Paolo Bizzocchi
Ciao a tutti e tutte,
vi scrivo al termine di questo mese particolare, perché vissuto nell’amicizia di d. Luigi, di sr. Alessandra e di Isabela. Le loro presenze sono state un dono davvero grande perché ci hanno aiutato a guardare alla nostra realtà con occhi differenti, direi più aperti e sereni.
Fin dalla partenza avevo pensato che la maggior difficoltà della missione amazzonica non sarebbero state le condizioni climatiche, o il cibo, o le necessità pastorali, ma l’isolamento da altri missionari e dallo stesso contesto della chiesa di Alto Solimoes della quale facciamo parte. Di fatto è così: la nostra missione amazzonica è diversa dalle altre missioni della chiesa di Reggio e Guastalla, perché la bella tradizione della nostra chiesa è di missioni composte sempre da equipe di sacerdoti, consacrati, laici, quando possibile anche famiglie. Nei limiti del possibile, ci si è sempre mossi insieme non solo per un aiuto reciproco, ma per passare alle chiese ospitanti il messaggio che non si trovavano davanti ad un missionario isolato, ma ad una chiesa che voleva entrare in comunione con loro. Al momento nella nostra missione amazzonica questo non è stato possibile, se non in modo sporadico: non per una cattiva volontà, ma per una serie di vincoli che la particolarità del luogo e del nostro inserimento ha comportato. Di certo questo è un punto sul quale io e chi condividerà gli anni della missione con me saremo chiamati a lavorare: rendere possibile la presenza nella nostra missione di volontari, consacrati, magari anche famiglie, che per un periodo consistente vengono a condividere l’impegno missionario. Questo implica anche individuare possibilità di impegno, di servizio e anche di lavoro che i missionari potrebbero svolgere in loco. A questo punta anche la necessità di completare la sistemazione della casa ove viviamo: per persone come me o d. Gabriele va benissimo, ma non si può negare che una certa provvisorietà della struttura ci sia e che un’accoglienza di lungo periodo chiederebbe di dare al tutto una forma più razionale e completa.
Al momento però siamo io e d. Gabriele, sperando per lui in una successione in tempi ragionevoli. D. Luigi ci ha detto che per vivere qui ci vogliono “persone contemplative”. Io non so se io e d. Gabriele siamo dei contemplativi o semplicemente siamo un po’ orsi, che quando hanno il loro pezzo di terreno se la cavano discretamente. Forse un po’ l’uno ed un po’ l’altro… Tra l’altro tra la mia partenza per Brasilia (e poi forse per Manaus) ed i suoi viaggi sul fiume, di certo fino a fine estate non ci pesteremo molto i piedi ed i periodi nei quali vivremo “soli” (come italiani) saranno diversi (anche per questo il mio portoghese urge come non mai).
Ma in fondo credo che d. Luigi abbia un po’ ragione. Orsi un po’ lo siamo, ma se fosse tutto lì l’Amazzonia diverrebbe una triste esperienza di chiusura o di coraggiosa ed (evangelicamente) inutile dedizione del “grande missionario”. Invece ci stiamo impegnando seriamente per vivere la comunione, cominciando dall’accoglierci nelle reciproche e grandi particolarità e differenze, e continuando nel cercare di intessere relazioni ed essere fermento di unità con un popolo che viene da un’esperienza di chiesa indubbiamente significativa, ma molto connotata, e che vive la sofferenza di un cristianesimo sbriciolato nelle mille chiese e chiesuole che costellano il territorio.
Se riusciamo a fare un po’ questo, significa che lo sguardo del cuore, della mente e dei piedi verso il Padre, il Figlio Gesù e lo Spirito Santo lo stiamo tenendo. Allora un po’ dei contemplativi lo siamo, non in un monastero di pietre, muri e grate, ma in questo più grande “monastero” fatto di acqua, di alberi e vegetazione, di insetti, di innumerevoli cani ed altri animali delle più diverse fatture, di persone concentrate in pochi chilometri quadri o disperse sulle rive di un fiume. Un “monastero” diverso, ma nel quale vale lo stesso imperativo che guida tutta la vita contemplativa: “Querere Deum” – “Cercare Dio” prima di ogni cosa, come scriveva S. Benedetto, e da lì costruire fraternità in Lui.
Potremmo tenerlo come primo invito: al momento non abbiamo da offrire esperienze missionarie prodigiose, ma se qualcuno vuole crescere un po’ nella ricerca di Dio forse l’Amazzonia è una buona proposta…
d. Paolo
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