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| Un gruppo di canto |
Paolo Bizzocchi
Oggi
vorrei parlarvi di affetti, di diverso tipo.
Vengo
su questo tema, perché è l’esperienza che sto sperimentando dopo il mio ultimo
ritorno da Manaus. Forse anche a causa delle ripetute assenze, forse perché il
mio portoghese sta diventando più comprensibile (anche se a comprendere quello
che dicono gli altri a volte faccio ancora molta fatica), la cosa che in questi
giorni sto riscontrando con piacere è l’affetto che diverse persone mi stanno
mostrando, con un linguaggio ed espressioni che per certi versi sono molto
vicine alle nostre, ma allo stesso tempo con un “sentire” che può essere molto
diverso.
Come
“funziona” qui il linguaggio degli affetti? Posso dare alcune piccole
impressioni, partendo da quello che mi succede e da quello che vedo,
chiaramente molto limitato. Io direi che ci sono tre linguaggi, tre modi di
esprimere un legame.
AFFETTO
FORMALE. Una cosa che da noi non si usa, ma che qui è
importante. In un mondo dove tutto è un po’ comune, vi è un “linguaggio”
affettivo che sostiene le “buone relazioni”. È difficile vedere due persone che
litigano apertamente, udire risposte date in modo sbrigativo o scortese, alzare
la voce davanti agli altri… anche se poi ci sono scontri forti e la violenza è
parte del vissuto sociale e familiare, a volte in modo forte. Ci sono saluti dati anche a distanza, sorrisi,
saluti con la stretta di mano o anche l’abbraccio. Nulla di rumoroso o
affettato, ma una serie di “rituali” che percorrono la vita quotidiana e che
creano un certo clima di comunità. D’altra
parte, sono molto sensibili a qualsiasi forma di relazione “aggressiva”; per
noi italiani, molto pragmatici anche a livello relazionale, questo non è sempre
facile. Abituati a dire “pane al pane e vino al vino”, dobbiamo abituarci a
dire le cose con molta attenzione e con la cura di non ferire nessuno, perché
queste ferite non sono facilmente rimarginabili. È un popolo che ha subito
molti attacchi, e gli risulta facile sentirsi attaccati.
AFFETTO
SPONTANEO. È sempre calibrato in gesti caratterizzati da una
certa finezza e formalità, che non vanno forzati. Quando si sentono accolti ed
amati, diventano molto affettivi e lo dimostrano in modo semplice e bello,
senza paura di esporsi in pubblico. Vi sono persone anziane che abbracciano e
vogliono essere abbracciate, sempre con molta delicatezza, giovani che
esprimono chiaramente la gioia di un incontro, persone che in modo molto aperto
manifestano la stima con parole che vanno ascoltate finché non le hanno dette
tutte. In questo non hanno molti filtri, si lasciano andare con una spontaneità
vera, anche se sempre calibrata. All’opposto, gli è molto più difficile
esprimere quello che non va ed i sentimenti negativi. Piuttosto che alzare la
voce o entrare in discussione aperta – tranne alcune persone – preferiscono
allontanarsi o anche sparire. Anche questo chiede molta attenzione, perché si
possono perdere persone per motivi che noi non capiamo ed occorre la pazienza
di andarle a cercare finché non riescono ad esprimere il loro malessere.
AFFETTO
INTERESSATO. Questo è trasversale ed a volte può
lasciarci stupiti. Chiedere soldi o altri tipi di aiuto qui è normale e la
relazione di amicizia ed affetto non è una cintura di sicurezza contro questo
tipo di “sfruttamento” nei nostri confronti. Anche una persona sinceramente
amica in un certo momento può usare l’amicizia per ottenere un guadagno. Tutto questo usando con molta disinvoltura la
menzogna: inventare un falso bisogno (sempre “immediato”) per convincerci a
dare denaro, non è considerato un male né tantomeno un “peccato”. È uno dei
tanti strumenti di sopravvivenza. Questo non deve stupirci: non è mancanza di
sincerità o tendenza ad approfittarsi di noi, ma semplicemente una eredità
storica. Da sempre uno strumento usato
dagli europei per ottenere i terreni dei popoli indigeni per poi sfruttarli
sono stati i regali. Le tribù indigene sono state sommerse di mercanzie
regalate dai “bianchi”, per attenuare la loro forza di volontà, disabituandoli
al lavoro ed alla caccia, e per convincerli che le opere che i bianchi volevano
realizzare sarebbero state in loro favore. Regali in cambio di diritti.
È
quindi molto naturale che la cultura indigena, qui prioritaria, abbia imparato
a relazionarsi con il bianco cercando di ottenere da lui quanti più regali
possibili. Convincere il bianco, anche con menzogne o sorrisi, a dare soldi o
beni non è per loro una forma di ipocrisia, ma semplicemente parte di una
dinamica secolare: “tu vieni per dominare e mi vuoi conquistare con i regali,
io mi lascio dominare e cerco di strappartene quanti più possibile”. Basta
prenderne coscienza, poi si impara a difendersi, sempre con un sorriso (in
questo l’esperienza con i poveri in Italia mi è indubbiamente di grande
aiuto…).
Mi
fermo qui. È un aspetto della vita di questo popolo, da accogliere senza
giudizio sia nei suoi aspetti più belli che in quelli per noi più problematici.
Il
Signore ci accompagni!

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