Ancora
un viaggio missionario, passando per le Comunità e celebrando la vita degli
uomini e delle donne, nella vita del Risorto. Maggio è il mese della Madonna
nella tradizione cattolica, ma qui le due feste maggiori sono la “festa della
mamma” e la “festa del Divino” (Pentecoste). Prima di partire Gabri mi dice:
“sai domenica è la festa dell’Ascensione, così ho detto al gruppo liturgico di
scegliere canti adeguati. Hanno scelto tutti canti della Madonna per la messa.
Ho chiesto perché? E la risposta è stata ovvia: era la Festa della Mamma!”.
Sono
partito come sempre il 10 del mese e domenica 12 è stata la Festa della Mamma,
quale maggiore esempio si poteva usare per parlare dell’amore di Dio. Come una
mamma che dona la vita, la porta in sé, la genera e la nutre, così il Signore
prima di morire in croce, assassinato dal potere religioso e politico, offre la
sua vita per amore e per tutti. È questo che l’Eucaristia rende attuale e
contemporaneo a ciascuno di noi. Oggi Dio ci ama con la sua presenza di amore
incondizionato e per tutti. La gratuità dell’amore sconfigge il male e
neutralizza la morte. Chi dona la sua vita non muore, ma risorge!
Nel
risalire il fiume ci fermiamo nella Comunità di Nuova Speranza, qui
il patrono è il Divino Spirito Santo, ci fermiamo per avvisare che faremo il
possibile per arrivare domenica 19 e celebrare insieme la Messa di Pentecoste.
Il nostro viaggio prosegue in pace, il livello dell’acqua un giorno sale per le
piogge e l’altro scende, così ci sono molti insetti che rendono più difficile
il viaggio, bisogna continuamente bagnarsi con alcool per il prurito e le
ferite lasciate su tutto il corpo, gambe, piedi, pancia, non si salva niente,
neppure le parti più nascoste! Ma non mi lamento, quando penso che la mia
gente, bambini, donne, anziani e giovani vivono tutti i giorni e tutto il
giorno in questa situazione, forse ci si abitua, ma non è facile!
Arriviamo
fino ad Ipiranga, pitturiamo la porta della chiesa perché il sole
ha ormai scalfito anche il legno, cinque mani di vernice non sono sufficienti a
renderla lucida, ma il barattolo è finito e così ci arrendiamo. Ipiranga è una
Comunità in difficoltà, molte famiglie se ne sono andate e le poche rimaste
spesso litigano fra loro aiutate dal grande consumo di alcool. I militari, che
potrebbero aiutare, di fatto rendono la situazione più difficile per la
relazione molto conflittuale con i civili. Mi preparo a trovarmi la chiesa vuota
la sera, deciso a scuotere la polvere dai calzari per provare a scuotere le
coscienze. Ma la sera, per mia meraviglia, la chiesa si riempie di bambini e
anche alcuni adulti, la moglie di un tenente, l’infermiere del villaggio, due
mamme, un sergente con la sua donna e il loro figlioletto. Così mi ricredo e
parlo loro dell’essere testimoni di speranza, perché conosciamo il fatto della
risurrezione che il Signore ha affidato come missione ai suoi e a noi oggi:
essere testimoni di speranza in un mondo segnato dal potere della violenza e
delle armi, dall’ingiustizia istituzionalizzata che ormai da troppo tempo
caratterizza la nostra Patria amata, escludendo milioni di persone da una
società che fabbrica ancora nuove povertà.
Al
mattino presto partiamo per il viaggio di ritorno, ci aspettano molte ore di
navigazione, passeremo in tre Comunità prima di arrivare per celebrare la Festa
del Divino. Mangiamo senza fermarci, uno guida e l’altro mangia, poi ci si
cambia. Così riusciamo ad arrivare verso le due del pomeriggio, la Messa è
prevista per le quattro e mezza. C’è molta gente, molti giovani e ragazzi,
tutti impegnati a giocare a calcio, musica a sballo, bagno nel fiume e,
naturalmente, qualche incontro amoroso sporadico. Il clima è molto bello, sono
arrivate due lance dalla città portando i parenti della signora che ha iniziato
la Festa del Divino. Entriamo anche noi nella mischia e condividiamo il momento
ludico, parlando del più e del meno, della vita, i giovani, la politica
(quest’anno ci sono le elezioni amministrative), del cammino della Chiesa e
anche della fede e i sacramenti. Naturalmente giovani e adulti erano un poco
alticci, reduci da una notte di molta musica e danze, tutto innaffiato da molta
birra e caipirinha. Torno alla barca per prepararmi per la celebrazione
eucaristica con un buon bagno che con questo caldo è indispensabile per la
sopravvivenza. Mentre mi faccio la doccia, dalla finestra della barca vedo un
gran movimento di persone che salgono sulle due lance caricando armi e bagagli,
e in pochi minuti tutti partono per rientrare in città prima della notte. Non
nascondo la mia amarezza, mi ero illuso che tutta quella gente, quei giovani e
adolescenti fossero venuti per partecipare a un momento festivo, della religiosità
popolare, che la loro nonna aveva preparato con cura offrendo cibo a volontà
per tutti, senza risparmiarsi. Chiunque arrivasse, anche se sconosciuto, aveva
il diritto di mangiare a sazietà, di riempirsi la pancia in onore della
promessa fatta al Divino. Perché così cominciano le feste: la signora ha avuto
una bimba con la sindrome di Down e si impegna a festeggiare il Divino tutti
gli anni, offrendo cibo e festa per tutti, oltre alla preghiera e alla recita
del rosario, in cambio della salute e protezione divina per questa bambina
eccezionale. Ormai da più di cinquant’anni la promessa è mantenuta e questa
religiosità popolare tiene unita la famiglia e la fede di quanti vengono
annualmente a partecipare dei festeggiamenti. Almeno così pensavo anch’io. La
bellezza e la forza della religiosità popolare come veicolo della fede. Ma,
purtroppo, lo scrosciare dell’acqua del bagno si confonde con l’acqua che i
motori delle lance schizzano, portandosi via tutti coloro che erano venuti alla
festa. Faccio buon viso a cattiva sorte e vado per celebrare con i pochi
rimasti, la signora e la figlia Down, il contadino che si prende cura delle
mucche e pochi vicini ticuna che abitano il territorio.
Per
mia grande sorpresa, entrando in chiesa, guidato dal suono della campana, vedo
una ‘moltitudine’ di persone venute come d’incanto dalle piccole Comunità
vicine: San Crisostomo, Unione della buona fede, Manacapuru, san Vincenzo,
Santa Maria. Mi guardo intorno, ancora commosso e sorpreso, li conosco tutti
per nome, famiglie, giovani, bambini che frequentano le nostre Comunità
Ecclesiali di Base. Sono li. Sono venuti per festeggiare il Divino, per
celebrare la Festa di Pentecoste. Ora con gioia tutto può cominciare, i canti,
la Parola, l’Eucaristia, l’abbraccio della pace, la comunione per tutti, i
biscotti per i bambini che piacciono anche agli adulti, ormai una buona
abitudine alla conclusione della Messa. Poi le cinque bandiere rosse del
Divino, e una bianca del responsabile per la festa, cominciano a danzare al
ritmo del tamburo che un provetto Ticuna suona con solenne rispetto. Una
bambina è coperta con un telo bianco e prende in mano la colomba del Divino.
Tutti usciamo e gli uomini fanno cadere il “mastro”, un alto palo che portava
la bandiera e annunciava a tutti la festa. Alla caduta del Mastro un giovane
corre a prendere la bandiera, sarà lui il responsabile per la festa del
prossimo anno, il 2025, anno santo della redenzione. E così ci si incammina
verso una grande canoa di otto metri, viene caricato il Mastro che percorrerà
un tratto del grande fiume prima di essere gettato alle acque che lo porteranno
fino all’Atlantico. Poi si ritorna in chiesa e la signora intona un vecchio
cantico allo Spirito Santo, un ‘Bendito’, e ogni volta che si pronuncia il nome
del Divino le bandiere si inchinano davanti alla grande colomba, fino a creare
un tunnel nel quale i presenti che lo desiderano possono passare per fare le
loro richieste di fede. Al termine tutti invitati nella casa grande della
signora per condividere un’ultima ‘calderada’, zuppa di pesce, dandosi
appuntamento per il prossimo anno, “se Deus quizer”, se Dio lo vorrà.
Allora
mi chiedo, mentre mi preparo per la notte, quale valore ha ancora la
religiosità popolare? Quanto le tradizioni degli uomini possono ancora
sostenere la Tradizione della Chiesa e la sua Missione? Certamente per le
persone di una certa età, di un’altra generazione rimane un valore importante,
quasi una impossibilità concreta di pensare la Fede al di fuori di questa
religiosità. Ed è importante saper rispettare questo cammino. Ma per i giovani
e per le nuove generazioni, per coloro che non hanno più un legame religioso e
non conoscono più il Vangelo e la Chiesa, non è più un cammino di Fede. Rimane
l’attrattiva per l’incontro, la festa, la musica e la danza, per l’occasione di
mangiare e divertirsi, senza che tutto questo sia vissuto come cammino di Fede,
ma è ormai una esperienza fine a sé stessa, chiusa nel suo consumarsi. Così
molti “consumano” e pochi “camminano” verso la Fede. È diventata come una
vetrata opaca che nasconde quel Mistero che ormai pochi possono e riescono ad
incontrare. E mi venivano in mente le tante discussioni nelle nostre vecchie e
stanche parrocchie, dove si devono salvaguardare le tradizioni degli uomini,
che ormai non dicono più nulla alle nuove generazioni. Riti vuoti di
significato nati in tempi e contesti che ormai appartengono a un passato già
morto. Mi interrogavo: quale cammino viene dal Vangelo e non dalla tradizione
degli uomini, quale luce ancora potrà brillare per condurre alla gioia della
Fede, della Speranza e dell’Amore. Gli occhi erano ancora pieni di quei volti
conosciuti, che riempirono i banchi della chiesa, provenienti da piccole
Comunità che hanno accolto la sfida di celebrare la Parola, spezzare il Pane,
condividere la Preghiera e prendersi cura della Vita gli uni degli altri,
affinché nessuno sia bisognoso e abbandonato.
Forse
dobbiamo ritornare lì, alla bellezza e semplicità del Vangelo che chiede a
ognuno di noi di impegnarsi per la vita di tutti. Anche la religiosità popolare
e le tradizioni dovranno passare al crogiuolo del Vangelo ed essere purificate
dalle troppe incrostazioni del tempo e ritrovare la freschezza della fraternità
sostenuta dalla gratuità dell’amore del Signore. Allora mi addormento pregando:
Vieni santo Spirito e rinnova i cuori dei tuoi fedeli, vieni padre dei poveri,
vieni datore dei doni, consolatore perfetto, dolcissimo sollievo; vieni e
riempici della luce e della gioia dell’Amore gratuito e fedele del Dio che è
con noi e per noi. Amen!
Gabriel Carlotti –
missionario dell’Amazzonia
Santo Antonio do Içà, 17 maggio 2024 – giornata
internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.