Perché ripartire? Perché la
“missione” è troppo importante per una Chiesa locale italiana. Il respiro di
una Chiesa sorella, povera e giovane, è vitale per il nostro essere-chiesa
missionaria qui sul nostro territorio e fra la nostra gente. Dopo 54 anni
abbiamo lasciato la Missione in Bahia, perché ormai il clero locale era
sufficiente, ma non potevamo chiuderci le orecchie e il cuore: la Chiesa
dell’Amazzonia chiamava altre chiese sorelle, altri preti diocesani fidei
donum, per il servizio dell’evangelizzazione tra i popoli originari, 180 popoli
indigeni che vivono nella grande foresta. Così siamo ripartiti, impegnando la
nostra Diocesi a proseguire questo cammino, fiduciosi e felici per aver
mantenuta aperta la finestra della missione ad gentes sul mondo. Il
Signore, come sempre, saprà essere generoso con chi dona con gioia.
Così da tre anni mi trovo nel
cuore dell’Amazzonia, nella Diocesi dell’Alto Solimões, nella parrocchia di
Santo Antonio di Lisbona che accompagna il corso del fiume Içà dal Rio delle
Amazzoni fino al confine con la Colombia. Il
fiume Içá, o Putumayo, segna- per un lungo tratto - il confine tra Perù e Colombia, poi
attraverso la Colombia entra in Brasile, percorrendo tutto il territorio della
nostra parrocchia per poi gettarsi nel Rio Solimões (Rio delle Amazzoni): 358
Km da Ipiranga, sede di una caserma dell’esercito brasiliano sul confine con la
Colombia, fino alla città di Santo Antonio ai margini del grande fiume. Lungo il fiume ci sono diverse comunità ‘riberinhas’,
alcune di indigeni Tikuna e Kokama.
Inizialmente erano tutte comunità cattoliche, oggi alcune sono evangeliche
della Chiesa Battista, della Assemblea di Dio, altre della Chiesa della Croce
(Cruzada), fondata da fratel José, un profeta itinerante che aveva scelto il
fiume Içá come luogo privilegiato di salvezza; morto da pochi anni, il suo corpo
è in una di queste comunità.
Ci sono 55 comunità,
alcune formate da poche famiglie, altre organizzate come “aldeias” e piccoli
villaggi di un centinaio di persone, per un totale di 12.500 abitanti. Solo
Betania si distingue con i suoi cinquemila abitanti, tutti Tikuna e protestanti
della Chiesa Battista. I frati cappuccini hanno accompagnato la vita religiosa
di questo popolo con il metodo della cosiddetta “desobriga”: arrivare una volta
all’anno e celebrare tutti i sacramenti; finora non c’è stata la possibilità di
una presenza che aiutasse a creare un senso di appartenenza con un minimo di
organizzazione. Un popolo che professa la sua fede in Dio senza conoscerlo, ma
confidando nella sua presenza e nel suo aiuto. Tutte le Chiese presenti nel
nostro territorio parlano di Gesù e, per questo, le persone rimangono
disorientate e passano da una confessione a un’altra; dipende dai missionari
che arrivano nella comunità con l’offerta di una risposta alle loro necessità.
Dobbiamo dunque passare da una pastorale di semplice
visita ad una pastorale di presenza; dalla ‘desobriga’ alla catechesi; dal
fatalismo alla fede. Qualcuno conserva ancora le tradizioni religiose degli
antenati, ma le nuove generazioni non conoscono più la sapienza degli anziani e
neppure hanno avuto la possibilità di conoscere il Vangelo, abbandonando ogni
pratica religiosa o lasciandosi influenzare dalla predicazione fondamentalista
di chi vuole fare proseliti, o da un dilagante secolarismo, frutto della
globalizzazione, già arrivata anche in foresta. Così, ci siamo messi in
cammino, abbiamo visitato tutte le comunità e conosciuto ogni famiglia, e
abbiamo constatato una grande fragilità nella coscienza di essere Chiesa a
causa di un senso di abbandono. Molti
sono passati ad altre Chiese perché non hanno avuto nessun accompagnamento
liturgico-catechetico o una semplice vita di comunità. Per ora, iniziamo
accompagnando le comunità cattoliche, senza escludere nessuno e accettando con
gioia la presenza di cristiani di altre confessioni nei nostri incontri e
celebrazioni.
Abbiamo progettato due viaggi al mese, di dieci giorni,
per essere presenti e celebrare l’eucaristia in tutte le comunità. Siamo alla
ricerca di leaders per animare e presiedere la celebrazione domenicale della Parola
di Dio. Durante i viaggi, un ministro laico, padre di famiglia e pescatore, mi
accompagna e presiede la liturgia della Parola, come segno che tutti possiamo
celebrare la fede in forza del nostro battesimo, e anche per incentivare la ministerialità. Per ora, stiamo approfittando della
celebrazione liturgica per fare una catechesi che coinvolga la vita delle
persone. Il cammino è lento, come l’acqua del fiume, ma non si ferma. Alcune comunità
hanno già iniziato a celebrare il giorno del Signore e condividono con noi le
loro gioie e difficoltà. Altre ancora, non sono riuscite, per mancanza di persone,
così ci sforziamo di offrire una certa formazione a chi si rende disponibile. Stiamo
aiutando a ristrutturare le poche cappelle già esistenti, appena quattro, e
aiutiamo altre comunità ad avere un luogo nel quale riunirsi per la preghiera e
la condivisione della vita. Le case sono piccole e non sempre c’è la scuola
nella “aldeia”; due delle nostre chiese servono anche come scuola per i bambini
della comunità.
Crediamo che una presenza costante e rispettosa delle
persone e delle tradizioni possa incentivare e promuovere una appartenenza alla
Chiesa, come possibilità di dialogo fraterno con le altre confessioni
religiose, che formano con noi l’unico Popolo di Dio. Ci sforziamo di essere
attenti alle necessità vitali delle persone che incontriamo, come la casa e
l’acqua da bere. I fiumi sono molto inquinati e l’estrazione di minerali come l’oro
peggiora la situazione, così raccogliere l’acqua piovana è un grande aiuto. Per
questo, ci siamo organizzati affinché tutte le famiglie avessero una piccola
cisterna. Anche i tetti, in lamiera zincata, hanno spesso bisogno di
manutenzione, così le comunità si organizzano per aiutare chi da solo non ce la
fa. Piccoli segni di una Fede che cammina sempre unita alla Vita.
Siamo coscienti che abbiamo davanti un lungo cammino, ma
sappiamo che lo Spirito soffia come e dove vuole e, per questo, cerchiamo di
riconoscere la sua presenza nei poveri.
Sogniamo una Chiesa di Comunità Ecclesiali di Base, comunità fraterne
che promuovano la vita e la speranza nella nostra cara Amazzonia. Una Chiesa
dal volto amazzonico, edificata su quattro colonne: la parola condivisa, il
pane spezzato, la carità e la missione. Una Chiesa che ha fiducia nei giovani e
che sa riconoscere la presenza fondamentale delle donne, aperta a tutti i
ministeri necessari per una vita di comunità; una Chiesa aperta al diaconato
delle donne, come hanno richiesto i nostri vescovi riuniti a Santarém, celebrando
i 50 anni della prima Conferenza dell’Amazzonia dopo il Concilio Vaticano II°.
Ogni giorno ringrazio per essere qui e camminare insieme
a una Chiesa povera e fatta di poveri, una Chiesa tenace nella difesa dei
diritti umani e del Creato, una Chiesa viva e capace di continuo cambiamento,
una Chiesa giovane, non solo nell’età, ma anche nel cuore e nello spirito.
Gabriel
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