venerdì 25 novembre 2022

Credere nella vita …

 



 

A volte mi chiedo: “fino a quando val la pena credere nella vita?” tante volte mi sono incontrato con la debolezza e la fragilità delle persone concrete, quelle che vivono tutti i giorni per guadagnarsi il pane quotidiano. Sono padre Gabriel, della Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla, ormai da 20 anni missionario diocesano in Brasile, prima nella Bahia e ora nel cuore della foresta amazzonica.

 

Spesso mi fermo lungo il grande fiume, nelle piccole Comunità Ecclesiali di Base e mi capita di battezzare alcuni dei tanti bambini. Chiedo: “ci siamo tutti?”, la gente viene in canoa e spesso ci sono dei contrattempi. “Io ho quattro bimbi padre”, “che bello!” le rispondo, “dov’è il papà, sta arrivando?” “Vede, padre, mio marito non poteva venire…”, e così dopo alcune battute le dico: “figlio del Boto, eh?” – il Boto è un grande pesce, un delfino di fiume di colore rosa, ritenuto responsabile, nella mitologia locale, della gravidanza di tante mamme, spesso giovanissime, che non hanno marito. Lo sguardo un poco imbarazzato, poi un grande sorriso, come a dire: “Mi hai scoperto!” E chi si ferma qui, non conosce la realtà.



 Un bambino prima accolto nel grembo di una madre, come Maria, poi cresciuto da un padre, come Giuseppe, è la gioia e il futuro di tante famiglie, anzi della Comunità più grande fatta da molte nonne e zie, molte sorelle e fratelli che si prendono cura della vita che, comunque, è sbocciata. Mi sono commosso più volte quando, preparando il matrimonio di coppie giovani, il marito con tutta naturalezza mi risponde: “Sì, padre, accolgo lei, Maria, come mia sposa, e il suo bambino come mio figlio, poi speriamo che il Signore ci conceda altri bambini!” Il valore di una famiglia allargata, dove la fragilità della vita ai suoi albori è sempre accolta e custodita da molti cuori e molte mani, la bellezza di un amore includente che si prende cura dell’altro, del neonato come dell’anziano, la speranza di vedere una Comunità capace di farsi carico anche delle debolezze familiari. I popoli indigeni ci accolgono e ci insegnano un respiro comunitario, essenziale, credo, per vincere l’individualismo così cieco che produce solitudine. Non è forse questo che ci ha insegnato il Vangelo!?

 


Fortunatamente, Lula ha vino le elezioni presidenziali qui in Brasile, speriamo che il prossimo governo riprenda a difendere la vita dei Popoli che abitano la grande foresta, la madre di tanti figli, capace di rigenerare l’aria che respiriamo e l’acqua che ci dà vita. Anche questo non è scontato: ho visto bambini ammalarsi e pesci morire a causa del mercurio che i cercatori d’oro gettano nel fiume; l’abbandono delle autorità civili è la normalità per chi vive lontano dalle città; una politica che compra il voto dei deboli e dei poveri, che minaccia e violenta i perdenti; e, ancor peggio, l’invisibilità di tante persone e popoli che non contano sulla bilancia economica. Ho sentito la paura di essere minacciato perché abbiamo dato voce ai senza voce, la rabbia di assistere alla complicità della polizia, delle autorità civili, della politica con chi, fuorilegge, sfrutta le risorse di legno e di minerali e distrugge la foresta per allevare bestiame. Così, il Creato è sacrificato al dio-denaro, al capitale! Ma ho avuto anche la consolazione di sentirmi dire: “padre, tu sei la nostra voce, grazie per le casse per raccogliere l’acqua piovana che ci hai portato, ma non tacere, continua a denunciare e difendere il nostro diritto a vivere”. E di fronte alle parole di minaccia, ho udito dalla bocca di Moises, indio caixana che mi accompagna nei viaggi, pescatore e ministro della Parola e dell’Eucaristia, ho ascoltato: “padre, non preoccuparti, io sono disposto a dare la mia vita per difenderti, andiamo avanti con fiducia”, come Pietro nel Vangelo. Quanti indigeni, fratelli e sorelle, custodi del Creato, continuano a ‘dare la vita’ per difendere la madre terra, il sangue dei fiumi, perché i loro figli, e anche i nostri, possano ricevere in dono quello che il Creatore ci ha lasciato!

 


Così abbiamo distribuito casse di 500 litri per ogni famiglia, perché possano raccogliere acqua potabile per la loro sete. E abbiamo distribuito la Bibbia, Parola di Dio, nelle nostre Comunità, per tutti coloro che sanno leggere o vogliono imparare. “Padre, io non so leggere, ma vorrei anch’io una Bibbia…” “Ma cosa te ne fai?” gli chiesi. “Vedi, padre, mio nonno era ammalato e mio papà ha messo un piccolo Vangelo sotto il suo cuscino, e il nonno è migliorato. Davvero la Parola di Dio è fonte di vita e di salvezza!” Così mi sono arreso, neanche in Vaticano avevo visto una fede così grande. “Tieni, fanne buon uso, la tua fede ti ha salvato”, ricordando le parole dell’unico Maestro ho sentito vicina la Sua presenza. Allora, davvero, non smettiamo mai di credere nella vita; di riconoscere la presenza del Signore Gesù, crocifisso nei poveri del mondo, ma risorto e attuante nella loro vita, e anche nella nostra. Grazie a tutti voi perché, nonostante l’ingiustizia, l’indifferenza e le fabbriche della guerra, continuate a credere!  Gabriel


Ripartire sempre …

 







 

Perché ripartire? Perché la “missione” è troppo importante per una Chiesa locale italiana. Il respiro di una Chiesa sorella, povera e giovane, è vitale per il nostro essere-chiesa missionaria qui sul nostro territorio e fra la nostra gente. Dopo 54 anni abbiamo lasciato la Missione in Bahia, perché ormai il clero locale era sufficiente, ma non potevamo chiuderci le orecchie e il cuore: la Chiesa dell’Amazzonia chiamava altre chiese sorelle, altri preti diocesani fidei donum, per il servizio dell’evangelizzazione tra i popoli originari, 180 popoli indigeni che vivono nella grande foresta. Così siamo ripartiti, impegnando la nostra Diocesi a proseguire questo cammino, fiduciosi e felici per aver mantenuta aperta la finestra della missione ad gentes sul mondo. Il Signore, come sempre, saprà essere generoso con chi dona con gioia.



Così da tre anni mi trovo nel cuore dell’Amazzonia, nella Diocesi dell’Alto Solimões, nella parrocchia di Santo Antonio di Lisbona che accompagna il corso del fiume Içà dal Rio delle Amazzoni fino al confine con la Colombia. Il fiume Içá, o Putumayo, segna- per un lungo tratto -  il confine tra Perù e Colombia, poi attraverso la Colombia entra in Brasile, percorrendo tutto il territorio della nostra parrocchia per poi gettarsi nel Rio Solimões (Rio delle Amazzoni): 358 Km da Ipiranga, sede di una caserma dell’esercito brasiliano sul confine con la Colombia, fino alla città di Santo Antonio ai margini del grande fiume.  Lungo il fiume ci sono diverse comunità ‘riberinhas’, alcune di indigeni Tikuna e Kokama.  Inizialmente erano tutte comunità cattoliche, oggi alcune sono evangeliche della Chiesa Battista, della Assemblea di Dio, altre della Chiesa della Croce (Cruzada), fondata da fratel José, un profeta itinerante che aveva scelto il fiume Içá come luogo privilegiato di salvezza; morto da pochi anni, il suo corpo è in una di queste comunità.

 Ci sono 55 comunità, alcune formate da poche famiglie, altre organizzate come “aldeias” e piccoli villaggi di un centinaio di persone, per un totale di 12.500 abitanti. Solo Betania si distingue con i suoi cinquemila abitanti, tutti Tikuna e protestanti della Chiesa Battista. I frati cappuccini hanno accompagnato la vita religiosa di questo popolo con il metodo della cosiddetta “desobriga”: arrivare una volta all’anno e celebrare tutti i sacramenti; finora non c’è stata la possibilità di una presenza che aiutasse a creare un senso di appartenenza con un minimo di organizzazione. Un popolo che professa la sua fede in Dio senza conoscerlo, ma confidando nella sua presenza e nel suo aiuto. Tutte le Chiese presenti nel nostro territorio parlano di Gesù e, per questo, le persone rimangono disorientate e passano da una confessione a un’altra; dipende dai missionari che arrivano nella comunità con l’offerta di una risposta alle loro necessità.



Dobbiamo dunque passare da una pastorale di semplice visita ad una pastorale di presenza; dalla ‘desobriga’ alla catechesi; dal fatalismo alla fede. Qualcuno conserva ancora le tradizioni religiose degli antenati, ma le nuove generazioni non conoscono più la sapienza degli anziani e neppure hanno avuto la possibilità di conoscere il Vangelo, abbandonando ogni pratica religiosa o lasciandosi influenzare dalla predicazione fondamentalista di chi vuole fare proseliti, o da un dilagante secolarismo, frutto della globalizzazione, già arrivata anche in foresta. Così, ci siamo messi in cammino, abbiamo visitato tutte le comunità e conosciuto ogni famiglia, e abbiamo constatato una grande fragilità nella coscienza di essere Chiesa a causa di un senso di abbandono.  Molti sono passati ad altre Chiese perché non hanno avuto nessun accompagnamento liturgico-catechetico o una semplice vita di comunità. Per ora, iniziamo accompagnando le comunità cattoliche, senza escludere nessuno e accettando con gioia la presenza di cristiani di altre confessioni nei nostri incontri e celebrazioni.

Abbiamo progettato due viaggi al mese, di dieci giorni, per essere presenti e celebrare l’eucaristia in tutte le comunità. Siamo alla ricerca di leaders per animare e presiedere la celebrazione domenicale della Parola di Dio. Durante i viaggi, un ministro laico, padre di famiglia e pescatore, mi accompagna e presiede la liturgia della Parola, come segno che tutti possiamo celebrare la fede in forza del nostro battesimo, e anche per incentivare la ministerialità.  Per ora, stiamo approfittando della celebrazione liturgica per fare una catechesi che coinvolga la vita delle persone. Il cammino è lento, come l’acqua del fiume, ma non si ferma. Alcune comunità hanno già iniziato a celebrare il giorno del Signore e condividono con noi le loro gioie e difficoltà. Altre ancora, non sono riuscite, per mancanza di persone, così ci sforziamo di offrire una certa formazione a chi si rende disponibile. Stiamo aiutando a ristrutturare le poche cappelle già esistenti, appena quattro, e aiutiamo altre comunità ad avere un luogo nel quale riunirsi per la preghiera e la condivisione della vita. Le case sono piccole e non sempre c’è la scuola nella “aldeia”; due delle nostre chiese servono anche come scuola per i bambini della comunità.

Crediamo che una presenza costante e rispettosa delle persone e delle tradizioni possa incentivare e promuovere una appartenenza alla Chiesa, come possibilità di dialogo fraterno con le altre confessioni religiose, che formano con noi l’unico Popolo di Dio. Ci sforziamo di essere attenti alle necessità vitali delle persone che incontriamo, come la casa e l’acqua da bere. I fiumi sono molto inquinati e l’estrazione di minerali come l’oro peggiora la situazione, così raccogliere l’acqua piovana è un grande aiuto. Per questo, ci siamo organizzati affinché tutte le famiglie avessero una piccola cisterna. Anche i tetti, in lamiera zincata, hanno spesso bisogno di manutenzione, così le comunità si organizzano per aiutare chi da solo non ce la fa. Piccoli segni di una Fede che cammina sempre unita alla Vita.



Siamo coscienti che abbiamo davanti un lungo cammino, ma sappiamo che lo Spirito soffia come e dove vuole e, per questo, cerchiamo di riconoscere la sua presenza nei poveri.  Sogniamo una Chiesa di Comunità Ecclesiali di Base, comunità fraterne che promuovano la vita e la speranza nella nostra cara Amazzonia. Una Chiesa dal volto amazzonico, edificata su quattro colonne: la parola condivisa, il pane spezzato, la carità e la missione. Una Chiesa che ha fiducia nei giovani e che sa riconoscere la presenza fondamentale delle donne, aperta a tutti i ministeri necessari per una vita di comunità; una Chiesa aperta al diaconato delle donne, come hanno richiesto i nostri vescovi riuniti a Santarém, celebrando i 50 anni della prima Conferenza dell’Amazzonia dopo il Concilio Vaticano II°.

Ogni giorno ringrazio per essere qui e camminare insieme a una Chiesa povera e fatta di poveri, una Chiesa tenace nella difesa dei diritti umani e del Creato, una Chiesa viva e capace di continuo cambiamento, una Chiesa giovane, non solo nell’età, ma anche nel cuore e nello spirito. Gabriel

 

Cammini di libertà e di liberazione

  "La Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". 
 Il Verbo continua a parlare nella storia e a servirsi di chi è ch...