A volte mi chiedo:
“fino a quando val la pena credere nella vita?” tante volte mi sono incontrato
con la debolezza e la fragilità delle persone concrete, quelle che vivono tutti
i giorni per guadagnarsi il pane quotidiano. Sono padre Gabriel, della Diocesi
di Reggio Emilia – Guastalla, ormai da 20 anni missionario diocesano in
Brasile, prima nella Bahia e ora nel cuore della foresta amazzonica.
Spesso mi fermo lungo
il grande fiume, nelle piccole Comunità Ecclesiali di Base e mi capita di battezzare
alcuni dei tanti bambini. Chiedo: “ci siamo tutti?”, la gente viene in canoa e
spesso ci sono dei contrattempi. “Io ho quattro bimbi padre”, “che bello!” le
rispondo, “dov’è il papà, sta arrivando?” “Vede, padre, mio marito non poteva
venire…”, e così dopo alcune battute le dico: “figlio del Boto, eh?” – il Boto
è un grande pesce, un delfino di fiume di colore rosa, ritenuto responsabile,
nella mitologia locale, della gravidanza di tante mamme, spesso giovanissime,
che non hanno marito. Lo sguardo un poco imbarazzato, poi un grande sorriso,
come a dire: “Mi hai scoperto!” E chi si ferma qui, non conosce la realtà.
Un bambino prima accolto nel grembo di una
madre, come Maria, poi cresciuto da un padre, come Giuseppe, è la gioia e il
futuro di tante famiglie, anzi della Comunità più grande fatta da molte nonne e
zie, molte sorelle e fratelli che si prendono cura della vita che, comunque, è
sbocciata. Mi sono commosso più volte quando, preparando il matrimonio di
coppie giovani, il marito con tutta naturalezza mi risponde: “Sì, padre,
accolgo lei, Maria, come mia sposa, e il suo bambino come mio figlio, poi
speriamo che il Signore ci conceda altri bambini!” Il valore di una famiglia
allargata, dove la fragilità della vita ai suoi albori è sempre accolta e
custodita da molti cuori e molte mani, la bellezza di un amore includente che
si prende cura dell’altro, del neonato come dell’anziano, la speranza di vedere
una Comunità capace di farsi carico anche delle debolezze familiari. I popoli
indigeni ci accolgono e ci insegnano un respiro comunitario, essenziale, credo,
per vincere l’individualismo così cieco che produce solitudine. Non è forse
questo che ci ha insegnato il Vangelo!?
Fortunatamente, Lula ha
vino le elezioni presidenziali qui in Brasile, speriamo che il prossimo governo
riprenda a difendere la vita dei Popoli che abitano la grande foresta, la madre
di tanti figli, capace di rigenerare l’aria che respiriamo e l’acqua che ci dà
vita. Anche questo non è scontato: ho visto bambini ammalarsi e pesci morire a
causa del mercurio che i cercatori d’oro gettano nel fiume; l’abbandono delle
autorità civili è la normalità per chi vive lontano dalle città; una politica
che compra il voto dei deboli e dei poveri, che minaccia e violenta i perdenti;
e, ancor peggio, l’invisibilità di tante persone e popoli che non contano sulla
bilancia economica. Ho sentito la paura di essere minacciato perché abbiamo
dato voce ai senza voce, la rabbia di assistere alla complicità della polizia,
delle autorità civili, della politica con chi, fuorilegge, sfrutta le risorse
di legno e di minerali e distrugge la foresta per allevare bestiame. Così, il
Creato è sacrificato al dio-denaro, al capitale! Ma ho avuto anche la
consolazione di sentirmi dire: “padre, tu sei la nostra voce, grazie per le
casse per raccogliere l’acqua piovana che ci hai portato, ma non tacere,
continua a denunciare e difendere il nostro diritto a vivere”. E di fronte alle
parole di minaccia, ho udito dalla bocca di Moises, indio caixana che mi
accompagna nei viaggi, pescatore e ministro della Parola e dell’Eucaristia, ho
ascoltato: “padre, non preoccuparti, io sono disposto a dare la mia vita per
difenderti, andiamo avanti con fiducia”, come Pietro nel Vangelo. Quanti
indigeni, fratelli e sorelle, custodi del Creato, continuano a ‘dare la vita’
per difendere la madre terra, il sangue dei fiumi, perché i loro figli, e anche
i nostri, possano ricevere in dono quello che il Creatore ci ha lasciato!
Così abbiamo
distribuito casse di 500 litri per ogni famiglia, perché possano raccogliere
acqua potabile per la loro sete. E abbiamo distribuito la Bibbia, Parola di
Dio, nelle nostre Comunità, per tutti coloro che sanno leggere o vogliono
imparare. “Padre, io non so leggere, ma vorrei anch’io una Bibbia…” “Ma cosa te
ne fai?” gli chiesi. “Vedi, padre, mio nonno era ammalato e mio papà ha messo
un piccolo Vangelo sotto il suo cuscino, e il nonno è migliorato. Davvero la
Parola di Dio è fonte di vita e di salvezza!” Così mi sono arreso, neanche in
Vaticano avevo visto una fede così grande. “Tieni, fanne buon uso, la tua fede
ti ha salvato”, ricordando le parole dell’unico Maestro ho sentito vicina la
Sua presenza. Allora, davvero, non smettiamo mai di credere nella vita; di
riconoscere la presenza del Signore Gesù, crocifisso nei poveri del mondo, ma
risorto e attuante nella loro vita, e anche nella nostra. Grazie a tutti voi
perché, nonostante l’ingiustizia, l’indifferenza e le fabbriche della guerra, continuate
a credere! Gabriel
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