Ciao a tutti e tutte!
Paolo Bizzocchi
Ad otto giorni dalla partenza da S. Antonio e dopo due giorni e mezzo di viaggio, eccomi a Brasilia in questa nuova esperienza di formazione che ha lo scopo di introdurmi nella lingua e nella cultura brasiliana.
Di Brasilia non ho ancora visto praticamente nulla, sono uscito per fare un po’ di spesa e per andare al cinema a vedere “Ainda estou aqui”, il film sul regime militare che per vent’anni ha oppresso il Brasile. Oggi e domani uscirò un poco, ma visto che appena arrivato sono dovuto entrare nel ritmo della scuola penso anche di fermarmi e riposare. Il tempo per vedere Brasilia non mancherà. Al momento, la cosa che mi ha colpito nel poco tempo trascorso fuori dalla nostra struttura è l’ambiente piuttosto asettico, molto pulito ma molto vuoto, con alti e luminosi palazzi e gente che cammina frettolosamente, con strade enormi che da sole conterrebbero un bel pezzo di S. Antonio… un bel salto! Siamo collocati vicino al centro: Brasilia è una città unica, costruita su un disegno architettonico che la dà la forma di un uccello o di un aereo. Noi siamo all’inizio della “Asa nord”, cioè dell’ala sinistra: un paio di km a piedi e siamo nel corpo centrale, ove si trovano i maggiori monumenti della città.
Al momento però l’attenzione è sulla comunità di missionari e missionarie che con me ha iniziato questo cammino di formazione. Qui le cose si fanno interessanti e “calde”: siamo in 36 di 18 nazionalità diverse, con un’età che va dai 25 anni di Francisco, seminarista del Togo che sembra un ragazzino, ai 61 del sottoscritto, che se ho ben colto detengo il primato di anzianità (anche se del 1964\65 siamo in tre o quattro). Europei siamo solo in quattro: io ed altri due italiani coi quali avevo fatto il corso a Verona e Rafael, seminarista salesiano della Croazia, trentenne con fisico da nuotatore. Poi… il mondo: molti dell’Africa nera, di diverse nazionalità (Togo, Nigeria, Zaire, Burundi, Congo, Etiopia…); molti asiatici, soprattutto dell’estremo oriente (Corea, Vietnam, Indonesia, India…); due messicani (uno dei quali opera in Alto Solimoes) e nessuno del Nord America o dell’Oceania. Questa incredibile concentrazione di mondo concentrata in un unico obiettivo e con le medesime difficoltà ha creato da subito un clima di forte ricerca ed interesse reciproco, con la fatica di iniziare una comunicazione in una lingua che ancora non conosciamo (noi italiani ci stiamo impegnando a parlare in portoghese, gli africani anglofoni sentono ancora fortemente la tentazione dell’inglese…). Ieri abbiamo fatto insieme la Via Crucis: per la difficoltà della lingua e la carenza di un patrimonio di canti comune, le liturgie sono ancora piuttosto ingessate e scarne, anche se molto sentite; finita la celebrazione, nel salone il gruppo africano ha iniziato spontaneamente a fare i canti delle loro diverse tradizioni… ed alla sobrietà della liturgia quaresimale si è sostituita una vitalità incredibile, che dona molto forza all’impegno comune.
Una piccola riflessione su quello che sto vedendo. Come dicevo, su 36 partecipanti siamo solo 4 europei, 3 dei quali italiani. Questo dice indubbiamente dove sta il futuro della chiesa cattolica e denuncia la profonda crisi della cristianità occidentale, europea e nord americana. Al contempo ho però constatato che la maggioranza degli africani ed asiatici appartengono a congregazioni religiose e missionarie di origine europea e soprattutto italiana; diversi di loro hanno fatto un periodo in Italia, i Saveriani e le saveriane sono passati da Parma ed uno di loro ha recentemente studiato nell’Istituto Teolgico Interdiocesano di Reggio. La chiesa italiana ora è in forte difficoltà, ma intanto ha seminato nel mondo un vastissimo campo di vangelo e vocazioni che ora stanno portando un frutto abbondante!
Questo ci riporta quasi spontaneamente a quanto ha detto Gesù: se il chicco di grano non muore, rimane solo, ma se muore porta molto frutto. La chiesa italiana pare quasi moribonda e noi ci lamentiamo di questo, ma forse potremmo fare una lettura più evangelica del nostro tempo ecclesiale. Noi, chiesa italiana ed europea, stiamo morendo perché questo è il tempo del raccolto abbondante di quanto in mezzo a noi è stato seminato, soprattutto dalla metà del XIX e per buona parte del XX secolo! Salesiani, Saveriani, Comboniani, Pallottini, Scalabriniani, Missionari del PIME… che da noi sono quasi estinti o molto anziani, in Africa ed Asia stanno fiorendo con vocazioni giovani e motivate e di questo non possiamo che gioire! Noi siamo il seme che muore e sta producendo molto frutto, non dovremmo rendere grazie a Dio di questo?
Certamente, morire non piace a nessuno… ma i nostri agricoltori ci insegnano che perché il frutto nasca, l’inverno è importante come la primavera e l’estate (ed anche che la fretta di uscire dall’inverno e fruttificare è una fregatura, perché poi vengono le gelate di marzo…).
Pensiamoci su, e forse troveremo la strada per uscire dallo sterile (e demoniaco) pessimismo che facilmente ci prende.
Allego una foto del nostro gruppo, che stamattina ha celebrato con un gruppo di diaconi brasiliani (con tanto di vescovo) presente qui per una formazione.
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