domenica 26 ottobre 2025

LA MISSIONE É ANCHE QUESTIONE DI... AFFETTIVITÁ

 

Un gruppo di canto



Paolo Bizzocchi

Oggi vorrei parlarvi di affetti, di diverso tipo.

Vengo su questo tema, perché è l’esperienza che sto sperimentando dopo il mio ultimo ritorno da Manaus. Forse anche a causa delle ripetute assenze, forse perché il mio portoghese sta diventando più comprensibile (anche se a comprendere quello che dicono gli altri a volte faccio ancora molta fatica), la cosa che in questi giorni sto riscontrando con piacere è l’affetto che diverse persone mi stanno mostrando, con un linguaggio ed espressioni che per certi versi sono molto vicine alle nostre, ma allo stesso tempo con un “sentire” che può essere molto diverso.

Come “funziona” qui il linguaggio degli affetti? Posso dare alcune piccole impressioni, partendo da quello che mi succede e da quello che vedo, chiaramente molto limitato. Io direi che ci sono tre linguaggi, tre modi di esprimere un legame.

 

AFFETTO FORMALE. Una cosa che da noi non si usa, ma che qui è importante. In un mondo dove tutto è un po’ comune, vi è un “linguaggio” affettivo che sostiene le “buone relazioni”. È difficile vedere due persone che litigano apertamente, udire risposte date in modo sbrigativo o scortese, alzare la voce davanti agli altri… anche se poi ci sono scontri forti e la violenza è parte del vissuto sociale e familiare, a volte in modo forte.  Ci sono saluti dati anche a distanza, sorrisi, saluti con la stretta di mano o anche l’abbraccio. Nulla di rumoroso o affettato, ma una serie di “rituali” che percorrono la vita quotidiana e che creano un certo clima di comunità.  D’altra parte, sono molto sensibili a qualsiasi forma di relazione “aggressiva”; per noi italiani, molto pragmatici anche a livello relazionale, questo non è sempre facile. Abituati a dire “pane al pane e vino al vino”, dobbiamo abituarci a dire le cose con molta attenzione e con la cura di non ferire nessuno, perché queste ferite non sono facilmente rimarginabili. È un popolo che ha subito molti attacchi, e gli risulta facile sentirsi attaccati.

AFFETTO SPONTANEO. È sempre calibrato in gesti caratterizzati da una certa finezza e formalità, che non vanno forzati. Quando si sentono accolti ed amati, diventano molto affettivi e lo dimostrano in modo semplice e bello, senza paura di esporsi in pubblico. Vi sono persone anziane che abbracciano e vogliono essere abbracciate, sempre con molta delicatezza, giovani che esprimono chiaramente la gioia di un incontro, persone che in modo molto aperto manifestano la stima con parole che vanno ascoltate finché non le hanno dette tutte. In questo non hanno molti filtri, si lasciano andare con una spontaneità vera, anche se sempre calibrata. All’opposto, gli è molto più difficile esprimere quello che non va ed i sentimenti negativi. Piuttosto che alzare la voce o entrare in discussione aperta – tranne alcune persone – preferiscono allontanarsi o anche sparire. Anche questo chiede molta attenzione, perché si possono perdere persone per motivi che noi non capiamo ed occorre la pazienza di andarle a cercare finché non riescono ad esprimere il loro malessere.

AFFETTO INTERESSATO. Questo è trasversale ed a volte può lasciarci stupiti. Chiedere soldi o altri tipi di aiuto qui è normale e la relazione di amicizia ed affetto non è una cintura di sicurezza contro questo tipo di “sfruttamento” nei nostri confronti. Anche una persona sinceramente amica in un certo momento può usare l’amicizia per ottenere un guadagno.  Tutto questo usando con molta disinvoltura la menzogna: inventare un falso bisogno (sempre “immediato”) per convincerci a dare denaro, non è considerato un male né tantomeno un “peccato”. È uno dei tanti strumenti di sopravvivenza. Questo non deve stupirci: non è mancanza di sincerità o tendenza ad approfittarsi di noi, ma semplicemente una eredità storica.  Da sempre uno strumento usato dagli europei per ottenere i terreni dei popoli indigeni per poi sfruttarli sono stati i regali. Le tribù indigene sono state sommerse di mercanzie regalate dai “bianchi”, per attenuare la loro forza di volontà, disabituandoli al lavoro ed alla caccia, e per convincerli che le opere che i bianchi volevano realizzare sarebbero state in loro favore. Regali in cambio di diritti.

È quindi molto naturale che la cultura indigena, qui prioritaria, abbia imparato a relazionarsi con il bianco cercando di ottenere da lui quanti più regali possibili. Convincere il bianco, anche con menzogne o sorrisi, a dare soldi o beni non è per loro una forma di ipocrisia, ma semplicemente parte di una dinamica secolare: “tu vieni per dominare e mi vuoi conquistare con i regali, io mi lascio dominare e cerco di strappartene quanti più possibile”. Basta prenderne coscienza, poi si impara a difendersi, sempre con un sorriso (in questo l’esperienza con i poveri in Italia mi è indubbiamente di grande aiuto…).

Mi fermo qui. È un aspetto della vita di questo popolo, da accogliere senza giudizio sia nei suoi aspetti più belli che in quelli per noi più problematici.

Il Signore ci accompagni!

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