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domenica 25 maggio 2025

GIORNATE INTENSE AL CORSO DI BRASILIA

 




Ciao a tutti e tutte!

Vi scrivo al termine di una settimana che con un termine gentile definisco “intensa”, ma con cuore reggiano posso dire “pesante”, caratterizzata da lezioni ed incontri (chiaramente in portoghese) che hanno riempito le nostre giornate, senza lasciarci molto respiro. Ne vale la pena, anche perché sono le ultime settimane e visto che ora iniziamo a capirci qualcosa, vanno vissute intensamente, ma non posso negare che alla fine la testa è proprio stanca… É una fatica che non conoscevo: vivere in un ambiente ove capire e parlare è un impegno, ove il collegamento fra l’interiorità del cuore e della mente e l’espressione nelle parole (ed anche nei gesti) non è spontanea, ma chiede una mediazione laboriosa e non sempre coronata di successo. Fino ad ora potevo dire: non conosco la lingua, mi tiro fuori e pace…; ora che conosco (poco) il portoghese non posso più dirlo, comincio a mettermi dalla parte di chi vuole e deve capire e parlare ed è un impegno grande. È chiaro che non posso evitare di pensare agli amici egiziani coi quali ho vissuto a Campegine ed a tutti i nuovi italiani che vivono in mezzo a noi, che per anni vivono questa fatica e spesso senza gli aiuti necessari, ma anche a tutte le persone con difficoltà comunicative ed a chi non ha gli strumenti culturali per poter dire e “potersi” dire… 
Guardo con una certa preoccupazione anche ai giovani partecipanti al nostro corso, che ancora non sono religiosi e sono stati mandati qui a fare il loro cammino di formazione: Mingh e Dingh che vengono dal Vietnam, Francisco che viene dal Togo, altri che sono già un po’ più strutturati di loro, ma ancora giovani. Penso ai giramenti di testa e di cuore che io vissi negli anni di formazione in seminario e nei primi anni di ministero: grazie a Dio avevo vicino formatori e uomini di fede capaci di capire anche le parole che non riuscivo a dire… Loro come faranno a parlare della loro interiorità con formatori e con un popolo del quale conoscono appena la lingua e che non conosce la loro cultura, i loro significati, il loro modo di vivere la fede?.. mah… Ci sono scelte anche all’interno della chiesa che mi lasciano per lo meno perplesso… 
Penso anche ai nostri dialoghi “normali” fra italianissimi e cristianissimi: forse tante volte diamo troppo per scontato di capire quello che ci viene detto e non mettiamo in dubbio le nostre interpretazioni. Abbiamo sempre bisogno di imparare la lingua dell’altro.




Nella nostra struttura questa settimana abbiamo anche avuto un corso di formazione sulla missionarietà per preti provenienti da tutto il Brasile. Fra questi “ospiti” si notava uno con uno strano cappellino in testa, tipo vescovo o papa, che non concelebrava. Un po’ casualmente mi sono trovato a parlare con lui, che ha un ottimo italiano perché è stato in Italia alcuni anni. Ho così scoperto che lo strano copricapo era una kippà ebraica: di nazionalità israeliana (lui dice “israelita”), è uno dei pochissimi giudeo-cristiani esistenti. Cosa significa “giudeo-cristiano”? Non è un ebreo diventato cristiano abbandonando l’ebraismo (non avrebbe più la kippà), ma un ebreo che rimane nella fede ebraica e crede che Gesù è il Figlio di Dio, che ha salvato il mondo. Erano così anche gli Apostoli, Paolo ed i primi cristiani: ebrei che continuavano a frequentare il tempio e la sinagoga e si riunivano per l’Eucaristia. Solo in conseguenza della cacciata da parte degli altri ebrei, questa forma primitiva di cristianesimo cessò. Quindi, un cristiano come lo erano i primissimi crsistiani.
Essendo lui israeliano, o israelita che dir si voglia, non ho potuto evitare di chiedergli qualcosa sulla situazione di Gaza. La risposta mi ha raggelato: “noi siamo sempre stati in guerra, ho cinquant’anni ed ho visto stragi di migliaia di uomini delle quali non ha parlato nessuno… l’unica differenza di Gaza e che se ne parla… e poi Gaza non è né Palestina né Israele…, per noi è lontana”. 
Bello essere Ebrei, bello essere Cristiani, ma sarebbe più bello essere innanzitutto uomini.

Questa settimana ho fatto un’ultima cosa, che dice che sono molto in forma: ho fatto una bella brontolata, ma con tono razionale e garbato, direi quasi “alla brasiliana”. 
Dopo aver rimuginato dentro, cosa che fa piuttosto male, mi sono deciso ed ho parlato con i responsabili del corso. Di cosa? Non certo dell’accoglienza, che è ottima, e nemmeno della scuola o della formazione, che è di buona qualità: ho parlato della chiusura dell’ambiente in cui siamo, perché può succedere che anche in un ambiente missionario si viva distanti dal mondo e da quanto avviene. Qui succede un po’ questo: non c’è un giornale, non di parla mai del mondo esterno e di quanto sta avvenendo, non c’è una preghiera dei fedeli che ricordi le situazioni attuali… La stazione marziana di Musk sarebbe più vicina al mondo reale.
Anche un ambiente missionario, anche una parrocchia, può avete un grande impegno per se stesso e per assolvere i propri compiti, ma senza avere l’apertura del cuore che guarda il mondo con le sue speranze e grandissime sofferenze e le mette davanti al Signore. 
Mi ha fatto piacere il fatto che ho trovato un ascolto sincero ed interessato: loro hanno assunto l’incarico da poco e stanno pensando alla forma che vogliono dare a questa preziosa esperienza. Quindi la brontolata potrebbe essere servita.

Mi fermo qui: mi riposo un poco, perché anche le prossime settimane saranno intense. Ringrazio sinceramente il Signore per quello che sto vivendo, perché l’incontro con tante realtà e culture è un dono riservato a pochi, ed io sono uno dei pochi (però lo siete anche voi, se guardate alle culture che vivono nei nostri paesi e provate ad incontrarle un po’)

Vi lascio le foto di due notturni di Brasilia ed aggiungo il filmato di un diurno di Gaza: mi sono proposto di usare questo gruppo solo per parlare del Brasile e cerco di tenere fede a questo proposito, ma non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo immane disastro che ci succede davanti.

Il Signore ci accompagni!
d. Paolo

sabato 10 maggio 2025

trenta missionari di diciotto paesi e quattro continenti

 



Ciao a tutti e tutte.

Vi scrivo alla fine di una settimana molto normale e molto speciale.

Lo “speciale” lo intuite da soli, con l’elezione di Papa Leone che segnerà il cammino della chiesa – ed in parte dell’umanità - nei prossimi anni. “Ti piace il nuovo Papa?”, “Non ti piace il nuovo Papa?”, “Come vestirà il nuovo Papa?”, “Che macchina userà il nuovo Papa?”, “Dove abiterà il nuovo Papa?”…

È così: in questi giorni abbondano le banalità ed il bisogno di conferme immediate, di qualcosa che ci dica che il “nuovo Papa” è come lo vogliamo o è diverso, che possiamo amarlo come l’amato Francesco o odiarlo come l’odiato Francesco…

Credo che la domanda più opportuna invece sia: come ci disponiamo davanti al nuovo Papa? Con quale capacità di accoglienza stiamo davanti a lui? Saremo capaci di accogliere le cose che non ci piacciono o non entrano nelle nostre idee – e quindi sono utili per la nostra conversione – come un’occasione per purificare la nostra fede ed il nostro modo di essere chiesa? Saremo capaci di accogliere le cose più vicine alla nostra sensibilità come uno stimolo per un rilancio purificato, che vada al di là degli aspetti di contorno e colga sempre più il nucleo profondo del nostro cammino cristiano? Oppure diremo, come i discepoli di Gesù nel Vangelo di oggi: “questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”… abbiamo già le nostre belle idee, progressiste o conservatrici o mezze e mezze o nulla di tutto, perché fare la fatica di andare oltre e di cambiare? (vedi Gv 6,60)

 


Scrivo questo stimolato dall’esperienza che sto vivendo in queste settimane qui a Brasilia, guardando alla comunità con la quale sto condividendo il cammino di formazione. Siamo più di trenta missionari di diciotto paesi e quattro continenti (manca l’Oceania, anche se la Indonesia vi confina): credo che sia un’esperienza unica e difficilmente ripetibile.

Cosa posso dire di questa esperienza “mondiale”? Tante cose, ma vi risparmio e ne dico solo una: la grande esperienza di “differenza” all’interno del mondo missionario.

Noi (intendo noi italiani e reggiani) abbiamo una nostra idea di missionario, legata in parte alla nostra esperienza ed alla nostra situazione.

Abbiamo l’idea di un missionario che “va ad aiutare” e “fa delle cose”, anche perché siamo una chiesa ricca e generosa: quando dici che sei italiano la prima cosa che gli altri pensano è che hai dei soldi e puoi usarli…

Abbiamo l’idea di un missionario che “è avanti”, che ha una immagine di chiesa “profetica” e che pensa e realizza cose che noi “chiesa vecchia” che è in Italia non riusciamo a pensare e realizzare.

Abbiamo l’idea di un missionario che “si sacrifica” e va a vivere in situazioni difficili rinunciando a tante comodità che in Italia può avere e che quindi è un po’ “eroico”.

Ebbene, posso annunciarvi che sono tutte idee molto “nostre”… e che, grazie a Dio, la realtà missionaria è molto molto molto più variegata. Non dico che le nostre idee siano sbagliate, ma è importante cogliere che sono “idee” e sono “nostre”, e quindi non vanno assolutizzate.

Di fatto qui la nostra composizione è molto variegata: vi è chi ha un interesse vivo per l’aiuto ai poveri e chi non nasconde la tensione ad una vita sufficientemente agiata, chi peggiora la propria condizione economica – abitativa e sociale e chi la migliora, chi ha una forte coscienza ambientale e chi getta il cibo o mescola i rifiuti, chi ha interessi che guardano al mondo e chi mi chiede se l’Italia è in America (ma anch’io ho sperimentato di non conoscere bene la geografia asiatica…), chi vive un intenso spirito missionario e chi legge il proprio trasferimento come l’invio in una filiale all’estero, chi ha un atteggiamento “progressista” e chi “conservatore” e chi è progressista a livello ecclesiale e conservatore a livello sociale o l’opposto… Insomma, c’è di tutto.

Non si può negare che per un certo numero di persone la vocazione missionaria è legata semplicemente al fatto che nella loro parrocchia avevano religiosi missionari o con case in diverse parti del mondo (sono cose diverse) e che quindi hanno fatto il loro cammino vocazionale con quella congregazione religiosa anziché con altri.

 


Dico questo non per screditare o togliere valore, anzi! La chiesa è bella nella sua varietà.

Racconto questo per invitarci ad avere una mentalità aperta, capace di cogliere ed apprezzare anche queste realtà nella loro complessità. Altrimenti restiamo chiusi nelle nostre quattro idee e non vediamo la Grazia di Dio che opera fra noi. Ad esempio: anche nelle nostre diocesi abbiamo religiosi, religiose e preti provenienti dall’estero, che sono fra noi per diverse ragioni: li consideriamo “missionari” come noi italiani che partiamo per l’estero, o semplicemente “stranieri” capitati fra noi e che devono adattarsi ai nostri costumi?

 

Termino con due piccoli avvenimenti sul tema:

- alcune persone mi hanno visto mentre scrivevo per voi ed ho spiegato loro che per noi missionari diocesani il contatto con la chiesa di provenienza è importante, perché attraverso noi tutta la nostra chiesa deve sentirsi missionaria. Erano stupiti di una cosa per loro nuova, ed hanno apprezzato molto!

- qui a Brasilia abbiamo conosciuto un missionario Pavoniano di Brescia ora ottantenne, che è qui da cinquant’anni. Rispondendo al carisma pavoniano ha fondato e fatto crescere un grande istituto che segue soprattutto bambini e ragazzi sordi e muti ed ora anche ragazzi autistici. Una cosa davvero bella, con più di cento dipendenti ed un’alta professionalità.

Con il sorriso ironico di chi ha imparato ad inghiottire molti rospi, ci ha confidato: “visto il lavoro che faccio (di tipo dirigenziale e professionale) ci sono ancora persone che dicono che io non sono un missionario…”.

Quando ci si ferma alle proprie idee, si perdono tante occasioni di Grazia…

 

Ho parlato della nostra comunità: vi saluto con le foto di alcuni momenti di festa che ci hanno accompagnato!

 

d. paolo

 


domenica 23 febbraio 2025

IL DONO DELL' AMICIZIA

 




Paolo Bizzocchi

Ciao a tutti e tutte, 

vi scrivo al termine di questo mese particolare, perché vissuto nell’amicizia di d. Luigi, di sr. Alessandra e di Isabela. Le loro presenze sono state un dono davvero grande perché ci hanno aiutato a guardare alla nostra realtà con occhi differenti, direi più aperti e sereni. 

Fin dalla partenza avevo pensato che la maggior difficoltà della missione amazzonica non sarebbero state le condizioni climatiche, o il cibo, o le necessità pastorali, ma l’isolamento da altri missionari e dallo stesso contesto della chiesa di Alto Solimoes della quale facciamo parte. Di fatto è così: la nostra missione amazzonica è diversa dalle altre missioni della chiesa di Reggio e Guastalla, perché la bella tradizione della nostra chiesa è di missioni composte sempre da equipe di sacerdoti, consacrati, laici, quando possibile anche famiglie. Nei limiti del possibile, ci si è sempre mossi insieme non solo per un aiuto reciproco, ma per passare alle chiese ospitanti il messaggio che non si trovavano davanti ad un missionario isolato, ma ad una chiesa che voleva entrare in comunione con loro. Al momento nella nostra missione amazzonica questo non è stato possibile, se non in modo sporadico: non per una cattiva volontà, ma per una serie di vincoli che la particolarità del luogo e del nostro inserimento ha comportato. Di certo questo è un punto sul quale io e chi condividerà gli anni della missione con me saremo chiamati a lavorare: rendere possibile la presenza nella nostra missione di volontari, consacrati, magari anche famiglie, che per un periodo consistente vengono a condividere l’impegno missionario. Questo implica anche individuare possibilità di impegno, di servizio e anche di lavoro che i missionari potrebbero svolgere in loco. A questo punta anche la necessità di completare la sistemazione della casa ove viviamo: per persone come me o d. Gabriele va benissimo, ma non si può negare che una certa provvisorietà della struttura ci sia e che un’accoglienza di lungo periodo chiederebbe di dare al tutto una forma più razionale e completa.

Al momento però siamo io e d. Gabriele, sperando per lui in una successione in tempi ragionevoli. D. Luigi ci ha detto che per vivere qui ci vogliono “persone contemplative”. Io non so se io e d. Gabriele siamo dei contemplativi o semplicemente siamo un po’ orsi, che quando hanno il loro pezzo di terreno se la cavano discretamente. Forse un po’ l’uno ed un po’ l’altro… Tra l’altro tra la mia partenza per Brasilia (e poi forse per Manaus) ed i suoi viaggi sul fiume, di certo fino a fine estate non ci pesteremo molto i piedi ed i periodi nei quali vivremo “soli” (come italiani) saranno diversi (anche per questo il mio portoghese urge come non mai). 
Ma in fondo credo che d. Luigi abbia un po’ ragione. Orsi un po’ lo siamo, ma se fosse tutto lì l’Amazzonia diverrebbe una triste esperienza di chiusura o di coraggiosa ed (evangelicamente) inutile dedizione del “grande missionario”. Invece ci stiamo impegnando seriamente per vivere la comunione, cominciando dall’accoglierci nelle reciproche e grandi particolarità e differenze, e continuando nel cercare di intessere relazioni ed essere fermento di unità con un popolo che viene da un’esperienza di chiesa indubbiamente significativa, ma molto connotata, e che vive la sofferenza di un cristianesimo sbriciolato nelle mille chiese e chiesuole che costellano il territorio. 

Se riusciamo a fare un po’ questo, significa che lo sguardo del cuore, della mente e dei piedi verso il Padre, il Figlio Gesù e lo Spirito Santo lo stiamo tenendo. Allora un po’ dei contemplativi lo siamo, non in un monastero di pietre, muri e grate, ma in questo più grande “monastero” fatto di acqua, di alberi e vegetazione, di insetti, di innumerevoli cani ed altri animali delle più diverse fatture, di persone concentrate in pochi chilometri quadri o disperse sulle rive di un fiume. Un “monastero” diverso, ma nel quale vale lo stesso imperativo che guida tutta la vita contemplativa: “Querere Deum” – “Cercare Dio” prima di ogni cosa, come scriveva S. Benedetto, e da lì costruire fraternità in Lui.

Potremmo tenerlo come primo invito: al momento non abbiamo da offrire esperienze missionarie prodigiose, ma se qualcuno vuole crescere un po’ nella ricerca di Dio forse l’Amazzonia è una buona proposta…

d. Paolo

mercoledì 18 ottobre 2023

ANCORA UN OTTOBRE MISSIONARIO

 



 Gabriel Carlotti

Un saluto a tutti dalla Missione in Amazzonia. Sapete che Burani è in Italia per un breve periodo in famiglia, così io e le Missionarie Mariana (argentina) e Virginia (uruguaiana), ci alterniamo tra fiume e città. Sabato 7 ottobre le abbiamo accompagnate alla Comunità di Moinho e ritorneranno domenica 15, dopo aver visitato cinque Comunità. Le abbiamo portate con la barca, ma ritorneranno in canoa, accompagnate dai Tikuna per circa 6 ore di navigazione. Lunedì 16 partirò io per Ipiranga e passeremo in tutte le 26 Comunità per il nostro appuntamento mensile. Le Missionarie rimangono uno o due giorni, una o due notti nelle piccole Comunità sul fiume. Portano con loro le amache per dormire nelle case della gente, un poco di cibo per collaborare alle spese domestiche, qualche litro di benzina per aiutare nel trasporto di canoa da una comunità all’altra e un secchio, perché non ci sono bagni, ci si lava al fiume e per il resto si fa come si può. Vi confesso che io farei fatica, sulla nostra barca ci sono due bagni, grazie al cielo e a voi!



Allora quando parliamo di Missione dobbiamo tenere insieme questi due aspetti complementari: i mezzi aiutano e spesso risolvono tante situazioni precarie, ma le persone sono indispensabili. Pregate il Signore della messe, che mandi operai per la sua messe, ci ricorda il Vangelo. La Missione è sempre opera dello Spirito che muove i nostri cuori e i nostri passi. Celebrare la Giornata Missionaria Mondiale vuol dire anche condividere perché non manchino i mezzi, ma principalmente metterci in gioco perché ad ognuno di noi è rivolto l’invito e il comando del Signore: andate e annunciate che il Regno di Dio è in mezzo a noi. Preghiamo allora perché la nostra Chiesa di Reggio – Guastalla sia capace di inviare preti e laici, giovani e famiglie per condividere la Missione. Preghiamo perché ognuno di noi, anche se non parte per terre lontane, viva il servizio e la testimonianza: perché sappiamo annunciare il Regno di Dio nell’accoglienza del povero e dello straniero (come ci insegna l’Antico Testamento), ma anche nella tessitura di relazioni belle e di misericordia, relazioni di fraternità e di Comunità guidate dall’amore (come ci ha insegnato il Signore Gesù). Grazie davvero per tutto quello che ci unisce. Coraggio, non abbiate paura di vivere ciò che siete: tutti fratelli e sorelle in Cristo Gesù, che da ricco che era si fece povero per amore nostro. Proprio sulla povertà della Chiesa, sulla sua fiduciosa testimonianza nel Signore che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli del cielo, si gioca il futuro della fede.



Celebrare la Giornata Missionaria Mondiale, per noi Chiesa italiana, vuol dire fare una scelta di povertà: rinunciare a privilegi amministrativi come l’esenzione delle tasse sugli immobili, all’uso non sempre chiaro di sovvenzioni statali e comunali o ripartizione degli otto millesimi sulle tasse dei cittadini, ma farci carico delle nostre Comunità come parte viva delle nostre famiglie, con libertà di cuore, di spirito e anche di interessi. Mettendo la condivisione al primo posto, secondo le necessità di ognuno. Lottando contro le spese militari e di armamenti dei nostri governi, e richiedendo con forza il diritto alla vita e alla cittadinanza di tutti coloro che effettivamente vivono e lavorano in terra italiana. Solo così ci sarà pace! Molte organizzazioni internazionali compiono un servizio alla vita e alla pace, e come cristiani possiamo parteciparvi attivamente e devolvere a loro le nostre deducibilità.



La Missione invece ci insegna la libertà e la responsabilità di farci carico dei fratelli bisognosi. Così fece l’apostolo Paolo chiedendo la libera condivisione delle Comunità da lui fondate, per i poveri di Gerusalemme, ancora oggi martoriata dall’imperialismo americano e dall’allineamento europeo. Quando il recipiente è colmo, allora non serve più piangere per l’acqua versata, che fa sempre male, ma bisogna prendersi cura del diritto dei popoli palestinesi, armeni, congolesi, ucraini, sarawi e di molti popoli africani e del medio oriente dove ancora i cristiani sono macchiati dal sangue dei martiri. Le Chiese giovani della Missione, che sempre ringraziano per tutto l’affetto e gli aiuti che ricevono, ci insegnano però che possiamo essere una Chiesa povera per i poveri. Solo così saremo credibili e felici. Il Concilio Vaticano II ha fatto tante riforme nella Chiesa, ma ha lasciato in sospeso questa scelta di povertà che Dossetti e il cardinale Lercaro di Bologna avevano promosso. Solo alcuni vescovi si impegnarono per questa scelta coraggiosa ed evangelica, una notte nelle Catacombe romane. È la scelta di Francesco di Assisi che ha riformato la Chiesa del suo tempo, la scelta di Francesco vescovo di Roma che ci offre ancora questa possibilità: devolvere quello che è di Cesare a Cesare, per essere liberi e capaci di amare con la vita, come Lui ci ha amato. Dall’amore che avrete per tutti, riconosceranno che siete miei discepoli, perché il Mondo ha bisogno di testimoni, più che di maestri; il nostro tempo ha ancora bisogno di profeti. Allora Buona Giornata Missionaria Mondiale. Un grande abbraccio a tutti di cuore!


Santo Antonio do Içá, 11 ottobre 2023 – memoria di San Giovanni XXIII

sabato 10 giugno 2023

Viaggio Missionario Rio Içá. 2-6 giugno 2023. Cronaca


 

Sabato2 giugno partiamo alle 12,30di un caldo pomeriggio. Arriviamo alle 16,45 alla comunità di N.S di Nazaré; celebriamo in una casa. Alla messa 2 sposi adulti, 2 figli giovani e una signora con una figlia piccola. Si uniscono ai canti che io e Moises scegliamo, loro hanno ancora difficoltà nella scelta dei canti. La zona è allagata, non si vede terra; abbiamo molti delfini di fronte a noi.  

Alle 18 ripartiamo, arrivando a S.João de Japoacuá alle 19; un piccolo villaggio, arriviamo al tramonto con alcune persone sulla riva; si nota la cappella recente, con la croce sulla facciata. Entriamo nella nuova cappella di legno per la messa, alle 19:30 e la cappella è vuota; ancora non è entrato nessuno, non c’é tavolo e non ci sono sedie.  Aspettiamo e pian piano qualcuno arriva; mi dicono che la tavola-altare é stata portata nella scuola; alcuni ragazzi portano due panche. Io mi metto in terra per la celebrazione e li invito a mettersi in cerchio; con Moises scegliamo i canti ( normalmente hanno una animatrice del canto, ma oggi non é presente); ci sono 27 persone, qualche adulto e la maggior parte bambini e ragazzi di 10-13 anni. Tutti fanno la comunione. La professoressa della scuola é anche catechista e ha fatto catechesi eucaristica per questo gruppetto (anche se nel mese di maggio non si sono incontrati); il ragazzo che era un buon animatore della liturgia ora sta studiando a Tonantins quindi dovranno organizzarsi per le celebrazioni della comunità. La notte è fresca e silenziosa, si ascoltano le voci di vari uccelli, senza altri rumori; una esperienza che in altri luoghi è difficile per rumori di fondo continui, ed è molto bello rendersi conto della vivacità e varietà degli uccelli attorno a noi.



Domenica  3 giugno, Solennitá dela SS Trinitá.  Partiamo alle 8,20 e arriviamo alle 16,20 alla comunità di S.Sebastiano I, allagata; si arriva alla casa in cui si celebra camminando sui tronchi di legno galleggianti. Ci aspettavano, la grande stanza con pavimento di legno è ben pulita e al centro la tavola con la tovaglia, per la eucaristia. Solo 5 persone, una coppia di sposi anziani e tre uomini della famiglia. Si chiacchiera un po’, poi la celebrazione: in pochi, ma con fede e attenzione. I due anziani andranno a S.Antonio nella casa di un loro figlio, nei prossimi giorni.  In questi mesi con la comunità allagata la vita non è semplice; non lo è mai, ma ora che ci si può spostare solo con la canoa, senza  un pezzetto di terra-ferma, specialmente per due anziani è complicato.



Arriviamo poi a MOINHO, un centro maggiore, che raggiungiamo in pochi minuti. É tutto allagato (ma l’acqua non arriva al pavimento delle abitazioni), ci sono persone davanti alle case, altri che si spostano in canoa. La messa dovrebbe essere nella scuola; con la nostra barca non è possibile attraccare accanto alla scuola perché davanti ci sono i fili della corrente elettrica; quindi ‘parcheggiamo’ vicino ad un albero, aspettando che qualcuno venga a aprire la scuola e a darci un passaggio in canoa. Aspettiamo ma non arriva nessuno; non c’è terraferma, quindi non possiamo arrivare alle case. Le persone ci vedono, qualcuno passa acanto con la canoa, ma nessuno ci chiede qualcosa, nessuno apre la scuola; Moises mi disse che sono quasi tutti protestanti, forse i pochi cattolici sono in città. Una casa viene chiusa, con assi di legno inchiodate a porte e finestre: probabilmente vanno a S.Antonio, ritornando qui quando il livello del fiume si abbassa.  Rimaniamo fermi anche la notte, e al mattino alle 7 ripartiamo, passiamo davanti alla comunità di S.Sebastiano II,  e qui vediamo tutte le case chiuse. In effetti ieri avevamo incontrato una barca piena di persone di questa comunità, diretti a S.Antonio,  che ci avevano avvisato : non avremmo trovato persone in questi giorni.



Continuiamo il nostro viaggio e arriviamo nel pomeriggio alle 15 a S.João do Lago Grande.  Dato che è tutto allagato, i bambini davanti alle case si stanno divertendo nuotando, tuffandosi; una mamma (che è anche professoressa della piccola scuola) vigila dalla finestra; sulla piattaforma galleggiante a cui attracchiamo sono appesi due pirarucu (i pesci più pregiati) a seccare. Dalla piattaforma chiacchieriamo un po’ con la professoressa alla finestra; ci dice che sta cercando un terreno in Santo Antonio per farsi una casa, anche per il disagio di vivere in un luogo che é allagato alcuni mesi all’anno. Le case sono costruite su palafitte ma, a volte, l’acqua arriva fino al piano di abitazione e oltre.

Ieri il marito ha ucciso una grande anaconda che stava mangiando le loro galline e oggi é uscito a pescare, ma quando il fiume è in piena non si pesca molto.
Celebriamo la messa alle 19:30 in casa della cacique; è notte, non hanno la corrente elettrica (il generatore si è rotto, un tecnico lo ha preso per aggiustarlo e non restituito) da due mesi; un ragazzo ci viene a prendere in canoa e ci accompagna nella casa della signora. Buio, un buio quasi totale perché ci sono le nuvole e la luna è oscurata; mi impressiona sempre la esperienza del buio vero, quando esci e non vedi nemmeno i tuoi piedi, la tua mano... una esperienza che nelle nostre città italiane non abbiamo più; qui capisco meglio la simbologia luce/tenebre, e che il buio é veramente situazione di pericolo e di non-conoscenza. La messa é con due anziani ( la cacique e il marito), altri tre adulti e una decina di bambini, alla fioca luce di alcune candele; non hanno preparato la liturgia, noi proponiamo qualche canto e facciamo le letture. Noto in un angolo un altare, con la croce tipica della religione della ‘cruzada’; poi Moises mi disse che questa cacique è in conflitto con altri della comunità perché vorrebbe che tutti entrassero nella ‘cruzada’.



Martedì 5 giugno 2023. Arriviamo verso le 10 a Boa União; non riusciamo a posizionare la nostra barca vicino alla casa per non rimanere incagliati, ma ci vengono a prendere in canoa.  Stanno costruendo una cappella della comunità, ma ancora non è ultimata, e ci fermiamo in una casa. Ci sono 7 adulti e 7 bambini, famiglie giovani; chiacchieriamo e celebriamo la messa. Non hanno molta formazione ma sono molto accoglienti, con lo spirito allegro, una compagnia piacevole. Speriamo che finiscano la cappella, così avranno un incentivo per riunirsi tutte le settimane per la celebrazione.
Alle 16:30 siamo a S. Cristovão II; andiamo nella piccola scuola (costruita con il contributo dei nostri amici di Reggio); qui, per ora, non si celebra la messa. Al nostro incontro ci sono 8 bambini piccoli e tre giovani donne (2 della religione della ‘cruzada’ e una protestante della chiesa ‘Deus è amor’); leggo un brano del vangelo, facciamo qualche preghiera insieme e la immancabile distribuzione di biscotti.  Un incontro ecumenico sereno.

Alle 18 siamo a S.João da Liberdade. Da questa parte del fiume la terra sale quindi la comunità non si allaga; facciamo un giro sulla collinetta su cui stanno costruendo nuove case. Celebriamo nella scuola, con circa 20 persone, in maggioranza bambini. Una animatrice sceglie i canti e organizza per le letture. La comunità è vivace, penso che si possa fare un certo lavoro con la catechesi.

Mercoledì 6 giugno si riparte per S. Antonio, arrivando intorno alle 13. Per fortuna senza rotture alla nostra nuova barca. 

Don Gabriele Burani 

venerdì 30 luglio 2021

Un anno camminando insieme ...


 




26 luglio, il giorno dei nonni, dei Santi Gioacchino e Anna, i genitori di Maria, nonni di Gesù. Il pensiero va a Ziano, in Val di Fiemme, nel nostro Trentino dove siamo cresciuti nei campeggi parrocchiali, nell’esperienza di camminare insieme, perché tutti potessero arrivare alla meta, superando le difficoltà dei percorsi e le sfide che le Dolomiti, nella loro attraente bellezza, ci presentano. A Ziano la festa dei Santi Gioacchino e Anna era nel mezzo dei campeggi, opportunità per fermarsi, riflettere e riprendere il cammino.

Abbiamo appena lasciato la comunità di Moinho. Il fiume Içá fino a Moinho dipende dal Rio delle Amazzoni, l’acqua sta scendendo in fretta perché il grande fiume si sta abbassando di 30/40 cm al giorno, così l’acqua del nostro Içá corre più veloce del solito verso il mare. Dopo Moinho il nostro fiume dipende dalle Ande colombiane, l’acqua è più calma e ancora alta in tante località. La comunità di Moinho è già sulla terra asciutta, ma non sappiamo come troveremo la comunità di São João do Lago Grande, forse ancora allagata, verso sera lo scopriremo.

Abbiamo iniziato a conoscere il fiume e le Comunità nell’agosto del 2020, è già passato un anno e questo è il 24° viaggio missionario. Abbiamo imparato a riconoscere quando sta scoppiando un temporale, quando il vento si prende gioco della nostra piccola imbarcazione, quando il sole scalda fino a bagnarti completamente di sudore. Ora sappiamo dove ci sono le spiagge nascoste che tra pochi mesi cambieranno la fisionomia del fiume rendendolo più simile a un grande ‘kenion’ con argini profondi e rocciosi. Ora i pesci stanno facendo festa e giocano affiorando e accompagnandoci nel cammino, piccoli delfini grigi e grandi delfini rosa, i famosi “botos”, protagonisti di molte leggende amazzoniche.



E le nostre Comunità? Come stanno? Sono cresciute in umanità e fede in quest’anno? La nostra presenza e il nostro servizio pastorale è stato di aiuto o no? Come continuare il cammino? Che cosa ci dice il Vangelo? Sono molte domande, forse non tutte hanno una risposta chiara, ma è importante “pensare”, come diceva il card. Martini. È importante “discernere”, come ci ha insegnato Sant’Ignazio di Loyola e ci ripete spesso papa Francesco. Vedere la realtà, che precede sempre le nostre idee, ascoltare la Parola e le difficoltà incontrate, per trovare una nuova sintesi e fare scelte coerenti e coraggiose.

Quando siamo arrivati, il 1° novembre 2019, abbiamo trovato una situazione che ci ha lasciato un po’ perplessi. In città una Chiesa romanizzata, nelle vesti e nelle regole da osservare, dove tutto ruotava intorno alle devozioni familiari legate alle feste dei santi, e a novene e movimenti carismatici, incentivati dalle trasmissioni televisive. Una Chiesa che nel suo celebrare la fede imitava le chiese pentecostali, appoggiata ai favori dei politici e della classe benestante, dove a decidere se la festa del patrono era stata buona o no, era l’incasso ottenuto nell’animazione di lotterie, tombole e dalla vendita del cibo preparato per l’occasione. Sul grande fiume, visitato tre volte all’anno dal fedele francescano di ormai 80 anni, le Comunità senza possibilità di celebrare la fede perché prive di qualsiasi aiuto e fortemente tentate di passare ad altre chiese evangeliche o alla chiesa della croce, chiese fondamentaliste e pentecostali, che promettono prosperità e salvezza in cambio di penitenze e offerte.

Così abbiamo cominciato a camminare insieme, don Gabri in città e io lungo il fiume. Ricordando una parola chiave del vescovo Gilberto Baroni che parlando alla città, nella festa di San Prospero, disse che un cristiano deve tenere in una mano il Vangelo e nell’altra la Costituzione. Guidati dalla luce della Parola, per essere cittadini responsabili nella costruzione del Regno di Dio, di giustizia e di pace. Accompagnare le Comunità perché sappiano vivere con fiducia e nella fraternità. In questa nostra Amazzonia segnata dalla bellezza e dalla prosperità del Creato, ma anche dallo sfruttamento e dall’ingiustizia di una società capitalista nella quale il privilegio di chi domina nella politica e nell’economia, è la normalità. Qui la povertà e la miseria sono il frutto della corruzione, del ladrocinio istituzionalizzato e dello sfruttamento delle risorse naturali e umane.



Lascio a don Gabriele Burani, se vorrà, valutare il cammino cittadino, qui mi limito a sottolineare alcune linee di cambiamento di una “Chiesa di Comunità”, dove le devozioni personali e familiari, come anche i movimenti carismatici sono al servizio della vita fraterna e della carità. La centralità della Parola di Dio, anche se, purtroppo, non ancora desiderata e ricercata. Una Liturgia che sia espressione della vita e celebrazione della fede, non solo mossa dal sentimento, ma sostenuta da scelte concrete e coerenti con una vita di discepoli-missionari del Signore Gesù. La Carità come frutto privilegiato della fede. E finalmente, l’attenzione ai giovani e agli adolescenti che qui rappresentano il 70% della popolazione, e sono il futuro della Chiesa e della società.

Quanto alle piccole Comunità lungo il fiume, il primo passo è stato quello di “visitare” tutte le famiglie, “entrare” in tutte le case, “incontrare” tutte le persone. È stato un momento bello e importante, provocato dalla necessità di conoscere, ma che ha aperto la porta del cuore: “padre, nessuno prima era mai entrato in casa nostra, grazie!”, così spesso ci siamo sentiti accolti dalle famiglie. Il secondo passo è stato quello dell’accoglienza di tutti. Da chi segue le devozioni popolari a chi era passato ad altre chiese pentecostali o della croce; di chi non era ancora battezzato e di chi non era sposato e viveva già una seconda o terza unione. La Comunità della fede, la Chiesa del Signore accoglie tutti, specialmente coloro che si sentono esclusi e giudicati, cosa normale nelle altre espressioni religiose, e che ci ha conquistato il titolo di “cattolici peccatori”. Ma il Signore Gesù è venuto proprio per noi, non per i sani ma per i malati, non per chi si reputa santo ma per chi si riconosce peccatore. Il terzo passo è stato incentivare la celebrazione domenicale della Parola. Il prete può venire solo una volta al mese, ma noi possiamo celebrare la nostra fede ogni domenica, giorno della risurrezione, dell’ascolto della parola del Vangelo e della condivisione fraterna. Questo ha comportato un grande sforzo nella preparazione dei sussidi per le celebrazioni domenicali. Abbiamo offerto anche un aiuto didattico: libri di canto e registrazioni per imparare nuovi canti liturgici delle Comunità Ecclesiali di Base. Materiale per una catechesi fondata sulla Parola di Dio e il Vangelo in particolare. Piccoli rosari accompagnati dai testi biblici per pregare i misteri della vita del Signore Gesù. Normalmente la Celebrazione della Parola e anche dell’Eucaristia avvengono nella scuola o in casa. Solo tre Comunità avevano una piccola cappella. Così abbiamo incentivato, aiutando nel materiale di costruzione, a edificare un luogo che fosse segno della Comunità. Oggi ci sono nove cappelle finite e altre tre in progettazione. Sarebbe bello che ognuna delle 25 Comunità che accompagniamo avesse la propria chiesetta, ma il cammino è ancora lungo. Anche all’interno delle cappelle abbiamo messo alcuni segni: a) la tovaglia dell’altare con la scritta: Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, vieni Signore Gesù. Annunciamo la morte di colui che è vivo ed è il Signore perché risorto, e attendiamo il suo ritorno. b) la Bibbia sull’altare come segno di accoglienza di un Dio che ci rivolge la sua Parola. Bibbia che viene usata nelle celebrazioni, per la proclamazione del Vangelo e delle letture. c) due croci, una all’interno, dietro l’altare, e una davanti alla chiesa, pitturate di giallo – colore della luce, con la scritta: Gesù è risorto. La croce è vuota perché il Signore Gesù è vivo, è risorto. d) la campana di 15 kg che ci chiama alla preghiera comunitaria. e) in due comunità c’è anche il tabernacolo perché nella celebrazione domenicale della Parola, viene anche distribuita l’Eucaristia. Speriamo che un giorno, non troppo lontano, questo possa essere la normalità in tutte le comunità. L’ Eucaristia celebrata una volta al mese si prolunga nelle domeniche. Fino a quando la Chiesa scoprirà e abbraccerà una risposta adeguata alla mancanza dell’Eucaristia in molte Comunità ecclesiali.



 Nella comunità di Moinho, ieri, 25 del mese, abbiamo celebrato la Messa in una casa, presto inizieranno la costruzione della loro cappella. Qui anche le poche famiglie evangeliche partecipano insieme ai cattolici, per questo nella chiesa non metteremo nessuna immagine di santi, nel rispetto della loro sensibilità. L’unione della Comunità è più importante delle tradizioni specifiche, la Parola, l’Eucaristia e la Carità fraterna  rimangono il segno più grande della presenza del Risorto. Domenica sera mancavano alla celebrazione alcuni adulti e anziani, c’erano giovani e bambini, alcune mamme e i responsabili della Comunità, il cassique con la moglie, il professore e la sua seconda compagna, una coppia evangelica che anima il canto e la liturgia. Chiedo: “dove sono gli altri?”.  Mi risponde il cassique, un giovane di 27 anni con già cinque figli: “vedi padre, abbiamo avuto due giorni d’incontro per discutere molti problemi della nostra Comunità, e oggi, prima di concludere i lavori, abbiamo celebrato il culto, come tutte le domeniche. Credo che alcuni siano stanchi e, visto che avevamo già pregato insieme, questa sera hanno preferito riposare”. Gli rispondo che se avessi saputo, avrei anticipato il viaggio per essere presente, ma che ero molto contento del loro cammino di Comunità.

Da ultimo, abbiamo pensato a un piccolo segno della presenza del Signore e del servizio. Un segno liturgico di una veste bianca, col volto di Gesù, listata con disegni indigeni e alcune linee azzurre e verdi richiamando l’acqua del fiume e gli alberi della foresta. Nella Comunità che si riunisce, ascolta la Parola, condivide il pane della vita e vive l’amore fraterno, il Signore si fa presente tutti i giorni, fino alla fine del mondo.



Certo, nella costruzione del Regno di Dio, l’annuncio del Vangelo comprende la denuncia del male, in particolare ci siamo scontrati con la presenza del garimpo illegale di oro che inquina l’acqua del fiume e provoca la morte di pesci e il proliferare di malattie. Anche per questo ci stiamo preocupando con la distribuzione di casse per raccogliere l’acqua della pioggia e avere acqua da bere pulita e potabile. La denuncia di una politica federale e, conseguentemente anche statale e comunale, di smantellamento degli organi di controllo sulla foresta amazzonica e in difesa dei popoli indigeni. Così sono aumentate a dismisura le aree disboscate per la vendita di legname pregiato, per fare pascolo per l’allevamento di bestiame e per la monocultura su vasta scala. Come pure l’impunità per la pesca anche nei periodi proibiti per la preservazione del pesce, dell’estrazione indebita di oro e diamanti, come pure del traffico di droga proveniente dalla vicina Colombia e destinato alle grandi città e ai grandi mercati europei.

L’acqua del fiume corre verso il mare, a volte con una lentezza disarmante, ma senza mai fermarsi! Così è il Regno di Dio, di notte e di giorno, l’agricoltore non sa come, ma la semente cresce. E il piccolo grano di mostarda un giorno servirà di riparo affinché gli uccelli del cielo possano nidificare. Sono poche le Comunità che si incontrano fedelmente ogni domenica, 8 o 9 in tutto. Pochi gl’incontri di catechesi per i bambini, solo in 3 Comunità. Ma tutto è in movimento, non c’è più acqua stagnante.

L’immagine tradizionale dei Santi Gioacchino e Anna li rappresenta con la piccola Maria e una pergamena scritta che viene passata dai genitori alla figlia: c’è un progetto di vita. Così credo sia importante continuare con fedeltà il cammino di presenza e di fiducia che abbiamo iniziato. Che cosa ci dice il Vangelo di oggi? “Felici voi perché i vostri occhi vedono e le vostre orecchie ascoltano. Molti hanno desiderato, ma non hanno visto né ascoltato quello che voi vedete e udite”. Così il Signore ci invita a gioire e ad essere attenti all’oggi della sua presenza. Cosa fare allora? Ecco tre sentieri che proveremo a percorrere:



Perseverare senza stancarci e approfondire la nostra adesione al Vangelo. Non limitarci ai sacramenti, ma fare del momento liturgico anche una opportunità di catechesi. Proveremo a usare lo spazio della Liturgia della Parola, nella Messa e nelle celebrazioni, come spazio di approfondimento della fede che incontra la nostra vita. Proveremo a proporre e sostenere anche la catechesi dei bambini perché tutti possano partecipare pienamente dell’Eucaristia.

Incentivare la Comunità a prendersi cura dei suoi membri, specialmente dei più deboli e sofferenti. Cosa non scontata perché, spesso, in una situazione di povertà diffusa, vige il ‘si salvi chi può...’. ma il Vangelo ci ha insegnato che ‘o ci salviamo insieme o non si salva nessuno’. Così con l’aiuto della Caritas parrocchiale potremo imparare a prenderci cura delle situazioni più bisognose.

Realizzare un grande incontro dei responsabili di tutte le Comunità per una tre-giorni di confronto, studio e preghiera, per ascoltare tutti, discernere insieme e aiutarci a servire meglio la vita. Questo comporterà uno sforzo economico eccezionale perché sarà importante aiutare a pagare la benzina delle canoe che trasporteranno le persone dalle comunità alla città. Ma i soldi servono anche per questo, per rendere possibile un passo nuovo ritenuto importante nel cammino comune.

Chiediamo l’intercessione dei Santi Gioacchino e Anna che hanno saputo educare Maria nella fede affinché, come lei, anche noi e le nostre Comunità, sappiamo ascoltare ed accogliere la Parola dello Spirito. Noi vi custodiamo nel cuore, fiduciosi della vostra preghiera, perché il Signore Gesù sia tutto in tutti, e regni la pace!

 

 Gabriele Carlotti – missionario diocesano in Amazzonia

 

Santo Antônio do Içá, Festa dei Santi Gioacchino e Anna, lunedì 26 luglio 2021

 

 

P.S.  Agli amici che ci accompagnano e ci sostengono, ai cristiani delle Unità Pastorali e ai fratelli e sorelle preti, seminaristi e religiose/i della nostra Chiesa locale di Reggio Emilia – Guastalla:

 

Dopo quasi due anni della nostra permanenza nella Missione Amazzonia, dopo 24 lettere dei viaggi missionari e alcune lettere della realtà cittadina, ci piacerebbe fare un passo nuovo di  “dialogo” : non basta raccontare e non basta ascoltare, è importante interagire.

 

Ci piacerebbe essere sollecitati dalle vostre domande sulla realtà che abbiamo condiviso con voi, ma anche sul senso della vita, sull’essere Chiesa, sui desideri e gli atteggiamenti, sulla Fede vissuta. Ci piacerebbe confrontarci sul cammino pastorale, sulle scelte fondamentali, sul servizio ai poveri. Ci piacerebbe condividere, senza giudizio, ma cercando insieme il cammino.

 

Quindi aspettiamo qualche vostra provocazione a  “pensare” ...

 

Grazie e buon ferragosto!                                           

sabato 20 febbraio 2021

“Libertà non è uno spazio libero... Libertà é partecipazione!” G. Gaber

 



Gabriele Carlotti – missionario diocesano in Amazzonia

 

Nel mese di febbraio, come ho scritto nell’ultima lettera, abbiamo scelto di non celebrare nelle Comunità per lasciare il tempo e l’impegno di fare una verifica del cammino appena iniziato. Vedremo in marzo quale risposta incontreremo, speriamo davvero sia una possibilità di condivisione e di riflessione per rafforzare lo spirito di comunità.   In questo periodo abbiamo però visitato tutte le Comunità ricordando loro che inizia il cammino della Quaresima e che sarà una buona occasione per iniziare con decisione a celebrare la Parola riunendo la Comunità alla domenica, giorno del Signore. Abbiamo inoltre celebrato la festa della Madonna della salute e di San Lazzaro, patroni di quattro Comunità. Momenti belli e carichi di una fede segnata dalla cultura popolare.

Non sono poi mancate le difficoltà del viaggio, ormai avrete capito che viaggiare per giorni sull’acqua è sempre rischioso, perché sempre succede qualche imprevisto. Eravamo a Ipiranga, sul confine colombiano, ci fermiamo per l’identificazione al posto militare, dove ci fanno anche i controlli per il Covid 19, visto la situazione in peggioramento. Tutto a posto, rientro sulla barca e metto la retromarcia per dirigermi verso il porto. Sento un grosso rumore, come di un ferro che batte contro un altro ferro e i comandi non rispondono più, la barca è in balia della corrente che ci trascina per oltre un chilometro fino a sbatterci contro la sponda, dove riusciamo ad ancorarci ad una pianta sporgente. Esperienza già vissuta nella notte precedente, quando un forte temporale ci ha tolto completamente la visibilità, facendoci perdere l’orizzonte e facendoci girare a vuoto sul grande specchio d’acqua del fiume in piena. Fino a costringerci a prendere la decisione di fermarci per la notte legati a un grande albero ai margini del fiume, aspettando l’alba del nuovo giorno per riprendere il viaggio in sicurezza. Che fare, il cellulare non funziona, nuotare neanche a pensarci, attraversare a piedi la fitta vegetazione della foresta con stivali di gomma e machete alla mano sembra la soluzione migliore, anche se vi confesso che non me ne avanzava perché la foresta riserva sempre incontri speciali: serpenti, scimmie, cinghiali... oltre naturalmente alle pantere e ai coccodrilli. Ci prepariamo per affrontare 4 o 5 ore di cammino, prima che venga la notte, ma, grazie a Dio, sentiamo avvicinarsi una lancia dell’esercito. Ci hanno visti e sono venuti a prenderci.... Pensavamo si fosse rotto l’ingranaggio delle marce, ma no, semplicemente avevamo perso l’elica... e un motore senza elica davvero non serve! Fortuna che ne avevo acquistata una di scorta e con l’aiuto di due simpatici giovani militari, che hanno lavorato come sommozzatori, siamo riusciti a installare l’elica nuova, pronti a ripartire il mattino seguente, verso casa.

Passiamo la notte nella Comunità di San Giovanni Battista del “lago grande”. Al mattino, mentre prepariamo il caffè per la colazione, si avvicinano due giovani mamme e mi dicono: “frei (per loro continuo ad essere un frate!), non ti fermi per la messa oggi? Perché volevo battezzare il mio bambino...”. Mi informo se il papà è presente e, come sospettavo, non abita più con la mamma. Le dico che se così stanno le cose, visto che sono separati, possiamo battezzarlo anche senza il papà, ma lo faremo nella messa del prossimo mese, perché in febbraio non abbiamo le celebrazioni, ma è tempo di verifica. Tutto bene, la mamma è contenta, aspettare quindici giorni non è problema! Riprendo a far colazione, visto che le banane sono cotte e possiamo condividerle. Ma la mamma mi chiama ancora:

 frei, ho un’amica che abita a Juì/Villa Alterosa e ha tre bambini, vorrebbe battezzarli, posso dirle che può venire anche lei nella prossima messa?”

 


Juì è un paese di 2.500 abitanti fondato da Irmão José, sede della chiesa della Cruzada.

Dal libro di storia di Celestino Ceretta - Storia della Chiesa nell’Amazzonia   centrale”: “Il fenomeno di Irmão José da Cruz è cresciuto molto tra gli indigeni Tikuna nella parte brasiliana, sulla frontiera con il Perù e la Colombia, fenomeno nato nel 1972 creando molta confusione tra le popolazioni con poca formazione religiosa. Il nome originario del cittadino era José Nogueira Fernandez, originario dello Stato di Minas Gerais. José Nogueira da giovane provò ad entrare nella vita religiosa, poi si è sposato e ha avuto sette figli, è stato militante in diverse organizzazioni religiose e assistenziali. Nel 1944 ha dichiarato che il Figlio di Dio gli aveva donato la croce e il vangelo e lo aveva incaricato di salvare il mondo. Così ha lasciato la famiglia, si è vestito con una veste bianca e si è messo in viaggio per predicare. La sua predicazione era dura e apocalittica, insistente, ripetitiva e molto personalizzata. Dove arrivava piantava una grande croce e faceva i suoi discorsi religiosi, organizzava una piccola comunità, sceglieva i responsabili e poi seguiva il suo cammino. In quegli anni è sorto molto fanatismo intorno al fenomeno di Irmão José.



Nella nostra città Irmão José è stato cacciato e, fuggitivo, si è fermato lungo il fiume Içá, circa a metà, a 280 km dalla città, e ha fondato un paese dando vita a questa nuova setta religiosa, dicendo che la chiesa cattolica e le chiese evangeliche/pentecostali sono come le due braccia della croce per raccogliere tutti i fedeli nella vera chiesa apostolica cattolica evangelica degli ultimi tempi. Lungo il fiume Içá abbiamo 25 comunità cattoliche, 6 comunità evangeliche/pentecostali e 21 comunità della chiesa della croce o Cruzada. A Juì/Villa Alterosa dove è sepolto Irmão José  e dove è stata costruita la cattedrale della cruzada, non ci sono comunità cattoliche, anche se ormai molti non seguono più questa setta. Mentre i primi erano tutti battezzati nella Chiesa cattolica e poi sono entrati nella Cruzada ricevendo un nuovo battesimo nelle acque vive del fiume, oggi alla terza generazione, la maggioranza dei giovani è stata battezzata solo nella Cruzada, battesimo non riconosciuto dalla nostra Chiesa cattolica.

Solo ora, con queste due mamme mi rendo conto di questa situazione strana, e, quasi per curiosità, chiedo loro che battesimo hanno ricevuto, scoprendo che anche loro, come molti, hanno ricevuto il battesimo della Cruzada. Chiedo alla mamma: “perché la tua amica vuole battezzare i suoi bambini nella Chiesa cattolica se lei appartiene alla chiesa della croce?” Risposta: “molta gente non partecipa della Cruzada e ora il Pastore (unico responsabile e padrone di tutto, successore di Irmão José) non accetta di battezzare i figli di chi non è sposato, ancor meno della mia amica che è ragazza madre...”

Mi viene in mente quel passaggio degli Atti degli Apostoli in cui si chiede quale battesimo avessero ricevuto, quello di Giovanni il Battista, e per questo furono battezzati nel nome di Gesù. Per me non ci sono problemi, credo che il Signore si serva di molti battesimi e di molte acque, senza troppi scrupoli, ma chiederò anche il parere del vescovo per vedere se battezzare solo i bambini o anche le mamme. Già ho dovuto ri-battezzare un papà per poter realizzare il matrimonio, visto che aveva ricevuto solo il battesimo della Cruzada. Ci lasciamo con l’impegno di ritornare nella prossima messa con una risposta chiara che possa essere un cammino, una strada per chi vuole seguirei il Vangelo e accogliere l’amore che Dio ha per tutti e che ci ha mostrato nelle parole e nei gesti di Gesù di Nazaret, il suo amore gratuito che vince la morte e, nella luce della risurrezione, ci apre un cammino di speranza e di gioia, un cammino di vita eterna.



Nella notte ripenso a questo incontro e mi risuonano le parole del Signore: “perché legate pesanti fardelli sulle spalle della gente, e voi non volete sollevarli neppure con un dito!?”. Ripenso alla semplicità e all’immediatezza di tante persone che chiedono il battesimo per i loro bambini; ripenso alla confusione che gli uomini delle chiese mettono nella mente e nel cuore della gente. E mi confermo nella certezza che il Vangelo di Gesù non sia un nuovo insegnamento religioso; che il Signore Gesù non abbia voluto fondare una nuova religione. Sento forte la gioia della libertà del Vangelo da tutte le religioni e da tutte le forme di coercizione; sento la libertà dell’amore gratuito di Dio che chiede umilmente di essere accolto, perché l’amore non si impone, ma accoglie e chiede di essere accolto. Sento l’invito, la chiamata ad essere chiesa, non appena appartenere ad una chiesa, ma essere incontro e partecipazione per vivere una fraternità che si offre come possibilità di vita nuova. Anche la Campagna della Fraternità ecumenica di questa Quaresima ci invita al dialogo e all’accoglienza dei ‘diversi’, denunciando gli abusi di potere e la mancanza di responsabilità di alcuni politici di governo e di alcune chiese pentecostali. Così afferma il Vangelo: “Il tempo è pieno e il Regno di Dio si è fatto vicino, è una possibilità per tutti di vita nuova e fraterna. Convertitevi e credete al Vangelo!”. Quindi, restiamo liberi di partecipare...

 

Prima domenica di Quaresima, 21 febbraio 2021

LE COMUNITA' DEL FIUME A MANAUS

  Ciao a tutti e tutte.   Paolo Bizzocchi Sono appena tornato dalla due giorni che abbiamo vissuto nelle comunità del fiume a pochi km da Ma...