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sabato 7 ottobre 2023

Tempo di secca!

 




 

Gabriel Carlotti – missionario dell’Amazzonia

 

Davvero i cambiamenti climatici si fanno sentire, che uniti al fenomeno di “El Ninho” che surriscalda l’acqua dell’oceano Pacifico, hanno favorito un grande secca nel nostro “estate amazzonico”, così chiamato perché piove poco e per questo il caldo si fa sentire più intenso. Anche in Europa il caldo è stato davvero eccezionale, e continua ad esserlo. Il papa scrive una lettera per preparare la prossima Conferenza Mondiale sul Clima che si terrà a Dubai, nella speranza che non sia solo un bla bla bla, ma un atto di responsabilità collettiva ed effettiva, per essere anche efficace. Tutti siamo coinvolti e toccati dagli eventi che ci sovrastano. L’Amazzonia non poteva restarne fuori, nonostante il fatto di essere il più grande bacino acquifero del pianeta Terra.



Ma cosa sta succedendo? Come sapete il nostro grande fiume è anche molto tortuoso e la forza dell’acqua spesso rompe gli argini aprendo varchi e scorciatoie che tagliano le curve, qui chiamati “paranà”. Nel viaggio di settembre siamo dovuti rientrare prima del previsto perché passando per il “paranà Matintin”, già abbastanza secco e con punti di soli due metri di acqua, abbiamo toccato il fondo e spezzata in due l’elica in un grosso tronco giacente nel letto del fiume. Così, piano piano siamo rientrati lasciando la visita di alcune Comunità per il viaggio seguente. L’acqua alta copre tutto, anche i pericoli, ma in tempo di secca anche un vecchio tronco diventa pericoloso e occorre molta attenzione.



Anche nella Chiesa molti pericoli sono emersi, molte fragilità e incomprensioni, non c’è più l’acqua alta della cristianità che purtroppo ha coperto molte lacune e favorito molta corruzione. Il grido di papa Francesco all’Angelus: “Peccatori si, corrotti no!” ancora risuona nella piazza San Pietro simbolo di tutte le piazze. Così il tempo di secca può essere anche un tempo opportuno per ritrovare l’essenziale e ricostruire la “sua” casa. Benedetto Sinodo che possa aprire nuovi orizzonti e nuove opportunità di dialogo e di ricerca evangelica.



Tornati a casa abbiamo cambiato l’elica, verificato il motore e ci siamo preparati per il secondo viaggio, più lungo e più faticoso. Non si possono più prendere scorciatoie, bisogna percorrere tutto il lungo fiume e aggirare le grandi spiagge che sono emerse, dobbiamo stare attenti alla profondità, perché la superficialità, in questo tempo di secca, diventa un pericolo reale. Ritornare alle origini, al corso originario del fiume. Con Francesco ritornare alla semplicità e radicalità del Vangelo. Ci hanno insegnato che la Chiesa o è missionaria o non è Chiesa. La Missione è ancora la luce per il nostro tempo, non una missione generica, ma la Missione del Signore: inviati per annunciare la Buona Notizia ai poveri. Non c’è missione senza povertà. Una povertà scelta per amore: amatevi come io ho amato voi. Dove la dignità di ogni persona è il traguardo, senza distinzione di razza, de genere o di cittadinanza.



Pensavo in questi giorni alla fragilità del nostro servizio. Le Comunità cattoliche sono le più piccole dove ancora non c’è una vita di fraternità, spesso segnate da conflitti inter-familiari e da numerosi problemi legati alla sopravvivenza. A volte mi chiedo se valga la pena investire tante energie umane ed economiche. Ma ogni volta che incontro il volto di una mamma, di un bambino, del suo papà o di quel giovane che ancora non sa leggere e scrivere, che mi salutano perché ormai mi conosco: “cosa è successo che non sei arrivato, ti abbiamo aspettato, stai bene è tutto a posto…. Si, tutto a posto, abbiamo solo rotto l’elica, ma ora l’abbiamo sostituita e siamo qui, è questo che conta”.

Sono arrivati in città alcuni pescatori: “padre, anche gli emissari dei laghi sono seccati e i pesci sono in trappola, siamo riusciti a liberare alcuni pesci grandi, presi con le reti e gettati nel fiume, ma i piccoli stanno morendo, molti sono già morti per la temperatura elevata dell’acqua e la mancanza di ossigeno”.

 Li ascolto con attenzione, pensando al viaggio della prossima settimana. Se il pesce muore, anche la pesca dei prossimi anni sarà pregiudicata, tutto è interligato (tutto è in relazione): la vita degli uni dipende dalla vita degli altri. Anche nella Chiesa e nella Società, quando c’è stagnazione alcuni grandi si salvano, ma molti piccoli muoiono. Così nelle guerre, nelle grandi migrazioni, nelle relazioni internazionali e nel cammino della fede. In alcune Comunità la nostra ‘grande’ barca non potrà entrare, c’è solo un rigagnolo d’acqua, dovremo chiedere aiuto alle piccole canoe della gente, loro ci porteranno fino a casa loro, con gioia. Il passare per la porta stretta, ora si fa molto concreto, dobbiamo spogliarci del superfluo ed essere piccoli e poveri come bambini, perché di loro è il Regno dei Cieli. Quando non possiamo cambiare il Mondo, anche se lo vorremmo, possiamo cambiare noi stessi e farci fratelli e sorelle. Gli amici si scelgono, i fratelli no; questa è la grande rivoluzione del Vangelo: siamo tutti fratelli!

Un grande abbraccio e un saluto a tutti, con l’affetto di sempre.

 

 

   Santo Antonio do Içá, 7 ottobre 2023 – memoria della Beata Vergine del Rosario

venerdì 1 gennaio 2021

E' ANCORA NATALE...

 

 

      Gabriele Carlotti – missionário diocesano in Amazzonia

 

Come vi dicevo, ho passato la notte di Natale, il 24 dicembre, a Ipiranga, avamposto militare sul confine con la Colombia, quando il Putumaio, fiume che divide il Perù dalla Colombia, cambia nome entrando in Brasile e si chiama “ rio Içá “. É un affluente del rio delle Amazzoni e percorre tutta la nostra parrocchia da est a ovest. Ipiranga un tempo era un paese abbastanza importante, proprio perché luogo di confine, oggi  ha l’apparenza di una città fantasma. Fuori dal Quartel militare sono solo case in legno, piuttosto vecchie e logorate dal tempo e dalle abbondanti piogge. I civili sono pochi, credo non superino un centinaio di persone, includendo vecchi e bambini. I militari oggi sono 54 e arriveranno ad essere 70 quando il contingente sarà al completo. Tutti molto giovani, dai 18 ai 24 anni, molti già con moglie e figli. Essendo un luogo speciale, di frontiera e in mezzo alla foresta, rimangono per almeno due anni e hanno diritto a portarsi la famiglia. Quindi molte case disabitate e decadenti sono affittate ai militari e ai loro familiari. La chiesetta di Santo Espedito, patrono delle forze armate, oggi non esiste più, dicono fosse una chiesa grande e bella, con due torri e anche le campane, poi l’infiltrazione di acqua nel tetto e l’abbandono hanno provocato il crollo. È rimasto solo il pavimento in ceramica che oggi serve da garage per i macchinari militari. Nel corso degli ultimi anni è apparsa una chiesa evangelica dell’Assemblea di Dio alla quale oggi partecipano la maggioranza degli abitanti, una volta tutti cattolici. Anche diversi militari, provenienti dal sud del Brasile, sono evangelici. Il Comandante dei militari ha parlato con il pastore che abita a Ipiranga (i pastori evangelici sono preparati con sei mesi di corso accelerato e hanno famiglia, molto diverso da un prete cattolico che, oltre alla questione del celibato, deve sobbarcarsi otto anni di seminario e di studi filosofici e teologici... quasi anacronistico per un indigeno), fiducioso del mio parere favorevole, per fare un culto ecumenico, tutti insieme per il Natale, ma la risposta è stata chiaramente negativa. Anzi neppure i militari evangelici hanno partecipato alla confraternizzazione offerta dopo la conclusione della Messa e del Culto.

 

É davvero difficile costruire ponti quando si sono alzati muri di contrapposizione! Eppure, il vangelo è chiaro: non ci sono più stranieri e ospiti, uomini e donne, schiavi o liberi, italiani o africani, bianchi o neri, cattolici o evangelici... ma tutti siamo uno in Cristo Gesù! Questa parola ci libera e ci rende capaci di fraternità... quando sapremo spogliarci della nostra arroganza e accogliere il natale di quel bambino nato per noi, nato per tutti?

Normalmente celebriamo la messa una volta al mese nella “toca da onça” (tana della pantera), ma questo natale è stato diverso. Avevo chiesto un pezzo di terra per costruire una capanna in legno che servisse come luogo d’incontro per la comunità. I militari ci hanno offerto un vecchio deposito inutilizzato, sepolto in mezzo alle case e quasi diroccato, ma con le pareti ancora solide. Abbiamo accettato e si è formata una piccola equipe per ristrutturare. Ho inviato le lamiere per il tetto e loro si sono impegnati ad andare in foresta per incontrare le travi in legno... arrivo il 24 e vado diretto nella “toca da onça” per preparare per la messa di Natale, c’è la musica molto alta e tutto è pronto per la confraternizzazione ...

padre, celebriamo la messa nella nostra chiesetta, siamo riusciti a coprire e abbiamo preparato là, abbiamo anche messo una lampada provvisoria ... “.

 Quando arrivo mi si allarga il cuore. Una fogna ancora aperta passa proprio davanti alla porta, o meglio, al buco nella parete per entrare; non c’è niente, solo pareti sporche coperte con alcuni drappi improvvisati con vecchie coperte, un tavolino e alcune seggiole. Sorrido, preparo un piccolo altare con le immagini di Nossa Senhora Aparecida e Santo Expedito, patroni di Ipiranga, accendo una candela su una pietra improvvisata e iniziamo la celebrazione. Mi sembrava di essere a Betlemme, o in tante stalle del nostro appennino. Mi sentivo invitato da Francesco di Assisi a partecipare del suo primo presepio. Così, tra due giovani militari che suonavano la chitarra, una mamma che allattava il suo bambino, alcune anziane signore che finalmente potevano ‘assistere’ alla Messa in chiesa e non nella discoteca – toca da onça, alcuni giovani che aiutavano a cantare, con tre panettoni che avevo portato per i bambini, ma che sono serviti perché tutti potessero averne un pezzetto, ancora un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio, il suo nome è Salvatore potente, principe della pace.

Alcuni avevano criticato la scelta di accettare questa soluzione per la nostra chiesetta, in verità molto piccola e che la notte di Natale vedeva addirittura persone in piedi contro le pareti ancora sporche; anch’io, non lo nego, ero titubante perché è davvero nascosta in mezzo alle case, bisogna ‘sbatterci contro’ per vederla, mentre le chiese anche degli evangelici sono sempre in luoghi alti o al centro delle piazze, come nella città di Santo Antonio. Ma quella notte, una luce ci ha avvolti e tutto è diventato chiaro. Dio abita in mezzo al suo popolo, tra i suoi figli, nelle nostre case. Ha fatto della nostra carne la sua dimora.  Non ha bisogno di un tempio e dei suoi ornamenti sacri, gli basta un cuore umile e capace di amare. Non vuole essere visto e riconosciuto nella sua sacralità e onnipotenza, ma vuole essere incontrato nel volto e nella persona di tanti fratelli e sorelle spesso sfigurati dall’ingiustizia, frutto del peccato di egoismo (di consumismo direbbe papa Francesco). È venuto a liberarci e salvarci da noi stessi per renderci capaci di essere per gli altri. Solo l’amore che esce da se stesso cresce e non soffoca.

Credo che il Messia, Figlio di Dio, Gesù non sia venuto a fondare un’altra religione (ce ne sono già troppe!), neppure il cristianesimo, spesso frutto del bisogno innato di riconoscenza e affermazione. Il Signore, che ha vinto sulla morte della contrapposizione e della divisione, ha schiarito la notte dell’io incurante del fratello e della sorella, ci ha liberato e resi liberi di amare. Credo che il Risorto, figlio di Maria di Nazaret sia venuto per aiutare l’umanità a ritrovare se stessa e la gioia della bellezza della Vita.

Questo tempo di “pandemia” ha smascherato, proprio imponendoci di usare una maschera, ha smascherato la falsità apparente della religione, l’interesse nascosto della politica, i blocchi di potere della confederazione degli stati uniti d’America, della Russia e dell’Europa; la violenza dell’imposizione ebraica e araba, e la sete incontenibile di vita della madre Africa.

È ancora Natale, Dio si sottrae a ogni manipolazione, è l’Emmanuele, Dio-con-noi, con il popolo, con la gente, con gli ultimi a favore della vita di tutti. Non perdiamo questo Natale pandemico che ci fa sentire la mancanza di un abbraccio, di un incontro, dell’altro... non delle cose che consumiamo! Questo Natale che ci invita ad essere un segno nuovo, accogliente, speranzoso, umile, sorridente, capace di solidarietà e di perdono, onesto e fraterno: la chiesa di Gesù di Nazaret, figlio di una ragazza madre e di cui, come per tanti, Dio è l’unico Padre! È ancora Natale... grazie a Dio!

 Capodanno , 1° gennaio 2021

 


Cammini di libertà e di liberazione

  "La Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". 
 Il Verbo continua a parlare nella storia e a servirsi di chi è ch...