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giovedì 25 aprile 2024

Cammini di libertà e di liberazione

 


"La Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi".Il Verbo continua a parlare nella storia e a servirsi di chi è chiamato ad annunciarlo. Un annuncio non solo fatto dalla Parola di Dio, ma anche intessuto nella presenza e nell'amicizia di quei missionari che ogni giorno si ritrovano indegnamente a farsi quinto vangelo vivente in carne ed ossa.

Dal 2019 la nostra Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla si è fatta compagna di viaggio, sorella della Chiesa locale dell’Alto Solimões. Così ci troviamo nella città di Santo Antonio di Içà. Un territorio segnato da tanti dei mutamenti che stanno trasformando l'Amazzonia: urbanizzazione, individualismo, mercantilizzazione. Si può dire che alla rottura dei legami tradizionali non è seguita la costruzione di grandi opportunità di benessere per tutti. Per noi missionari Fidei Donum questo significa doversi confrontare con le povertà materiali e spirituali, con le solitudini, ma anche con il fardello della droga, particolarmente pesante lungo un fiume che è una delle principali arterie mondiali del traffico di stupefacenti.

Da 5 anni percorriamo il Rio Içà, risalendolo dalla foce posta nella città di Santo Antonio fino al confine della sterminata parrocchia, corrispondente a quello tra Brasile e Colombia, dove il Rio Içà prende il nome di Putumayo. 357 kilometri dove ormai conosciamo nomi, volti e vite degli abitanti, le loro paure, gioie e aspettative. Un rapporto che è reale, che nutre la vita spirituale di queste genti, spesso smarrite in un'epoca di cambiamenti di cui nessuno scorge l'orizzonte. Abbiamo ricevuto un lascito e ora proviamo a costruire un patto di fiducia per crescere insieme con le Comunità del fiume.



In questa parte di mondo, le distanze senza confronti, le comunicazioni interrotte e le poche risorse disponibili hanno insegnato alla Chiesa un nuovo modello di pastorale, che oggi vive anche nelle città: la parrocchia, più che una struttura verticistica, diventa comunità di comunità, in cui le responsabilità sono diffuse e le potenzialità dei laici coltivate. All'interno dei quartieri cittadini così come dei villaggi indigeni, il laico cerca di condividere la vita di fede con le stesse persone con cui condivide la fatica di ogni giorno. È un lavoro difficile, di continuo messo in discussione dalle tendenze disgregatrici della società. Ma è anche una sfida nuova per il cristiano, chiamato non solo a ricevere l'annuncio, ma a rielaborarlo e a viverlo con autonomia e maturità. Compito del prete è saper accompagnare questo processo. Solo così, attraverso il lavoro collettivo, è possibile mantenere accesa la fiamma della fede, affidandosi ogni giorno al mistero della rivelazione che opera in forme che non possiamo prevedere.

Lo sappiamo: l'evangelizzazione in Amazzonia è avanzata insieme all'invasione colonizzatrice e a tutto il suo lascito di violenza, sfruttamento, devastazione, assimilazione. Forse è stata proprio questa contraddizione estrema tra salvezza e dannazione, vissuta sulla propria pelle, a spingere la Chiesa latinoamericana a scegliere e non solo orientare; a sapere optare per i poveri e non per i potenti, senza compromessi; a identificare la missione di Gesù Cristo con la difesa degli ultimi e dei marginalizzati; e a capire poi che lo Spirito Santo soffia dove vuole, anche sulle culture e sulle fedi delle tante comunità indigene che hanno accolto il Cristianesimo senza per questo rinunciare alle proprie visioni del mondo e alle proprie mitologie.



Testimoniare a queste genti la risurrezione di Cristo significa dire in modo credibile che la legge del più forte non è un destino già scritto; che la Chiesa è al loro fianco nella difesa dai soprusi che in queste terre non hanno mai smesso di minacciare il bene comune; che gli obiettivi del profitto non possono calpestare i diritti né divorare i loro rapporti sociali e i loro legami con le risorse naturali; ma anche che le tentazioni del guadagno privato facile a scapito della ricchezza collettiva possono diventare una pericolosa illusione per le stesse comunità del fiume; che il rischio di dissolvere la coesione tradizionale del gruppo e lasciare l'individuo in balia delle forze anonime del mercato è sempre dietro l'angolo.

La vicinanza che i cittadini di queste comunità ci chiedono è soprattutto quella del momento della sofferenza. E qui il volto più drammatico della sofferenza è la dipendenza da alcool e droghe, con tutto il suo carico di violenza, povertà, lacerazioni. Abbiamo cercato percorsi che potessero dare un contributo per riempire quegli spazi vuoti in cui l'angoscia del futuro e la mancanza di prospettive possono diventare il terreno di coltura della droga tra i giovani. E abbiamo trovato una risposta nello sport, che non può sostituire il lavoro, ma può trasmettere quei valori che sono il contrario della fuga nell'illusione: impegno, ascolto, collaborazione, lealtà. Abbiamo così sostenuto la nascita e il funzionamento di un'associazione che permette a decine di bambini e giovani di coltivare una passione che aumenta di pari passo con il rispetto di sé stessi e degli altri. La pratica dello sport sano è come una piccola testimonianza quotidiana della virtù della speranza.



Liti, solitudini, incertezze sono malattie che incontriamo in ogni viaggio sul fiume. Le perplessità degli anziani e la sfiducia dei giovani fanno parte ormai del panorama umano dell'Amazzonia. E per molte persone sofferenti, la presenza del missionario finisce per essere un appiglio di speranza, l'incoraggiamento e la mano tesa del buon pastore: “Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”. Qui non c'è logica performativa, non siamo di fronte a uno dei tanti adempimenti burocratici che investono la nostra vita di tutti i giorni: “il Padre vostro che è nei cieli non vuole che uno solo di questi piccoli perisca”.

Per molti purtroppo non basta un'attività che tenga lontano dai pericoli della strada. Eppure sono tante le persone che non hanno perso il desiderio di risorgere dall'inferno delle dipendenze. A questi manca la forza e l'opportunità. La pastorale della Sobrietà è un tentativo di unire le forze presenti in città, di coinvolgere chi vuole uscire dalle dipendenze in un percorso che parta dall'ascolto e possa terminare in un progetto di recupero della persona legato al reinserimento familiare e lavorativo. Siamo solo all'inizio, ma conforta vedere come il bene comune abbia unito nello sforzo noi cattolici con altre confessioni cristiane, a dimostrazione che una Chiesa che si sforza di cercare Cristo nell'incontro col prossimo impara anche a superare le divisioni.

La Missione in Amazzonia ci suggerisce una spiritualità integrale, capace di abbracciare la salvaguardia del Creato, con occhi privilegiati alla dignità di ogni persona umana e al bene comune, sui passi di Gesù: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi – dal peso dell’esclusione sociale, dall’ingiustizia strutturata, dal potere economico e tecnologico, dal colore della pelle e dal linguaggio, dalla cultura dominante e religiosa – Venite a me e io vi darò ristoro”. Siamo chiamati a farci carico di un amore universale e di una fraternità affettiva ed effettiva, che serva la vita e faccia giustizia ai poveri. “Prendete su di voi il mio giogo che è leggero” perché, oltre la fede e la speranza, solo l’amore rimane. Così il Centro Missionario Diocesano della nostra Chiesa locale di Reggio Emilia – Guastalla vive il suo impegno di servizio, affinché, camminando insieme a questa Chiesa dell’Amazzonia, possiamo promuovere integralmente la vita. Viviamo una ecologia integrale che, nella salvaguardia del Creato, riconosce la centralità dell’Umanità e la serve con amore.

Gabriel Carlotti & Burani – missionari dell’Amazzonia

Santo Antonio do Içà, 25 aprile 2024 – festa della liberazione e della resilienza 

venerdì 5 maggio 2023

SONO UBRIACA DI VITA! SI, perché QUESTA è VITA!

 


Nella comunità di Sant’Antonio do Içá si passano le giornate a ubriacarsi di…vita, stupore e umanità! È passato poco più di un mese dal mio arrivo in comunità. Sono stata accolta come se fossi qui da sempre, e forse lo sono stata per davvero. Ogni volta che scopro qualcosa ho la sensazione che è ciò che ricordo. Le scoperte sono dentro di noi, e bisogna viaggiare per scoprirle.

Rifletto molto sul valore dell’arte, in particolare il teatro, in una missione. Penso che sia valido tanto quanto il servizio medico. Il corpo ha bisogno certamente di cura, ma anche lo spirito. Stiamo facendo nascere nuovi progetti soprattutto dedicati a bambini, giovani e donne della città. Una cosa che ti insegnano gli amazonensi è che da soli non si va da nessuna parte, l’uno ha bisogno dell’altro: oggi tocca a me ad avere bisogno di te, domani toccherà a te avere bisogno di me.



Insieme a Virginia, una delle ragazze volontarie che viene dal Uruguay, ho incominciato ad incontrare i giovani per un progetto teatrale che speriamo riesca a coinvolgere molte delle comunità della città e del fiume. Il periodo non è dei migliori perché i cittadini sono impegnati nelle quadriglie che si sfideranno in danze tradizionali per la festa di Sant’Antonio: le piazze si stanno riempiendo di decorazioni e ogni giorno aumenta la musica… e il caos fino a tarda notte. Questa festa corrisponde a quello che per noi è la festa di San Giovanni! Solo che qui… comincia a maggio e dura fino al 13 giugno! Il patrono è più importante di qualsiasi altra ricorrenza! È già esperienza di comunità! Nonostante ciò, insieme ai giovani abbiamo scelto di raccontare la storia di un uomo alla ricerca della felicità. In questa ricerca però, l’uomo si perde in una fitta foresta dove paure e angosce, rappresentate dai mostri che la abitano, lo schiacciano e lo divorano. Non sa più come uscirne. Incontra un aiutante misterioso che quella foresta la conosce bene e conosce chi la abita, iniziando a scoprire insieme nuovi sentieri. Incontreranno diverse “aldeias” che, come lui, hanno affrontato quelle paure riuscendo a scoprire la felicità. E lo spettacolo diventa realtà e quindi vita!



Con Mariana e Virginia stiamo avviando gli oratori di strada nel quartiere periferico di Taracua e nella comunità del Menino Jesus. L’allegria dei bambini è traboccante. Raggiungiamo il campetto: da 2/3 bambini arrivano ad essere 15/20/30. Quanta vita, quanti colori: non solo mulatti e indigeni, ma sono anche bianchi, neri come il mirtillo e insieme color terra. Gli incontri sono molto semplici: un cerchio di presentazione dei nomi, un canto, giochi, una breve riflessione, una proposta d’arte e una merenda condivisa con guaranà. Reagiscono con il sorriso più dolce che si possa immaginare. C’è la libertà assoluta del giocare insieme. E alla fine abbracci, abbracci a non finire fino a non sentire più le ossa.  Da un sabato all’altro, i bambini cambiano e aumentano, le famiglie sono molto contente della nostra presenza, e spesso si raccolgono attorno a noi partecipando alle attività. “Eh… è la vita”.



Ma soprattutto stiamo vedendo nascere il primo cerchio di donne. In tutta la sua storia, Sant’Antonio non ha mai visto un cerchio. Venerdì scorso, siamo andate nel quartiere della comunità del Menino Jesus e abbiamo bussato casa per casa (non ci sono i campanelli, ci si chiama con un battito di mano) invitando le donne una per una ad incontrarci nella cappella. Vediamo le donne davvero felici nel sapere e scoprire uno spazio tutto per loro da vivere come donne, come persone. Uno spazio in cui condividere la vita e lasciare andare per un momento le proprie responsabilità familiari e sociali, prendendosi cura l’una dell’altra e poter crescere insieme. Questo primo incontro è stato di presentazione: abbiamo chiesto nome, età, colore preferito, una cosa che piace e che non piace. Si è partiti dalla propria storia per arrivare al punto centrale: raccontaci il tuo sogno. Attraverso alcune foto di riviste e giornali, abbiamo lasciato che le immagini parlassero per loro, ognuna ne ha scelta una ricordando il sogno che aveva da bambina… e che per priorità (figli, mariti, lavoro in casa…)  o opportunità mancate ( soldi, spazi, persone…), ha dovuto rinunciarvi. Sogni di mestieri…di viaggiare… sogni di imparare “di cucire come mia madre”, sogno di saper leggere e scrivere….Incredibili donne! Ci promettiamo di incontrarci tutti i venerdì, e invitiamo al passaparola a tutte le donne che desiderano condividere questo cammino e dare forma ai propri sogni, che non sono morti, ma solo addormentati. Il sogno nel cuore, se custodito e curato, resta, si trasforma e fiorisce!



Ci da gioia pensare che tante persone tra donne, uomini e bambini cominciano a sentire e vedere cose nuove. O riconoscersi, forse, per la prima volta… Condividere questo in una comunità è vivere insieme la “parceria”, quella parola portoghese che indica l’amicizia che non è solo compagnia, ma un fare insieme e dare spazio a qualcosa di inedito e nuovo, un progettare insieme. E si incrocia con la “paressia”, che è il coraggio, la fermezza, l’ardire, l’audacia. La comunità incentiva a coltivare quell’ amicizia intesa come legame che desidera la libertà dell’amico, la auspica e la aiuta a costituirsi. Darsi la possibilità di agire in uno spazio politico e di dare inizio a qualcosa di nuovo, di fare di se stessi un inizio. È la capacità di immaginare che le cose potrebbero essere diverse da come sono.

In questo mese ho condiviso con Gabriele il viaggio sul fiume incontrando tutte 26 le comunità, 26 mondi (2 sono sul Rio Solimões che incontrerò a metà maggio). Abbiamo attraversato i 388 km del Putumayo a 5 km/h. La barca nuova è grande: ci sono le cartine tracciate a mano da Gabri: ha preso la linea del fiume e individuato personalmente, con l’aiuto di Moisés, l’altezza delle comunità e segnato le varie scorciatoie. Ma di questo vi scriverò la prossima volta.



“Così è … se vi pare” direbbe il vecchio Pirandello, io aggiungerei: “se lo volete e lo desiderate con tutto il cuore… allora sarà”! Anche la Missione.

 

Anna Chiara – dai suoni e colori dell’Amazzonia

 

 

Santo Antonio do Içá, 5 maggio 2023

 

 

mercoledì 29 settembre 2021

In prigione, in prigione.....

 


 


Don Gabriele Burani, santo Antonio do Içá, Amazonas, 29-09-2021    

 

Edoardo Bennato, nel suo bel LP di molti anni fa su Pinocchio ( “Burattino senza fili”) cantava: “in prigione, in prigione.... e che ti serva di lezione!”.
    Visito a volte la nostra prigione in Santo Antonio do Içá e mi faccio questa domanda: la prigione serve di lezione, come cantava Bennato? Serve per imparare qualcosa di positivo?  Serve per riabilitare le persone? Così dovrebbe essere ma nella nostra attuale organizzazione temo proprio di no.

In realtà qui non abbiamo una prigione ufficiale, un luogo di detenzione organizzato, ma nella sede della Polizia Militare vengono occupate alcune stanze che sarebbero solo di passaggio, di pochi giorni, per poi passare ad una struttura maggiore. Come spesso succede le cose vanno diversamente da come sarebbero progettate e questo spazio angusto viene trasformato in luogo di detenzione stabile.    La Polizia Militare ha sede in un piccolo edificio;  entrando un tavolo con un poliziotto che riceve e scrive i dati delle eventuali denunce. Due stretti uffici per il comandante e il segretario; continuando alla fine del  corridoio, due stanze, a occhio 4m x4m, bagno compreso ( ma non riesco ad avere una idea chiara delle dimensioni). La scorsa settimana erano 38 detenuti: come fanno a starci tutti?  Semplice, sono distribuiti a strati: fissano la loro amaca a livelli differenti di altezza e quello é lo spazio personale; le stanze sono alte 4-5 metri, quindi per qualcuno lo spazio vitale é una amaca a 5 metri di altezza!

Nei mesi di maggior diffusione del Coronavirus le visite erano abolite, e i detenuti non uscivano dalla loro cella; chiusi, senza un momento per prendere un pó di sole e di aria pura, molti sviluppano malattie della pelle. Uno spazio sul corridoio munito di sbarre metalliche é poi la cella dei malati di coronavirus.

Quasi tutti sono giovani sui 20-30 anni e quasi tutti ( o tutti) con problema di droga; in genere sono in prigione per furti, traffico di droga, o violenze in famiglia. Nella città della Bahia dove abitavo erano molti gli omicidi; tutti i mesi vari omicidi. Qui no, ci sono molti furti, liti e violenze sí, ma non molti omicidi.

Quando vado, comunico brevemente davanti alle sbarre; chiedono se li posso aiutare portando materiale di igiene (sapone, dentifricio, shampoo, detersivi per lavare i vestiti, e per la pulizia della stanza), ultimamente mi hanno chiesto medicine per le malattie della pelle. Chiedo al comandante (ora é una donna) se viene regolarmente un medico o infermiere; a volte vengono se li chiamano, non in modo regolare, e i detenuti vanno in ospedale quando si presenta la necessità.

 In una delle due celle si é rotto il ventilatore, l’unico che avevano, e da settimane sono al caldo opprimente; ne ho comprato uno e qualche giorno fa sono andato per darglielo, assieme ad una piccola griglia per scaldare i panini che si era rotta nella cella accanto ma... non ho potuto darglieli perché sono in punizione! Qualcuno di loro, attraverso il soffitto é entrato nell’ufficio del comandante lasciando una certa confusione nella stanza; ma nessuno é riuscito a fuggire!   Così ora le celle sono in punizione per un certo tempo.  

Nei mesi scorsi ho regalato a tutti un vangelo; sono molto contenti quando ricevono qualcosa, anche per la lettura; i soldi per comprare il necessario dovrebbero arrivare dallo Stato, ma .... non si sa! Non sappiamo se arrivano, o più probabilmente, come qualcuno dice, i poliziotti li tengono per loro.



Molti detenuti rimangono per mesi in questa situazione, il giudice lascia marcire i poveri per lungo tempo, ma se l’avvocato lo paga, si risolve anche in pochi giorni la scarcerazione. Ed é difficile che questi ragazzi abbiano la possibilità di pagare un avvocato, sono dei poveretti.  Questa la nostra situazione, non sappiamo di quale autorità civile possiamo fidarci, sembra di vivere in un paese senza legge, o dove vale la legge del più forte/ del piú ricco. A chi fare riferimento? Non saprei.

La prigione così fatta serve di lezione? Purtroppo no; la maggioranza di loro, pochi giorni dopo la scarcerazione entra di nuovo in prigione, perché riprende subito a rubare. Un ragazzo é uscito al mattino e alla sera era di nuovo incarcerato!

Un altro giovane ben conosciuto ( per droga, furti ecc...) veniva ogni tanto a chiedere cibo, e varie volte gli abbiamo dato il pranzo; é entrato anche nelle sale parrocchiali per tentare di rubare qualcosa.... forse é lui che mi ha rubato i cellulari....  comunque quando vado a fare visita mi saluta sorridente; in pochi giorni di libertà aveva collezionato più di 20 denunce di furto.  Giorni e giorni ammassati in una cella stretta, senza fare nulla, senza attività, senza un lavoretto che li occupi, senza una lezione per imparare qualcosa.....   Certo, hanno infranto la legge, hanno commesso crimini, ed é giusto che ci sia una forma di sanzione, ma si dovrebbe anche tentare una alternativa alla identità criminosa che si sono fatti.

Il caldo é spesso opprimente, l’aria viziata, e ovviamente sono stesi sulle amache senza vestiti, solo con i pantaloncini corti.  Mi colpisce che quando vado e li invito a fare una preghiera, si alzano in piedi e tutti si mettono una maglietta in senso di rispetto; non l’ho chiesto io ma loro lo fanno spontaneamente; un loro ‘paramento liturgico’, più sensato di tanti panni inutili che sono nelle nostre chiese.  E mi colpisce che pregano il Padre Nostro a voce ben alta quasi gridando per manifestare la loro fede; mi fa pensare a come a volte le nostre comunità italiane sono così timide nel manifestare la loro fede, così paurose, o forse pigre.

Poco tempo dopo il nostro arrivo abbiamo ospitato nella casa parrocchiale un giovane uscito dalla prigione; era stato ‘beccato’ con una discreta quantità di cocaina pura, proveniente dalla Colombia ( noi qui siamo al confine Brasile- Colombia-Perù)  e che passando attraverso il Brasile sarebbe arrivata chissà dove. Lui era solo un corriere, pagato per il trasporto fino a Manaus ma è stato individuato qui a Santo Antonio e quindi messo qui in carcere. Ha avuto la scarcerazione ma deve rimanere in città fino alla conclusione del processo; lui non è del paese, la sua famiglia abita molto lontano e comunque non ha possibilità di aiutarlo; il padre, coinvolto in varie attività criminose è morto poco tempo fa. Lo abbiamo accolto, è entrato a far parte della nostra famiglia, lavora come guardia notturna per alcuni negozi della piazza centrale dove abitiamo. Riceve un compenso dai commercianti, ma non ha mai soldi, non sa gestirsi. Qualcuno ci critica per questa accoglienza, anche perché oltre a essere ex carcerato per traffico di droga, è anche un omossessuale dichiarato; comunque ci aiuta in molti lavori della casa parrocchiale e manifesta gratitudine.   Il giudice non lo ha mai chiamato finora per concludere la sua vicenda giuridica; abbiamo pensato di pagare un avvocato perché si arrivi al processo e si possa risolvere, in qualche modo, la sua posizione. Ci sembra giusto aiutarlo, abbiamo fiducia che, pur con le contraddizioni del suo carattere, possa essere rispettoso della legge e dei valori della società.

Di fronte a qualche crimine tutti gridano: in prigione, in prigione! Ma chi si preoccupa che ‘serva da lezione’?  che ci sia un tempo e un ambiente non solo per punire ma per riabilitare?

 

Cammini di libertà e di liberazione

  "La Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". 
 Il Verbo continua a parlare nella storia e a servirsi di chi è ch...