Paolo Bizzocchi
Ciao a tutti e tutte!
Vi avevo raccontato del particolare rapporto fra S. Giovanni Bosco e Brasilia, che da una parte dice la forte religiosità del popolo brasiliano, dall’altra il valore quasi mistico dato a questa strana città dai suoi fondatori. Segno concreto di questa relazione è il grandioso santuario dedicato al Santo, situato nella parte centrale della città: una enorme parallelepipedo composto per la maggior parte di vetrate bleu ed azzurre, che creano un’atmosfera veramente surreale. Nella cripta, un’urna raffigurante d. Bosco contiene una preziosa reliquia: l’osso radio, ovvero l’avambraccio, destro di S. Giovanni. Quindi quella parte del braccio con la quale benediceva e dava l’assoluzione dai peccati ogni giorno a molti dei suoi giovani: quasi una richiesta di benedizione e perdono su questa grande città dalle tante contraddizioni.
La cosa più rilevante della settimana è stata però la visita che abbiamo compiuto al QUILOMBO MESQUITA, a circa 40 km dalla città (si pronuncia “chilombu meschita”: in portoghese “qu” corrisponde al nostro “ch” e la “o” finale si legge “u”).
Di cosa si tratta? I Quilombo sono gli insediamenti che dal 1700 nacquero in luoghi piuttosto isolati ad opera degli schiavi africani che erano riusciti a fuggire o che per qualche motivo avevano ottenuto la libertà. Con la graduale cessazione della schiavitù qui si trasferirono anche parte degli ex schiavi, dando vita a comunità che nei secoli hanno conservato etnia e tradizioni dei popoli africani. La maggior concentrazione di queste centinaia di insediamenti si trova nel nord est del paese, compresa la Bahia (ove i nostri missionari furono per decenni ed ancora si trovano le Case della Carità e d. Luigi Gibellini), ma in gran parte del Brasile è possibile incontrare queste comunità. Nella zona dell’alta Amazzonia ove siamo noi, invece non esistono, perché il lavoro forzato era affidato alle popolazioni indigene, senza il ricorso agli schiavi africani.
Del Quilombo abbiamo visitato due luoghi. Innanzitutto la chiesa parrocchiale: nonostante non vi sia un parroco fisso, ma solo frati che vengono a celebrare la Messa, ci presentano una comunità molto viva ed unita, che vive con entusiasmo la fede (quando siamo arrivati stavano facendo Adorazione). Poi, una casa storica appartenente ad una delle famiglie centrali della comunità ove Sandra, che riveste chiare funzioni di leadership, inizia a narrare. Innanzitutto vi è una grande foto dei suoi nonni, che nel 2006 dopo un laboriosissimo e difficile iter riuscirono ad ottenere il certificato federale che attestava l’esistenza del Quilombo e la sua estensione: lui aveva 97 anni e lei 102 e prima di morire poterono vedere il risultato della fatica di una vita. Sandra ci parla del valore che quella terra ha per la comunità, delle piantagioni centenarie, di un legame di sangue con la storia familiare, della produzione della “Marmelada”, fatta con il frutto del “marmelo” con una ricetta attestata da almeno 150 anni. Parla tanto anche del razzismo al quale ancora oggi le popolazioni afrodiscendenti e di classe sociale bassa sono sottoposte in diversi modi, nonostante la presidenza Lula sia stata e sia per loro un sostegno importante (ad esempio, per la possibilità di posti gratuiti all’Università per i redditi inferiori).
Poi parla di “resistenza”… e qui la voce si fa più dura: incalzata dalle nostre domande, ci spiega che vi sono grandi gruppi imprenditoriali che vogliono impossessarsi delle loro terre per renderle edificabili ed espandere la città. Dai dati riportati su internet (puoi vedere: https://www.bbc.com/ portuguese/brasil-44570778 ) ricavo che l’impresa che sta minacciando il loro Quilombo appartiene ad un ex presidente ed ha quindi forti appoggi politici. Non si tratta solo di questioni di carta bollata: non molto tempo fa la rappresentante di un altro Quilombo è stata uccisa per una vicenda simile. Lei stessa confessa di avere paura, come altri nella comunità; ma il legame con la terra, con l’eredità dei padri, con le tradizioni degli antenati e con la comunità attuale è così forte da portare ad una grande determinazione nella lotta per i propri diritti e la propria esistenza.
È un’idea bella e positiva di “patria” della terra dei padri: non il patriottismo becero di chi chiude le frontiere e sarebbe disponibile anche ad uccidere per difendere i “sacri confini”, ma un legame di amore che porta ad un impegno solidale anche a rischio della propria vita, non con urla e violenze, ma producendo marmellata, facendo studiare i figli e lottando per il rispetto di una legalità valida per tutti e non solo a favore della classe dominante.
Arrivati a casa, una religiosa mi dice: “il Brasile è veramente una realtà complessa”. Si, veramente… per questo è un dono grande poterlo vivere.
d. Paolo