Ciao a tutti e tutte!
Finita la celebrazione del Triduo, siamo tornati nella routine feriale di scuola, studio, servizi, preghiera, amicizie… anche se in un clima molto particolare e sospeso, con papa Francesco che continuava a guidare la chiesa ed a sollecitare il mondo dalla sua cassa mortuaria. Non so come l’avete vissuta voi, ma questo radunarsi di tanti capi di stato delle più diverse fatture attorno alla sua tomba, da molti criticato come “teatrino… ipocrisia…” e via dicendo, io l’ho letto come realizzazione del sogno di Francesco di farli incontrare e parlare, magari un po’ spiazzati e spogliati delle immagini, spesso poco gradevoli, che si sono costruiti ed in funzione delle quali agiscono. Se il famoso incontro di Zelensky e Trump su due seggiole appoggiate lì in mezzo a S. Pietro, senza nessun orpello, portasse a qualche risultato per i popoli dell’Ucraina e della Russia, credo che Francesco dal cielo farebbe salti di gioia per averli fatti incontrare con la sua morte; in un qualche modo si realizzerebbe ancora l’involontaria profezia di Caifa in Gv 11,50: “è conveniente che un solo uomo muoia per il popolo”.
Come l’abbiamo vissuta qui la morte di papa Francesco?
Perdonatemi se, non avendo molti fatti da raccontare, scrivo soprattutto dei ragionamenti…
Devo dire che per me è stata una cosa un po’ strana, perché in molti dei partecipanti al corso non ho sentito una partecipazione particolarmente sentita a quanto stava avvenendo. Nelle donne – una sposa e tutte le altre consacrate – la morte di Francesco è stata maggiormente sentita, ma in diversi uomini – preti o frati o in formazione, tutti di istituti missionari tranne noi tre italiani – in misura minore. Forse non apprezzavano Papa Francesco? Ho avuto anche questo cattivo pensiero, e forse per qualcuno potrebbe anche essere vero, ma poi ho cercato di andare un po’ più in profondità.
Credo che un fatto sia che a parte noi tre preti italiani e due sposi filippini, tutti gli altri sono religiosi di istituti missionari.
Cosa significa? Significa che per me, d. Alberto e d. Giuseppe è morto un padre, come avviene quando viene a mancare il vescovo. Poi questo padre può piacerci o può essere per noi una figura contrastante, può essere un padre dal quale ci sentiamo accompagnati e incentivati o un padre dal quale ci sentiamo abbandonati e castrati… ma è un padre.
Per noi diocesani – preti, e laici - la chiesa ed il nostro ministero ha questa forma essenziale, che è quella originaria: una comunità che ha nel Vescovo la figura di Gesù Pastore e nel Papa il vincolo di unità che ci dona un’apertura mondiale ed una tensione alla comunione. È questa e non altro.
Per un religioso la chiesa è questo ed è anche altro: è il suo istituto, è il santo o il fondatore di riferimento, è la specificità del suo carisma… Per questo può risultargli più connaturale che “morto un papa se ne fa un altro”, perché al di là del fatto istituzionale i suoi riferimenti sono anche (a volte soprattutto) altri. È un po’ quello che avviene anche in diversi movimenti ecclesiali, a volte con forme più cariche dal punto di vista affettivo e di appartenenza.
Non so se quello che sto scrivendo – soprattutto dal punto vista teorico - è tutto vero, ma di certo nella vita pratica non è tutto falso… Proprio oggi parlando con un giovane religioso gli ho chiesto: “da voi sul futuro papa si dice qualcosa? No, no, siamo impegnati con l’elezione dei nostri superiori…”
Una cosa bella è che sabato mattina dopo la Messa per il Papa abbiamo piantato un albero in sua memoria: una Jabuticaba, che è una pianta tipica molto robusta, che con il clima adatto produce frutti simili all’uva tutto l’anno: un po’ come Papa Francesco, che di frutti ne ha dati tanti.
Per chi ha pazienza, vi dico anche una cosa nuova su Brasilia. Abbiamo fatto una lezione con un po’ di storia della città e c’è un particolare che dice molto dello spirito brasiliano.
Brasilia venne edificata – nel suo nucleo – nel tempo record di cinque anni, dal 1955 al 1960: una fretta “politica” che costò la vita a molti lavoratori. L’idea della sua realizzazione era però molto precedente ed aveva l’origine nella necessità di spostare la capitale da Rio de Janeiro ad una località più lontana dal mare per ragioni di sicurezza militare.
La cosa “curiosa”, che dice molto dello spirito religioso brasiliano, è che la prima indicazione sulla scelta del luogo per costruire la nuova città venne fatta in base ad un sogno di S. Giovanni Bosco, fatto nell’agosto del 1883: sognò di essere in America Latina, fra il 15° ed il 20° parallelo, e di vedere li un luogo che sarebbe divenuto “una terra promessa”. In questa fascia di terreno il governo brasiliano cercò e trovò il luogo per costruire la città, che da subito assunse S. Giovanni Bosco come suo patrono.
Questo fatto, unito all’utilizzo di architetture avveniristiche, portò ad una concezione quasi “mistica” di Brasilia, come città del futuro e cuore di una umanità ad nuovo livello di sviluppo. La realtà fu ben diversa, perché pochi anni dopo l’inaugurazione, nel 1964, il governo trasferito a Brasilia fu occupato dall’esercito ed il sogno si trasformò nell’incubo di vent’anni di dittatura militare.
I sogni sono belli, ma vanno presi con attenzione –anche quelli dei santi -, perché il mondo creato e voluto da Dio trova pienezza solo nel terreno più concreto e quotidiano dell’amore…
Il Signore accompagni il nostro cammino pasquale!
d. Paolo
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