sabato 10 maggio 2025

trenta missionari di diciotto paesi e quattro continenti

 



Ciao a tutti e tutte.

Vi scrivo alla fine di una settimana molto normale e molto speciale.

Lo “speciale” lo intuite da soli, con l’elezione di Papa Leone che segnerà il cammino della chiesa – ed in parte dell’umanità - nei prossimi anni. “Ti piace il nuovo Papa?”, “Non ti piace il nuovo Papa?”, “Come vestirà il nuovo Papa?”, “Che macchina userà il nuovo Papa?”, “Dove abiterà il nuovo Papa?”…

È così: in questi giorni abbondano le banalità ed il bisogno di conferme immediate, di qualcosa che ci dica che il “nuovo Papa” è come lo vogliamo o è diverso, che possiamo amarlo come l’amato Francesco o odiarlo come l’odiato Francesco…

Credo che la domanda più opportuna invece sia: come ci disponiamo davanti al nuovo Papa? Con quale capacità di accoglienza stiamo davanti a lui? Saremo capaci di accogliere le cose che non ci piacciono o non entrano nelle nostre idee – e quindi sono utili per la nostra conversione – come un’occasione per purificare la nostra fede ed il nostro modo di essere chiesa? Saremo capaci di accogliere le cose più vicine alla nostra sensibilità come uno stimolo per un rilancio purificato, che vada al di là degli aspetti di contorno e colga sempre più il nucleo profondo del nostro cammino cristiano? Oppure diremo, come i discepoli di Gesù nel Vangelo di oggi: “questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”… abbiamo già le nostre belle idee, progressiste o conservatrici o mezze e mezze o nulla di tutto, perché fare la fatica di andare oltre e di cambiare? (vedi Gv 6,60)

 


Scrivo questo stimolato dall’esperienza che sto vivendo in queste settimane qui a Brasilia, guardando alla comunità con la quale sto condividendo il cammino di formazione. Siamo più di trenta missionari di diciotto paesi e quattro continenti (manca l’Oceania, anche se la Indonesia vi confina): credo che sia un’esperienza unica e difficilmente ripetibile.

Cosa posso dire di questa esperienza “mondiale”? Tante cose, ma vi risparmio e ne dico solo una: la grande esperienza di “differenza” all’interno del mondo missionario.

Noi (intendo noi italiani e reggiani) abbiamo una nostra idea di missionario, legata in parte alla nostra esperienza ed alla nostra situazione.

Abbiamo l’idea di un missionario che “va ad aiutare” e “fa delle cose”, anche perché siamo una chiesa ricca e generosa: quando dici che sei italiano la prima cosa che gli altri pensano è che hai dei soldi e puoi usarli…

Abbiamo l’idea di un missionario che “è avanti”, che ha una immagine di chiesa “profetica” e che pensa e realizza cose che noi “chiesa vecchia” che è in Italia non riusciamo a pensare e realizzare.

Abbiamo l’idea di un missionario che “si sacrifica” e va a vivere in situazioni difficili rinunciando a tante comodità che in Italia può avere e che quindi è un po’ “eroico”.

Ebbene, posso annunciarvi che sono tutte idee molto “nostre”… e che, grazie a Dio, la realtà missionaria è molto molto molto più variegata. Non dico che le nostre idee siano sbagliate, ma è importante cogliere che sono “idee” e sono “nostre”, e quindi non vanno assolutizzate.

Di fatto qui la nostra composizione è molto variegata: vi è chi ha un interesse vivo per l’aiuto ai poveri e chi non nasconde la tensione ad una vita sufficientemente agiata, chi peggiora la propria condizione economica – abitativa e sociale e chi la migliora, chi ha una forte coscienza ambientale e chi getta il cibo o mescola i rifiuti, chi ha interessi che guardano al mondo e chi mi chiede se l’Italia è in America (ma anch’io ho sperimentato di non conoscere bene la geografia asiatica…), chi vive un intenso spirito missionario e chi legge il proprio trasferimento come l’invio in una filiale all’estero, chi ha un atteggiamento “progressista” e chi “conservatore” e chi è progressista a livello ecclesiale e conservatore a livello sociale o l’opposto… Insomma, c’è di tutto.

Non si può negare che per un certo numero di persone la vocazione missionaria è legata semplicemente al fatto che nella loro parrocchia avevano religiosi missionari o con case in diverse parti del mondo (sono cose diverse) e che quindi hanno fatto il loro cammino vocazionale con quella congregazione religiosa anziché con altri.

 


Dico questo non per screditare o togliere valore, anzi! La chiesa è bella nella sua varietà.

Racconto questo per invitarci ad avere una mentalità aperta, capace di cogliere ed apprezzare anche queste realtà nella loro complessità. Altrimenti restiamo chiusi nelle nostre quattro idee e non vediamo la Grazia di Dio che opera fra noi. Ad esempio: anche nelle nostre diocesi abbiamo religiosi, religiose e preti provenienti dall’estero, che sono fra noi per diverse ragioni: li consideriamo “missionari” come noi italiani che partiamo per l’estero, o semplicemente “stranieri” capitati fra noi e che devono adattarsi ai nostri costumi?

 

Termino con due piccoli avvenimenti sul tema:

- alcune persone mi hanno visto mentre scrivevo per voi ed ho spiegato loro che per noi missionari diocesani il contatto con la chiesa di provenienza è importante, perché attraverso noi tutta la nostra chiesa deve sentirsi missionaria. Erano stupiti di una cosa per loro nuova, ed hanno apprezzato molto!

- qui a Brasilia abbiamo conosciuto un missionario Pavoniano di Brescia ora ottantenne, che è qui da cinquant’anni. Rispondendo al carisma pavoniano ha fondato e fatto crescere un grande istituto che segue soprattutto bambini e ragazzi sordi e muti ed ora anche ragazzi autistici. Una cosa davvero bella, con più di cento dipendenti ed un’alta professionalità.

Con il sorriso ironico di chi ha imparato ad inghiottire molti rospi, ci ha confidato: “visto il lavoro che faccio (di tipo dirigenziale e professionale) ci sono ancora persone che dicono che io non sono un missionario…”.

Quando ci si ferma alle proprie idee, si perdono tante occasioni di Grazia…

 

Ho parlato della nostra comunità: vi saluto con le foto di alcuni momenti di festa che ci hanno accompagnato!

 

d. paolo

 


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