Sabato 30\11\24
Ciao a tutti e tutte e buon inizio di Avvento!
Qui fervono grandi preparativi, tanto che la piazza è già tutta una luminaria, con un particolarissimo ed artistico – tecnologico presepio di Gesù che nasce sul fiume col bambino già presente, come fosse Natale. Di fatto stanno entrando nel periodo delle ferie, con la chiusura delle scuole per un paio di mesi a partire da Natale, ed il clima è già quello.
Di questo però vi parlerò poi, perché al Natale mancano ancora quattro settimane…
Oggi voglio raccontare di due luoghi che ho visitato in settimana con d. Gabriele Burani: il luogo di più grande chiusura, il carcere di S. Antonio, ed un luogo di grande apertura, una “aldeia” – villaggio indigeno – collocato nella foresta a pochi km dalla città.
Partiamo dal carcere. Non un vero carcere, ma due celle di contenimento – senza cortile né strutture di servizio - che teoricamente dovrebbero servire per custodire per alcuni giorni le persone arrestate in attesa di essere trasferite nel vero carcere. Di fatto poi rimangono lì per tutto il periodo della detenzione, che trattandosi di piccoli criminali può durare da alcune settimane ad alcuni mesi. Due alte stanze con un bagno interno, che grazie all’opera del nuovo comandante della stazione sono state recentemente pitturate e riordinate. L’aspetto del luogo quindi non è così terrificante, ma in queste stanze sono racchiuse persone, molte delle quali giovani, che condividono lo spazio 24 ore al giorno, dormendo per terra su un pavimento di materassini o su amache poste anche su diversi piani. Attualmente abbiamo visto in tutto una dozzina di carcerati, ma d. Gabriele dice che possono essere anche molti di più. Con loro abbiamo detto una preghiera, alla quale in molti hanno partecipato, e lasciato prodotti per l’igiene, biscotti ed alcuni libri. Hanno chiesto fogli di carta colorata e colla, per fare lavoretti che poi troveranno modo di vendere. Si tratta soprattutto di ladri e spacciatori, spesso accumunati dall’uso di droghe che qui circolano con abbondanza.
Don Gabriele Burani |
Pochi giorni fa si è presentato alla nostra porta un giovane chiedendo da mangiare: era appena uscito dal carcere. Facendolo tornare, si è riusciti ad entrare in dialogo con lui ed ora sta facendo alcuni lavoretti di giardinaggio per i quali gli si dà qualcosa, oltre all’accesso alla nostra mensa. Intanto pare sia stato riaccolto in casa dal padre e quindi non dorma più sulla strada. Ha 24 anni, una moglie di 19 ed un figlio di 7, ma non stanno insieme: si erano sposati (forse) perché lui mentre era ubriaco (così dice) l’aveva messa incinta, prima che lei compisse i 13 anni. Queste storie qui non sono così strane: se vedi una ragazzina con un bambino la prima domanda è se è la sorella o la madre…
Un ambiente totalmente diverso lo abbiamo invece trovato nella Aldeia Kuarachikuema: si tratta di insediamenti indigeni tutelati dallo stato, nei quali le persone, qui della tribù Kokama, vivono avendo una certa autonomia legislativa. Al centro vi è il luogo comune, di grandi dimensioni, e la scuola indigena, intorno le diverse abitazioni. Abbiamo salutato il capo villaggio, il cacique, ed una famiglia con quattro figli arrivata recentemente dal Perù, che al momento vive in una casa provvisoria in attesa di costruirne una più protettiva. Ci hanno accolto in modo semplice e gioioso. Inoltrandoci abbiamo visto anche le loro coltivazioni di manioca e banana (lo sapevate che crescono rivolte all’insù?) ed un uomo intento alla lavorazione della manioca, per renderla commestibile. Tornando ci siamo inoltrati per un centinaio di metri in un sentiero della foresta, incontrando una famiglia che dalla foresta procura e lavora il legno da costruzione, dalla quale anche noi ci riforniamo.
Come descrivere la foresta, anche in un contatto così rapido e vicino la vita cittadina? Direi che viene una sola parola: fascino. Il fascino di una natura che supera le misure, che al contempo spaventa (giustamente…) ed attrae. Noi sappiamo costruire grandi città, ma non credo che saremo mai capaci di costruire una piccola foresta, semplicemente perché la foresta è vita che cresce seguendo la propria elementare ed a volte violenta dinamica: vita che si sovrappone a vita, in un apparente disordine che in realtà segue un perfetto ordine che da migliaia di anni custodisce e moltiplica una rigogliosa e molteplice vita.
La tapioca |
Scusate se mi sono prolungato molto… ma la ricchezza respirata da queste due esperienze contrapposte è tanta. Quello che non rendono le parole ve lo diranno in minima parte le poche foto. Del carcere invece bastano le parole.
Una sola considerazione finale, derivata da queste due esperienze contrapposte: e se le cose della vita, in fondo, fossero molto più semplici di come noi le rendiamo?
Che il tempo di Avvento risvegli in noi la semplice speranza che viene da un Bambino che nasce!
d. Paolo Bizzocchi
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