di Brasilia ed aggiungo il filmato di un diurno di Gaza: mi sono proposto di usare questo gruppo solo per parlare del Brasile e cerco di tenere fede a questo proposito, ma non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo immane disastro che ci succede davanti.

Il Signore ci accompagni!
d. Paolo

domenica 18 maggio 2025

LA MISSIONE SIETE VOI

 



Ciao a tutti e tutte,

oggi vi scrivo dalla casa di Ana e Gilberto, la coppia che ci aveva ospitato a Pasqua: ho presieduto la Messa nella loro comunità e loro hanno cantato "Resta qui con noi" facendo l' ultimo ritornello in italiano. L'ospitalità brasiliana è veramente da manuale...

Vengo da una settimana molto intensa e la prossima sarà uguale: scuola ed incontri mattina e pomeriggio, con relatori che danno per buono che ormai il portoghese scorra nelle nostre orecchie come acqua di un torrente... Un po' scorre, ma sul percorso ci sono ancora diverse dighe!

Vi racconto due cose, che portano ad un medesimo obiettivo.

Abbiamo fatto due giornate con una religiosa psicologa, che penso ci abbia riassunto in una dozzina di ore il contenuto dei suoi corsi universitari. La quantità di contenuti è stata notevolissima ed anche un po' pesante da digerire, perché ci siamo trovati davanti tutti i problemi e le perversità affettive e sessuali possibili sintetizzate in alcune slides: un esame di coscienza fatto a martellate che non poteva lasciarci indifferenti. Tra l'altro ci ha anche ammonito di stare attentissimi nella relazione con le situazioni LGBTQUA+, perché la legislazione brasiliana ha portato la tutela a livelli quasi estremi ed è molto facile ricevere una denuncia per discriminazione (e visto che la chiesa ha soldi la tentazione di chiedere risarcimenti è molto forte...); la cosa significativa è però che anche una legislazione così non ha aiutato una vera integrazione. La legge non cambia i cuori, serve l'amore: in ogni campo ed in ogni situazione.

La cosa più rilevante dei due giorni è però stata il messaggio centrale che la relatrice ci ha voluto lasciare e che ha guidato tutta l' esposizione: la missione siete voi ed il vostro stile di relazioni . Non le opere che faremo, le chiese che potremo costruire, la sontuosità delle nostre liturgie, ma la nostra umanità e la capacità di intessere relazioni vere e mature. Da Gesù in poi, il Vangelo passa da lì. Lo abbiamo appena ascoltato: "questo è il mio comandamento, che vi amiate come io vi ho amato", il resto (opere, chiese, liturgie...) è in funzione di questo. Da qui la necessità, per tutti e per noi missionari in particolare, di curare la nostra umanità nella relazione con Dio e nell'impegno per una maturazione personale.



L' altro momento molto rilevante è stato la visita al Congresso Nazionale (la nostra Camera) ed al Senato del Brasile, nello stupendo edificio che è uno dei capolavori dell'architetto Oscar Niemeyer (quello con le due cupole, una verso il basso ed una verso l'alto). Tutto molto rigoroso, con ineccepibile formalità e davvero bello. Abbiamo dovuto visitare un po' in fretta il Senato (nella cupola verso il basso): alle 10 iniziava un plenaria non deliberativa e mancavano pochi minuti. Quando siamo arrivati, un senatore ci ha cordialmente salutato, poi è arrivato il presidente ed alle 10.03 ha dichiarato l'inizio della seduta plenaria... alla presenza del solo senatore che ci aveva omaggiato. Uno su ottantuno, il relatore.

Anche la democrazia, come la missione, si fa con la maturità e la serietà delle persone; anche la democrazia e la libertà si fa con l'amore. Se non c'è quello, tanto le grandi cattedrali come gli i bellissimi edifici statali non servono molto.

Una cosa bella é che nell'aula i posti dei senatori, che sono tre per ognuno dei 27 stati della federazione, sono divisi per stato e non per appartenenza politica: quindi il senatore della sinistra si trova seduto al fianco del senatore della destra dello stesso stato. Forse questo può aiutare ad un dialogo più civile, perché il "diverso" é al mio fianco, non dall'altra parte dell'emiciclo.

Infine, siamo passati dalla Piazza dei tre Poteri, con il palazzo del Presidente, quello del Congresso e Senato, quello del Tribunale Supremo della Federazione. La trovate sotto in una foto panoramica ove i tre edifici appaiono affiancati, ma in realtà sono su tre fronti della piazza; nel quarto c'è la bandiera ed il Monumento ai Caduti.



Passando da qui é inevitabile ricordare l'ultimo tentativo di Colpo di Stato del 8 gennaio 2023, quando dopo l'elezione del Presidente Lula una folla assalì i palazzi provocando molti danni (avevano preso esempio dagli Stati Uniti...). É un ferita che qui ancora sanguina, anche perché i processi sono tutt'ora in corso e con molti fronti aperti. Il Brasile è una democrazia debole, uno stato nato dalla colonizzazione con élite civili e militari che non hanno mai veramente accettato la democrazia e detengono un forte potere mediatico ed economico.

Mi fermo qui. La sintesi è che é inutile cercare di nasconderci dietro ad infrastrutture: il Vangelo e la libertà passano inevitabilmente per la nostra umanità e la nostra conversione e maturità è il primo compito. Del resto è la strada che ha scelto Dio: non si è fatto Superman, né supermacchina, né superpotenza. Si è fatto uomo debole e mortale, in tutto come noi, e così ci ha salvati.

 

Il Signore ci accompagni sempre!

 

d. paolo

 

 

sabato 10 maggio 2025

trenta missionari di diciotto paesi e quattro continenti

 



Ciao a tutti e tutte.

Vi scrivo alla fine di una settimana molto normale e molto speciale.

Lo “speciale” lo intuite da soli, con l’elezione di Papa Leone che segnerà il cammino della chiesa – ed in parte dell’umanità - nei prossimi anni. “Ti piace il nuovo Papa?”, “Non ti piace il nuovo Papa?”, “Come vestirà il nuovo Papa?”, “Che macchina userà il nuovo Papa?”, “Dove abiterà il nuovo Papa?”…

È così: in questi giorni abbondano le banalità ed il bisogno di conferme immediate, di qualcosa che ci dica che il “nuovo Papa” è come lo vogliamo o è diverso, che possiamo amarlo come l’amato Francesco o odiarlo come l’odiato Francesco…

Credo che la domanda più opportuna invece sia: come ci disponiamo davanti al nuovo Papa? Con quale capacità di accoglienza stiamo davanti a lui? Saremo capaci di accogliere le cose che non ci piacciono o non entrano nelle nostre idee – e quindi sono utili per la nostra conversione – come un’occasione per purificare la nostra fede ed il nostro modo di essere chiesa? Saremo capaci di accogliere le cose più vicine alla nostra sensibilità come uno stimolo per un rilancio purificato, che vada al di là degli aspetti di contorno e colga sempre più il nucleo profondo del nostro cammino cristiano? Oppure diremo, come i discepoli di Gesù nel Vangelo di oggi: “questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”… abbiamo già le nostre belle idee, progressiste o conservatrici o mezze e mezze o nulla di tutto, perché fare la fatica di andare oltre e di cambiare? (vedi Gv 6,60)

 


Scrivo questo stimolato dall’esperienza che sto vivendo in queste settimane qui a Brasilia, guardando alla comunità con la quale sto condividendo il cammino di formazione. Siamo più di trenta missionari di diciotto paesi e quattro continenti (manca l’Oceania, anche se la Indonesia vi confina): credo che sia un’esperienza unica e difficilmente ripetibile.

Cosa posso dire di questa esperienza “mondiale”? Tante cose, ma vi risparmio e ne dico solo una: la grande esperienza di “differenza” all’interno del mondo missionario.

Noi (intendo noi italiani e reggiani) abbiamo una nostra idea di missionario, legata in parte alla nostra esperienza ed alla nostra situazione.

Abbiamo l’idea di un missionario che “va ad aiutare” e “fa delle cose”, anche perché siamo una chiesa ricca e generosa: quando dici che sei italiano la prima cosa che gli altri pensano è che hai dei soldi e puoi usarli…

Abbiamo l’idea di un missionario che “è avanti”, che ha una immagine di chiesa “profetica” e che pensa e realizza cose che noi “chiesa vecchia” che è in Italia non riusciamo a pensare e realizzare.

Abbiamo l’idea di un missionario che “si sacrifica” e va a vivere in situazioni difficili rinunciando a tante comodità che in Italia può avere e che quindi è un po’ “eroico”.

Ebbene, posso annunciarvi che sono tutte idee molto “nostre”… e che, grazie a Dio, la realtà missionaria è molto molto molto più variegata. Non dico che le nostre idee siano sbagliate, ma è importante cogliere che sono “idee” e sono “nostre”, e quindi non vanno assolutizzate.

Di fatto qui la nostra composizione è molto variegata: vi è chi ha un interesse vivo per l’aiuto ai poveri e chi non nasconde la tensione ad una vita sufficientemente agiata, chi peggiora la propria condizione economica – abitativa e sociale e chi la migliora, chi ha una forte coscienza ambientale e chi getta il cibo o mescola i rifiuti, chi ha interessi che guardano al mondo e chi mi chiede se l’Italia è in America (ma anch’io ho sperimentato di non conoscere bene la geografia asiatica…), chi vive un intenso spirito missionario e chi legge il proprio trasferimento come l’invio in una filiale all’estero, chi ha un atteggiamento “progressista” e chi “conservatore” e chi è progressista a livello ecclesiale e conservatore a livello sociale o l’opposto… Insomma, c’è di tutto.

Non si può negare che per un certo numero di persone la vocazione missionaria è legata semplicemente al fatto che nella loro parrocchia avevano religiosi missionari o con case in diverse parti del mondo (sono cose diverse) e che quindi hanno fatto il loro cammino vocazionale con quella congregazione religiosa anziché con altri.

 


Dico questo non per screditare o togliere valore, anzi! La chiesa è bella nella sua varietà.

Racconto questo per invitarci ad avere una mentalità aperta, capace di cogliere ed apprezzare anche queste realtà nella loro complessità. Altrimenti restiamo chiusi nelle nostre quattro idee e non vediamo la Grazia di Dio che opera fra noi. Ad esempio: anche nelle nostre diocesi abbiamo religiosi, religiose e preti provenienti dall’estero, che sono fra noi per diverse ragioni: li consideriamo “missionari” come noi italiani che partiamo per l’estero, o semplicemente “stranieri” capitati fra noi e che devono adattarsi ai nostri costumi?

 

Termino con due piccoli avvenimenti sul tema:

- alcune persone mi hanno visto mentre scrivevo per voi ed ho spiegato loro che per noi missionari diocesani il contatto con la chiesa di provenienza è importante, perché attraverso noi tutta la nostra chiesa deve sentirsi missionaria. Erano stupiti di una cosa per loro nuova, ed hanno apprezzato molto!

- qui a Brasilia abbiamo conosciuto un missionario Pavoniano di Brescia ora ottantenne, che è qui da cinquant’anni. Rispondendo al carisma pavoniano ha fondato e fatto crescere un grande istituto che segue soprattutto bambini e ragazzi sordi e muti ed ora anche ragazzi autistici. Una cosa davvero bella, con più di cento dipendenti ed un’alta professionalità.

Con il sorriso ironico di chi ha imparato ad inghiottire molti rospi, ci ha confidato: “visto il lavoro che faccio (di tipo dirigenziale e professionale) ci sono ancora persone che dicono che io non sono un missionario…”.

Quando ci si ferma alle proprie idee, si perdono tante occasioni di Grazia…

 

Ho parlato della nostra comunità: vi saluto con le foto di alcuni momenti di festa che ci hanno accompagnato!

 

d. paolo

 


domenica 4 maggio 2025

VISITA AL QUILOMBO MESQUITA

 



Paolo Bizzocchi


Ciao a tutti e tutte!

Vi avevo raccontato del particolare rapporto fra S. Giovanni Bosco e Brasilia, che da una parte dice la forte religiosità del popolo brasiliano, dall’altra il valore quasi mistico dato a questa strana città dai suoi fondatori. Segno concreto di questa relazione è il grandioso santuario dedicato al Santo, situato nella parte centrale della città: una enorme parallelepipedo composto per la maggior parte di vetrate bleu ed azzurre, che creano un’atmosfera veramente surreale. Nella cripta, un’urna raffigurante d. Bosco contiene una preziosa reliquia: l’osso radio, ovvero l’avambraccio, destro di S. Giovanni. Quindi quella parte del braccio con la quale benediceva e dava l’assoluzione dai peccati ogni giorno a molti dei suoi giovani: quasi una richiesta di benedizione e perdono su questa grande città dalle tante contraddizioni.



La cosa più rilevante della settimana è stata però la visita che abbiamo compiuto al QUILOMBO MESQUITA, a circa 40 km dalla città (si pronuncia “chilombu meschita”: in portoghese “qu” corrisponde al nostro “ch” e la “o” finale si legge “u”). 
Di cosa si tratta? I Quilombo sono gli insediamenti che dal 1700 nacquero in luoghi piuttosto isolati ad opera degli schiavi africani che erano riusciti a fuggire o che per qualche motivo avevano ottenuto la libertà. Con la graduale cessazione della schiavitù qui si trasferirono anche parte degli ex schiavi, dando vita a comunità che nei secoli hanno conservato etnia e tradizioni dei popoli africani. La maggior concentrazione di queste centinaia di insediamenti si trova nel nord est del paese, compresa la Bahia (ove i nostri missionari furono per decenni ed ancora si trovano le Case della Carità e d. Luigi Gibellini), ma in gran parte del Brasile è possibile incontrare queste comunità. Nella zona dell’alta Amazzonia ove siamo noi, invece non esistono, perché il lavoro forzato era affidato alle popolazioni indigene, senza il ricorso agli schiavi africani. 



Del Quilombo abbiamo visitato due luoghi. Innanzitutto la chiesa parrocchiale: nonostante non vi sia un parroco fisso, ma solo frati che vengono a celebrare la Messa, ci presentano una comunità molto viva ed unita, che vive con entusiasmo la fede (quando siamo arrivati stavano facendo Adorazione). Poi, una casa storica appartenente ad una delle famiglie centrali della comunità ove Sandra, che riveste chiare funzioni di leadership, inizia a narrare. Innanzitutto vi è una grande foto dei suoi nonni, che nel 2006 dopo un laboriosissimo e difficile iter riuscirono ad ottenere il certificato federale che attestava l’esistenza del Quilombo e la sua estensione: lui aveva 97 anni e lei 102 e prima di morire poterono vedere il risultato della fatica di una vita. Sandra ci parla del valore che quella terra ha per la comunità, delle piantagioni centenarie, di un legame di sangue con la storia familiare, della produzione della “Marmelada”, fatta con il frutto del “marmelo” con una ricetta attestata da almeno 150 anni. Parla tanto anche del razzismo al quale ancora oggi le popolazioni afrodiscendenti e di classe sociale bassa sono sottoposte in diversi modi, nonostante la presidenza Lula sia stata e sia per loro un sostegno importante (ad esempio, per la possibilità di posti gratuiti all’Università per i redditi inferiori). 



Poi parla di “resistenza”… e qui la voce si fa più dura: incalzata dalle nostre domande, ci spiega che vi sono grandi gruppi imprenditoriali che vogliono impossessarsi delle loro terre per renderle edificabili ed espandere la città. Dai dati riportati su internet (puoi vedere: https://www.bbc.com/portuguese/brasil-44570778 ) ricavo che l’impresa che sta minacciando il loro Quilombo appartiene ad un ex presidente ed ha quindi forti appoggi politici. Non si tratta solo di questioni di carta bollata: non molto tempo fa la rappresentante di un altro Quilombo è stata uccisa per una vicenda simile. Lei stessa confessa di avere paura, come altri nella comunità; ma il legame con la terra, con l’eredità dei padri, con le tradizioni degli antenati e con la comunità attuale è così forte da portare ad una grande determinazione nella lotta per i propri diritti e la propria esistenza.



È un’idea bella e positiva di “patria” della terra dei padri: non il patriottismo becero di chi chiude le frontiere e sarebbe disponibile anche ad uccidere per difendere i “sacri confini”, ma un legame di amore che porta ad un impegno solidale anche a rischio della propria vita, non con urla e violenze, ma producendo marmellata, facendo studiare i figli e lottando per il rispetto di una legalità valida per tutti e non solo a favore della classe dominante.

Arrivati a casa, una religiosa mi dice: “il Brasile è veramente una realtà complessa”. Si, veramente… per questo è un dono grande poterlo vivere.

d. Paolo

lunedì 28 aprile 2025

FRANCESCO CONTINUA A FARCI INCONTRARE

 





Ciao a tutti e tutte!

Finita la celebrazione del Triduo, siamo tornati nella routine feriale di scuola, studio, servizi, preghiera, amicizie… anche se in un clima molto particolare e sospeso, con papa Francesco che continuava a guidare la chiesa ed a sollecitare il mondo dalla sua cassa mortuaria. Non so come l’avete vissuta voi, ma questo radunarsi di tanti capi di stato delle più diverse fatture attorno alla sua tomba, da molti criticato come “teatrino… ipocrisia…” e via dicendo, io l’ho letto come realizzazione del sogno di Francesco di farli incontrare e parlare, magari un po’ spiazzati e spogliati delle immagini, spesso poco gradevoli, che si sono costruiti ed in funzione delle quali agiscono. Se il famoso incontro di Zelensky e Trump su due seggiole appoggiate lì in mezzo a S. Pietro, senza nessun orpello, portasse a qualche risultato per i popoli dell’Ucraina e della Russia, credo che Francesco dal cielo farebbe salti di gioia per averli fatti incontrare con la sua morte; in un qualche modo si realizzerebbe ancora l’involontaria profezia di Caifa in Gv 11,50: “è conveniente che un solo uomo muoia per il popolo”. 


Come l’abbiamo vissuta qui la morte di papa Francesco? 

Perdonatemi se, non avendo molti fatti da raccontare, scrivo soprattutto dei ragionamenti… 

Devo dire che per me è stata una cosa un po’ strana, perché in molti dei partecipanti al corso non ho sentito una partecipazione particolarmente sentita a quanto stava avvenendo. Nelle donne – una sposa e tutte le altre consacrate – la morte di Francesco è stata maggiormente sentita, ma in diversi uomini – preti o frati o in formazione, tutti di istituti missionari tranne noi tre italiani – in misura minore. Forse non apprezzavano Papa Francesco? Ho avuto anche questo cattivo pensiero, e forse per qualcuno potrebbe anche essere vero, ma poi ho cercato di andare un po’ più in profondità. 

Credo che un fatto sia che a parte noi tre preti italiani e due sposi filippini, tutti gli altri sono religiosi di istituti missionari. 

Cosa significa? Significa che per me, d. Alberto e d. Giuseppe è morto un padre, come avviene quando viene a mancare il vescovo. Poi questo padre può piacerci o può essere per noi una figura contrastante, può essere un padre dal quale ci sentiamo accompagnati e incentivati o un padre dal quale ci sentiamo abbandonati e castrati… ma è un padre. 

Per noi diocesani – preti, e laici - la chiesa ed il nostro ministero ha questa forma essenziale, che è quella originaria: una comunità che ha nel Vescovo la figura di Gesù Pastore e nel Papa il vincolo di unità che ci dona un’apertura mondiale ed una tensione alla comunione. È questa e non altro.

Per un religioso la chiesa è questo ed è anche altro: è il suo istituto, è il santo o il fondatore di riferimento, è la specificità del suo carisma… Per questo può risultargli più connaturale che “morto un papa se ne fa un altro”, perché al di là del fatto istituzionale i suoi riferimenti sono anche (a volte soprattutto) altri. È un po’ quello che avviene anche in diversi movimenti ecclesiali, a volte con forme più cariche dal punto di vista affettivo e di appartenenza.

Non so se quello che sto scrivendo – soprattutto dal punto vista teorico - è tutto vero, ma di certo nella vita pratica non è tutto falso… Proprio oggi parlando con un giovane religioso gli ho chiesto: “da voi sul futuro papa si dice qualcosa? No, no, siamo impegnati con l’elezione dei nostri superiori…”


Una cosa bella è che sabato mattina dopo la Messa per il Papa abbiamo piantato un albero in sua memoria: una Jabuticaba, che è una pianta tipica molto robusta, che con il clima adatto produce frutti simili all’uva tutto l’anno: un po’ come Papa Francesco, che di frutti ne ha dati tanti.



Per chi ha pazienza, vi dico anche una cosa nuova su Brasilia. Abbiamo fatto una lezione con un po’ di storia della città e c’è un particolare che dice molto dello spirito brasiliano.

Brasilia venne edificata – nel suo nucleo – nel tempo record di cinque anni, dal 1955 al 1960: una fretta “politica” che costò la vita a molti lavoratori. L’idea della sua realizzazione era però molto precedente ed aveva l’origine nella necessità di spostare la capitale da Rio de Janeiro ad una località più lontana dal mare per ragioni di sicurezza militare. 

La cosa “curiosa”, che dice molto dello spirito religioso brasiliano, è che la prima indicazione sulla scelta del luogo per costruire la nuova città venne fatta in base ad un sogno di S. Giovanni Bosco, fatto nell’agosto del 1883: sognò di essere in America Latina, fra il 15° ed il 20° parallelo, e di vedere li un luogo che sarebbe divenuto “una terra promessa”. In questa fascia di terreno il governo brasiliano cercò e trovò il luogo per costruire la città, che da subito assunse S. Giovanni Bosco come suo patrono. 

Questo fatto, unito all’utilizzo di architetture avveniristiche, portò ad una concezione quasi “mistica” di Brasilia, come città del futuro e cuore di una umanità ad nuovo livello di sviluppo. La realtà fu ben diversa, perché pochi anni dopo l’inaugurazione, nel 1964, il governo trasferito a Brasilia fu occupato dall’esercito ed il sogno si trasformò nell’incubo di vent’anni di dittatura militare.

I sogni sono belli, ma vanno presi con attenzione –anche quelli dei santi -, perché il mondo creato e voluto da Dio trova pienezza solo nel terreno più concreto e quotidiano dell’amore…


Il Signore accompagni il nostro cammino pasquale!

d. Paolo


sabato 12 aprile 2025

AUGURI DI PASQUA DA BRASILIA

 



Ciao a tutti e tutte!

Continuo il mio viaggio in questa “città strana”, con il portoghese che timidamente sta iniziando a prendere un po’ di forma (con scivoloni evidentissimi…). Questo sta rendendo possibile la comunicazione fra noi corsisti e nel dialogo emergono cose belle: è un gruppo con una grande ricchezza umana e di fede.

La “città strana”, Brasilia. Domenica sono salito al terrazzo della Torre della TV (una mini-torre Eiffel), da dove ho potuto vedere e fotografare parte della struttura di questa città costruita a tavolino. Da qui nascono due storie, che hanno accompagnato un po’ questi giorni.

La prima la collochiamo dal lato rivolto al centro della città: i giardini, la Biblioteca nazionale, il Museo e la magnifica Cattedrale, tutti i ministeri e gli uffici amministrativi, le ambasciate, il Parlamento… fino alla residenza del presidente, il Palácio da Alvorada (Palazzo dell’Alba). Tutto armonico, con una rete di superstrade cittadine che indirizzano il traffico.  Tutto (apparentemente) perfetto.




Poi, ieri con un amico camminavo su una di queste strade, per raggiungere la libreria delle Paoline. Passando sotto un ponte lui mi ha fatto notare alcuni fori nei cassoni di sostegno della strada, sulle rampe di salita: passando la mattina presto lui stesso aveva visto persone uscire da questi fori. Poveri che per dormire hanno “fatto casa” nel cassone di cemento sotto il manto stradale. Nella stessa occasione aveva visto diverse persone che la notte dormono in tendine nei parchi, e la mattina presto smontano tutto e se ne vanno, per tornare la notte seguente. Segni di questi “accampamenti” li avevo visti anch’io nei viali alberati (molto belli) che scorrono fra le superstrade. Una altra cosa che mi ha colpito è stato vedere in pieno centro molte persone con cartelli “compro oro”: la situazione è chiara, l’oro si vende e compra dove da una parte ci sono debiti da sanare, dall’altra denaro sporco da ripulire…



Tutte queste cose, unite alla prostituzione notturna delle ragazze ed al carattere decadente di diversi palazzi, dicono una cosa chiara: Brasilia è una città con molte povertà, che però devono rimanere nascoste. È la città del Presidente, dei Ministri, dei capi del potentissimo Esercito, delle diverse autorità, dei monumenti futuristici e dei mega shopping con prezzi europei. Dietro a tutto questo però vive una rete di povertà che deve rimanere invisibile, nascondersi nei cassoni stradali o ripiegare le tende la mattina per non deturpare il bel paesaggio. Brasilia non ha favelas, ma è molto peggio: la favelas è una comunità ricca di umanità, qui pare che tutto avvenga nel nascondimento ed in una terribile solitudine che amplifica la povertà.

Torniamo alla Torre TV. Guardando dalla parte opposta mi si è aperto il cuore, perché ho visto quello che pareva un mercato all’aperto, un posto dove va la gente normale. Sono andato subito a vedere. Nella prima parte c’è realmente uno stupendo mercato di artigianato con box all’aperto. Ma l’insieme colorato che più mi aveva attirato era ben di più: da tutto il Brasile stavano arrivano indigeni per una grande manifestazione di una settimana, per farsi conoscere, incontrarsi e discutere, marciare nella città ed andare al Parlamento e dal Presidente per rivendicare il loro ruolo ed i loro diritti. In tutto sono arrivate circa 12.000 persone, alcune anche da S. Antonio do Iça, ed almeno 6.000 hanno marciato. Nella settimana sono tornato un paio di volte in questo ambiente colorato ed un po’ caotico.




Ma non si è trattato di folklore, perché le questioni sono reali e gravi. Il titolo era “Per il clima e l’Amazzonia la risposta siamo noi”: la necessità di essere riconosciuti e sostenuti per il ruolo fondamentale che, come popolazioni indigene, svolgono nella difesa e nel mantenimento della foresta amazzonica e delle tradizioni ad essa connesse. La foresta amazzonica è un bene per tutta l’umanità e le popolazioni indigene ne sono la custodia e la tutela.

Non si tratta di folklore. In settimana mi è capitato di ascoltare in internet un giovane storico, tra l’altro afrodiscendente, che contestava la scuola brasiliana perché insegna ai bambini che il territorio brasiliano è stato “occupato” e depredato dai portoghesi. Nella sua visione si tratta di un insegnamento fuorviante, non perché il territorio fosse vuoto, ma perché le popolazioni indigene erano “primitive” e prive di una forma statuale, quindi senza diritti sul territorio ed i suoi beni. I portoghesi avevano tutto il diritto di prendere l’oro ed altro, perché non essendoci un’autorità locale sul modello delle autorità europee nessuno era proprietario di nulla. 



Si tratta di un’equazione terribile, forse parzialmente comprensibile in un passato che non aveva coscienza storica, ma che non può certo giustificare i massacri avvenuti nel sud e nord America, come in Africa o altrove; sarebbe come dire che i nazisti non hanno colpe per il massacro degli ebrei, perché per la loro coscienza gli ebrei non erano uomini. 

Inoltre, è chiaro che questo storico parlava del passato per parlare del presente, per affermare che anche oggi le tribù indigene non hanno di fatto diritti sui territori della foresta e che questi possono essere sfruttati secondo gli interessi dei gruppi politici ed economici. La storia ritorna, e siamo sempre chiamati a scegliere da che parte stare.

Vi auguro una Settimana Santa ricca di provocazioni, che aiuti ad entrare nel mistero della Passione e Risurrezione avvenute una sola volta in Gesù, ma sempre presenti nella storia dell’uomo, anche oggi. Il Signore ci aiuti a contemplarlo crocifisso nei popoli massacrati della Palestina, dell’Ucraina, del Congo e di altre nazioni colpite dalla guerra, nel popolo dimenticato di Myanmar ed in tutti i popoli colpiti da disastri naturali e da povertà, nelle famiglie colpite da improvvisi licenziamenti dovuti a politiche economiche voraci, in tutti i sofferenti: solo così la Luce della Risurrezione potrà avere per noi un significato vero e potente.


domenica 6 aprile 2025

I SEGNI DELLA PASQUA

 




Gabriele Carlotti

Un saluto dal grande fiume, ora é davvero grande, proprio in piena e l'acqua penetra in tutti i luoghi. La foresta é allagata e i pesci sono spariti dal letto del fiume, la pesca é difficile e anche in città il pesce scarseggia. Ma dove sono andati? Anche loro in foresta, fra le radici degli alberi per nutrirsi della frutta che cade abbondante. Beati loro, sfuggono ai pescatori e mangiano bene. Così potrebbe essere anche l'Umanità, lontano dai predatori che per interessi meschini uccidono e fanno guerre commerciali per favorire quella maledetta fabbricazione di armi, che dopo la droga é il più grande giro di soldi. In verità qui non ci facciamo mancare niente, la droga corre libera, la violenza cresce ogni giorno e le autorità costituite lo sono solo per i propri interessi. 

Poveri pesci! Costretti a nascondersi per sopravvivere. É difficile parlare della Pasqua, eppure siamo circondati da molti segni: l'acqua abbondante, la gratuità dei frutti della foresta che chiedono solo di essere raccolti, i molti animali che abitano la terra e che sono sempre una risorsa in tempi difficili. In Amazzonia non si muore di fame, si muore per droga, alcool, violenza, ingiustizia e oppressione; tutte cose che dipendono dagli uomini, e anche questo fa riflettere. In questa Quaresima abbiamo riflettuto sulla bontà della Creazione e sul fatto che tutto, mondo vegetale, animale e umano, tutto sia molto intrecciato e interdipendente. A noi, all'Umanità é affidato il compito di prendersi cura del Creato. A noi é lanciata la sfida di vivere in armonia. Anche gli astri ci rassicurano, ogni giorno il sole si pone e nel giorno seguente sorge per dare vita. Anche la luna compie il suo corso, diminuisce fino a scomparire, per poi compiere il cammino inverso fino a tornare ad essere piena. Così è la Pasqua, luna piena che rischiara la notte e permette al navigante di trovare e non perdere la strada di casa. "Padre, mi disse il cassique di São Vicente, qui é molto buono per vivere, qui Dio non ci lascia mancare il cibo, l'acqua e la tranquillità"; poi ha aggiunto: "purtroppo sono apparsi pirati che rubano e squartano le persone per impadronirsi delle loro cose, sempre in cerca della droga che da denaro, allora dobbiamo unirci e fermare questa onda di violenza, per i nostri figli, perché torni la tranquillità". Anche questo é Pasqua, non rassegnarsi al male della violenza e delle armi, ma lottare per la tranquillità delle nuove generazioni, prenderci cura del futuro della vita. 



La Pasqua, il passaggio dalla morte alla vita, ci dice che c'é sempre una speranza, c'é sempre qualcosa di nuovo che farà risorgere la vita. L'invecchiamento dei paesi europei sarà salvato dai giovani immigrati, non si può fermare l'acqua che cresce, lei entra ovunque. Il disgregarsi di tante famiglie troverà ancora, nell'amore e nella cura dei figli, un suo senso, che si aprirà a nuove unioni e nuove esperienze fino ad incontrare la stabilità così difficile e sempre ricercata. Anche la religiosità dovrà abbracciare l'umanità, in nome di Colui che ha scelto di farsi uomo. Senza rigidità e senza giudizi, ma nella ricerca del bene possibile. Pensiamo all'incoerenza del fatto che un prete può sposarsi, se lascia il sacerdozio, ma un divorziato no, deve aspettare la morte della prima compagna. Due pesi e due misure che non aiutano a ritrovare la speranza dopo un fallimento, molte volte non cercato. Anche i giovani non aspetteranno più i trent'anni per sposarsi, rimanendo ognuno a casa sua, ma apprezzeranno il dono e la forza della giovinezza al servizio di una paternità e maternità naturale e non sofisticata. I popoli originari dell'Amazzonia ci insegnano la virilità della giovinezza, e la vita che nasce é sempre un dono e una possibilità nuova, spesso aiutata dal clan famigliare e mai abbandonata. Anche questo é Pasqua. 



Non permettiamo che la notte e la rassegnazione ci scoraggino, la luna continuerà a crescere fino ad essere piena, allora in quel Venerdì Santo potremo specchiarci nell'acqua cristallina dei ruscelli, e vedendo il nostro volto avremo la certezza del nuovo giorno, sarà ancora Pasqua e la vita trionferà su ogni tipo di oppressione. Coraggio, non lasciamoci rubare la Speranza. Buona Pasqua a tutti, e che sia di Risurrezione! Gabriel

RITORNO A SANTO ANTONIO

  Buona festa della Trinità a tutti e tutte! Rieccomi a S. Antonio, in un “secondo arrivo” non meno significativo del primo.  Il cambiamento...