Ciao a tutti e tutte.
Vi scrivo alla fine di
una settimana molto normale e molto speciale.
Lo “speciale” lo intuite
da soli, con l’elezione di Papa Leone che segnerà il cammino della chiesa – ed
in parte dell’umanità - nei prossimi anni. “Ti piace il nuovo Papa?”, “Non ti
piace il nuovo Papa?”, “Come vestirà il nuovo Papa?”, “Che macchina userà il
nuovo Papa?”, “Dove abiterà il nuovo Papa?”…
È così: in questi giorni
abbondano le banalità ed il bisogno di conferme immediate, di qualcosa che ci
dica che il “nuovo Papa” è come lo vogliamo o è diverso, che possiamo amarlo
come l’amato Francesco o odiarlo come l’odiato Francesco…
Credo che la domanda più
opportuna invece sia: come ci disponiamo davanti al nuovo Papa? Con quale
capacità di accoglienza stiamo davanti a lui? Saremo capaci di accogliere le
cose che non ci piacciono o non entrano nelle nostre idee – e quindi sono utili
per la nostra conversione – come un’occasione per purificare la nostra fede ed
il nostro modo di essere chiesa? Saremo capaci di accogliere le cose più vicine
alla nostra sensibilità come uno stimolo per un rilancio purificato, che vada
al di là degli aspetti di contorno e colga sempre più il nucleo profondo del
nostro cammino cristiano? Oppure diremo, come i discepoli di Gesù nel Vangelo
di oggi: “questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”… abbiamo già le nostre
belle idee, progressiste o conservatrici o mezze e mezze o nulla di tutto,
perché fare la fatica di andare oltre e di cambiare? (vedi Gv 6,60)
Scrivo questo stimolato
dall’esperienza che sto vivendo in queste settimane qui a Brasilia, guardando
alla comunità con la quale sto condividendo il cammino di formazione. Siamo più
di trenta missionari di diciotto paesi e quattro continenti (manca l’Oceania,
anche se la Indonesia vi confina): credo che sia un’esperienza unica e
difficilmente ripetibile.
Cosa posso dire di questa
esperienza “mondiale”? Tante cose, ma vi risparmio e ne dico solo una: la
grande esperienza di “differenza” all’interno del mondo missionario.
Noi (intendo noi italiani
e reggiani) abbiamo una nostra idea di missionario, legata in parte alla nostra
esperienza ed alla nostra situazione.
Abbiamo l’idea di un
missionario che “va ad aiutare” e “fa delle cose”, anche perché siamo una
chiesa ricca e generosa: quando dici che sei italiano la prima cosa che gli
altri pensano è che hai dei soldi e puoi usarli…
Abbiamo l’idea di un
missionario che “è avanti”, che ha una immagine di chiesa “profetica” e che
pensa e realizza cose che noi “chiesa vecchia” che è in Italia non riusciamo a
pensare e realizzare.
Abbiamo l’idea di un
missionario che “si sacrifica” e va a vivere in situazioni difficili
rinunciando a tante comodità che in Italia può avere e che quindi è un po’
“eroico”.
Ebbene, posso annunciarvi
che sono tutte idee molto “nostre”… e che, grazie a Dio, la realtà missionaria
è molto molto molto più variegata. Non dico che le nostre idee siano sbagliate,
ma è importante cogliere che sono “idee” e sono “nostre”, e quindi non vanno
assolutizzate.
Di fatto qui la nostra
composizione è molto variegata: vi è chi ha un interesse vivo per l’aiuto ai
poveri e chi non nasconde la tensione ad una vita sufficientemente agiata, chi
peggiora la propria condizione economica – abitativa e sociale e chi la migliora,
chi ha una forte coscienza ambientale e chi getta il cibo o mescola i rifiuti,
chi ha interessi che guardano al mondo e chi mi chiede se l’Italia è in America
(ma anch’io ho sperimentato di non conoscere bene la geografia asiatica…), chi
vive un intenso spirito missionario e chi legge il proprio trasferimento come
l’invio in una filiale all’estero, chi ha un atteggiamento “progressista” e chi
“conservatore” e chi è progressista a livello ecclesiale e conservatore a
livello sociale o l’opposto… Insomma, c’è di tutto.
Non si può negare che per
un certo numero di persone la vocazione missionaria è legata semplicemente al
fatto che nella loro parrocchia avevano religiosi missionari o con case in
diverse parti del mondo (sono cose diverse) e che quindi hanno fatto il loro
cammino vocazionale con quella congregazione religiosa anziché con altri.
Dico questo non per
screditare o togliere valore, anzi! La chiesa è bella nella sua varietà.
Racconto questo per
invitarci ad avere una mentalità aperta, capace di cogliere ed apprezzare anche
queste realtà nella loro complessità. Altrimenti restiamo chiusi nelle nostre
quattro idee e non vediamo la Grazia di Dio che opera fra noi. Ad esempio: anche
nelle nostre diocesi abbiamo religiosi, religiose e preti provenienti
dall’estero, che sono fra noi per diverse ragioni: li consideriamo “missionari”
come noi italiani che partiamo per l’estero, o semplicemente “stranieri”
capitati fra noi e che devono adattarsi ai nostri costumi?
Termino con due piccoli
avvenimenti sul tema:
- alcune persone mi hanno
visto mentre scrivevo per voi ed ho spiegato loro che per noi missionari
diocesani il contatto con la chiesa di provenienza è importante, perché
attraverso noi tutta la nostra chiesa deve sentirsi missionaria. Erano stupiti
di una cosa per loro nuova, ed hanno apprezzato molto!
- qui a Brasilia abbiamo
conosciuto un missionario Pavoniano di Brescia ora ottantenne, che è qui da
cinquant’anni. Rispondendo al carisma pavoniano ha fondato e fatto crescere un
grande istituto che segue soprattutto bambini e ragazzi sordi e muti ed ora
anche ragazzi autistici. Una cosa davvero bella, con più di cento dipendenti ed
un’alta professionalità.
Con il sorriso ironico di
chi ha imparato ad inghiottire molti rospi, ci ha confidato: “visto il lavoro
che faccio (di tipo dirigenziale e professionale) ci sono ancora persone che
dicono che io non sono un missionario…”.
Quando ci si ferma alle
proprie idee, si perdono tante occasioni di Grazia…
Ho parlato della nostra
comunità: vi saluto con le foto di alcuni momenti di festa che ci hanno
accompagnato!
d. paolo