Paolo Bizzocchi
Lettere, diari e notizie dalla missione in Amazzonia della diocesi di Reggio Emilia e Guastalla
Paolo Bizzocchi
Cattedrale di Brasilia, capitale del Brasile
Ciao a tutti ed a tutte!
La vita di Brasilia non è certamente quella di S. Antonio: lezioni, studio, preghiera, un po’ di vita comunitaria, lezioni, studio preghiera, un po’ di vita comunitaria, lezioni… Ma ogni posto ed ogni situazione ha qualcosa da cogliere e su cui riflettere, per cui anche da qui vi scrivo volentieri.
Innanzitutto, qualcosa di Brasilia. Di certo non conosco la città, ma nelle poche occasioni nelle quali sono uscito ho avuto un’impressione strana, quasi di un ruolo surreale. Grandi strade, grandi piazze, grandissimi palazzi e… pochissima gente in giro. Le strade sono autostrade, ma anche alle 17.30-18 il traffico è piuttosto limitato; in altri orari quasi assente. Ho percorso a piedi più di tre km sulle strade dietro casa attraversando la zona del circuito automobilistico Nelson Piquet, dello stadio, della piscina, dell’enorme palasport… non un bar, non un punto di ritrovo. Sono uscito il sabato pomeriggio: tutti i negozi chiusi – tranne il supermercato – e la poca gente radunata attorno ad una gelateria e ad un paio di bar, pur essendo in un quartiere residenziale. Insomma: una città che pare vuota. Il confronto con il caos di cani, moto, persone, bambini di S. Antonio è inevitabile!
In questi grandi spazi, la scorsa domenica con due amici siamo andati a visitare la Cattedrale dedicata alla “Nossra Senhora Aparecida”, un vero capolavoro dell’arte moderna dell’architetto brasiliano Oscar Niemeyer. Iniziata nel 1958 e conclusa nel 1970, è un’imponente struttura circolare di cemento armato e vetro circondata da un fossato, che rappresenta due mani che si innalzano verso il cielo. Si entra da un tunnel che passa sotto il fossato e si viene catalizzati dal cielo colorato che si apre al di sopra di noi, abitato da enormi angeli che paiono custodire il luogo di fede. Da un punto di vista pratico è stata un disastro: un’edificio in cemento, acciaio e vetro in un luogo ove le temperature estive si avvicinano ai 40° è tutto un dire… ed anche l’amplificazione è impossibile. Inoltre agli inizi degli anni ’80 diverse vetrate erano già cadute e chiesero una profonda ristrutturazione e consolidamento. Ma noi possiamo goderne la bellezza, lasciando i problemi ad altri!
Andando alla cattedrale, ho avuto uno strano “incontro” che mi sta facendo riflettere: in una enorme piazza quasi vuota, su una bella vettura pick-up… un “pregatore”, che chiamava le persone per ricevere una preghiera. Ho visto due donne avvicinarsi ed una di esse è andata vicino all’uomo che ponendo le mani sul suo capo ha iniziato a chiedere per lei ogni sorta di benedizioni riguardanti la vita ordinaria (salute, benessere…). Vista la macchina del ministro, posso dedurre che alla fine di tutto vi sia stata un’offerta adeguata.
È una cosa che colpisce e rimanda alla religiosità estremante “pratica” di questo popolo, che collega spontaneamente la fede alla ricezione di particolari benefici. Si tratta di una fede “naturale”, sostanzialmente pagana, che cinque secoli di cristianesimo hanno toccato solo in parte.
Collego questo ad un altro fatto. Facendo lezione di portoghese, un po’ per insegnarci i numeri ed un po’ per collegarci al Brasile, le insegnanti ci hanno organizzato un “Bingo”, che è praticamente una tombola. A S. Antonio avevo già sperimentato come il Bingo riempisse le piazze, ma pensavo fosse un fenomeno legato agli strati più popolari ed incolti, come sono gli abitanti dei nostri paesi. Ed invece me lo sono ritrovato animato con lo stesso entusiasmo a Brasilia, con persone giovani e laureate che certamente lo avevano organizzato a scopo didattico, ma lo vivevano con gioia e partecipazione.
Sperando di non esagerare, però mi sono fatto un’idea: questo popolo vive nel cuore il desiderio di ricevere una salvezza. Che questa salvezza venga dal dio cristiano, da un pregatore ambulante, dal sorteggio di palline numerate è un fattore secondario. Il centro è che attendono una salvezza, una “boa sorte”. Questo li rende molto diversi da noi, per certi aspetti meno “imprenditori”, per altri più aperti ad accogliere la vita per quella che è ed avere speranza. Per noi occidentali la salvezza è una cosa che innanzitutto ci dobbiamo creare noi, con le nostre forze, la nostra iniziativa ed il nostro impegno. Solo secondariamente e con fatica accettiamo che sia un altro a salvarci, lo viviamo come una sconfitta delle nostre capacità… e facciamo fatica ad avere un sentimento religioso forte.
Non dico che una cosa sia migliore dell’altra, ognuna ha le sue potenzialità ed i suoi limiti. Di certo l’incontro fra la loro impostazione di vita e la nostra, quando vissuto con umiltà ed apertura di cuore, è una grande ricchezza. Forse loro possono imparare da noi ad essere un po’ più “reattivi”, ma noi possiamo certamente imparare da loro ad essere meno autosufficienti, meno presuntuosi delle nostre capacità e più disponibili a farci aiutare da Dio e dagli altri…
Ad ognuno è chiesto un cammino di conversione diverso e l’incontro aiuta tutti a viverlo!
Un buon cammino quaresimale a tutti voi!
Ciao a tutti e tutte!
Paolo Bizzocchi
Ad otto giorni dalla partenza da S. Antonio e dopo due giorni e mezzo di viaggio, eccomi a Brasilia in questa nuova esperienza di formazione che ha lo scopo di introdurmi nella lingua e nella cultura brasiliana.
Di Brasilia non ho ancora visto praticamente nulla, sono uscito per fare un po’ di spesa e per andare al cinema a vedere “Ainda estou aqui”, il film sul regime militare che per vent’anni ha oppresso il Brasile. Oggi e domani uscirò un poco, ma visto che appena arrivato sono dovuto entrare nel ritmo della scuola penso anche di fermarmi e riposare. Il tempo per vedere Brasilia non mancherà. Al momento, la cosa che mi ha colpito nel poco tempo trascorso fuori dalla nostra struttura è l’ambiente piuttosto asettico, molto pulito ma molto vuoto, con alti e luminosi palazzi e gente che cammina frettolosamente, con strade enormi che da sole conterrebbero un bel pezzo di S. Antonio… un bel salto! Siamo collocati vicino al centro: Brasilia è una città unica, costruita su un disegno architettonico che la dà la forma di un uccello o di un aereo. Noi siamo all’inizio della “Asa nord”, cioè dell’ala sinistra: un paio di km a piedi e siamo nel corpo centrale, ove si trovano i maggiori monumenti della città.
Al momento però l’attenzione è sulla comunità di missionari e missionarie che con me ha iniziato questo cammino di formazione. Qui le cose si fanno interessanti e “calde”: siamo in 36 di 18 nazionalità diverse, con un’età che va dai 25 anni di Francisco, seminarista del Togo che sembra un ragazzino, ai 61 del sottoscritto, che se ho ben colto detengo il primato di anzianità (anche se del 1964\65 siamo in tre o quattro). Europei siamo solo in quattro: io ed altri due italiani coi quali avevo fatto il corso a Verona e Rafael, seminarista salesiano della Croazia, trentenne con fisico da nuotatore. Poi… il mondo: molti dell’Africa nera, di diverse nazionalità (Togo, Nigeria, Zaire, Burundi, Congo, Etiopia…); molti asiatici, soprattutto dell’estremo oriente (Corea, Vietnam, Indonesia, India…); due messicani (uno dei quali opera in Alto Solimoes) e nessuno del Nord America o dell’Oceania. Questa incredibile concentrazione di mondo concentrata in un unico obiettivo e con le medesime difficoltà ha creato da subito un clima di forte ricerca ed interesse reciproco, con la fatica di iniziare una comunicazione in una lingua che ancora non conosciamo (noi italiani ci stiamo impegnando a parlare in portoghese, gli africani anglofoni sentono ancora fortemente la tentazione dell’inglese…). Ieri abbiamo fatto insieme la Via Crucis: per la difficoltà della lingua e la carenza di un patrimonio di canti comune, le liturgie sono ancora piuttosto ingessate e scarne, anche se molto sentite; finita la celebrazione, nel salone il gruppo africano ha iniziato spontaneamente a fare i canti delle loro diverse tradizioni… ed alla sobrietà della liturgia quaresimale si è sostituita una vitalità incredibile, che dona molto forza all’impegno comune.
Una piccola riflessione su quello che sto vedendo. Come dicevo, su 36 partecipanti siamo solo 4 europei, 3 dei quali italiani. Questo dice indubbiamente dove sta il futuro della chiesa cattolica e denuncia la profonda crisi della cristianità occidentale, europea e nord americana. Al contempo ho però constatato che la maggioranza degli africani ed asiatici appartengono a congregazioni religiose e missionarie di origine europea e soprattutto italiana; diversi di loro hanno fatto un periodo in Italia, i Saveriani e le saveriane sono passati da Parma ed uno di loro ha recentemente studiato nell’Istituto Teolgico Interdiocesano di Reggio. La chiesa italiana ora è in forte difficoltà, ma intanto ha seminato nel mondo un vastissimo campo di vangelo e vocazioni che ora stanno portando un frutto abbondante!
Questo ci riporta quasi spontaneamente a quanto ha detto Gesù: se il chicco di grano non muore, rimane solo, ma se muore porta molto frutto. La chiesa italiana pare quasi moribonda e noi ci lamentiamo di questo, ma forse potremmo fare una lettura più evangelica del nostro tempo ecclesiale. Noi, chiesa italiana ed europea, stiamo morendo perché questo è il tempo del raccolto abbondante di quanto in mezzo a noi è stato seminato, soprattutto dalla metà del XIX e per buona parte del XX secolo! Salesiani, Saveriani, Comboniani, Pallottini, Scalabriniani, Missionari del PIME… che da noi sono quasi estinti o molto anziani, in Africa ed Asia stanno fiorendo con vocazioni giovani e motivate e di questo non possiamo che gioire! Noi siamo il seme che muore e sta producendo molto frutto, non dovremmo rendere grazie a Dio di questo?
Certamente, morire non piace a nessuno… ma i nostri agricoltori ci insegnano che perché il frutto nasca, l’inverno è importante come la primavera e l’estate (ed anche che la fretta di uscire dall’inverno e fruttificare è una fregatura, perché poi vengono le gelate di marzo…).
Pensiamoci su, e forse troveremo la strada per uscire dallo sterile (e demoniaco) pessimismo che facilmente ci prende.
Allego una foto del nostro gruppo, che stamattina ha celebrato con un gruppo di diaconi brasiliani (con tanto di vescovo) presente qui per una formazione.
Dopo la secca adesso il fiume è immenso
Paolo Bizzocchi
Ciao a tutti e tutte.
Mentre aspetto la lancha (il battello veloce) che da S. Antonio mi porterà a Manaus, provo a scrivere due cose su questi quattro mesi iniziali di esperienza brasiliana.
Sono arrivato a S. Antonio a metà novembre, con il Rio Solimoes piuttosto basso: arrivare con le due valigie e lo zaino e salire la stramba scala di legno che porta dalla chiatta portuale alla strada non era stata un'esperienza particolarmente piacevole, anche per la paura di cadere ed iniziare la missione con una figuraccia da manuale. Ora riparto che il fiume è quasi alla massima altezza ed il pontile di accesso è comodo e sicuro: si, sono stati mesi che hanno riempito la mia vita di tante cose nuove e mi hanno dato un nuovo tipo di sicurezza.
Come è avvenuto questo riempimento? In un modo molto semplice: svuotando, svuotando, svuotando... e c'è ancora tanto da svuotare.
Svuotando. La cosa è molto semplice. Fino sei mesi fa portavo la responsabilità di sette parrocchie, di una casa di riposo, di una scuola materna (per diverso tempo due). Di quello che facevo mi sentivo sicuro, avevo l'impressione di avere una buona coscienza ed esperienza di quello che facevo. Arrivato a S. Antonio, dopo un giorno sulla carta ero parroco, ma di fatto mi sono trovato ad essere un bambino: non sai parlare, non sai come muovermi, non sai il significato che viene dato ai tuoi gesti, non hai gli strumenti per decifrare il comportamento di chi hai davanti, non sai comperare un pó di pane e non capisci quanti soldi devi dargli per preparare qualche parola di omelia ti occorrono ore e devi sottoporti alla correzione di quello che hai fatto. Un bel salto, nulla da dire.
Fatto questo vuoto - che arriva tutto in una volta, ma te ne rendi conto nel giro di qualche settimana - piano piano si apre (non automaticamente) lo spazio per iniziare un graduale e lentissimo riempimento. Non è automatico, perché la tentazione di chiudersi nel proprio spazietto restante è forte: qui la preghiera è un aiuto enorme, non perché consola, ma perché spinge sempre nuovamente fuori. Cosa è entrato? Innanzitutto le debolezze e le paure che non credevo più di avere: quelle sante e benedette debolezze che mi hanno rimesso a contatto con la mia umanità più umana. Poi iniziano ad arrivare le persone: tu non le vedi, perché ti sembrano tutte uguali ed ugualmente distanti, ma loro ti vedono e ti distinguono bene e sono contente di darti un saluto quando passi per strada, di mostrare curiosità per questo "padri" che non parla la loro lingua, di farti vedere le loro cose, di dire con orgoglio una parola in un italiano stropicciato come il mio portoghese. Poi entra la storia, la storia colma di sofferenze e speranze di un popolo, di un paese, di una comunità cristiana, di singole persone che ti fanno capire che avrebbero voglia di parlarti: cosi ho avuto il privilegio di iniziare a volergli bene e di iniziare a sentirmi voluto bene.
Esteriormente in quattro mesi è cambiato pochissimo e soprattutto la lingua ben al di là dal venire: per questo sono contentissimo di partire per Brasilia e fare questi tre mesi di corso di lingua e cultura. Interiormente il cammino invece è stato tanto: siamo ancora agli inizi, ma essere qui è davvero un processo di rinascita (che passa sempre attraverso la morte...: la Pasqua non un teoria, è la logica della vita umana).
Forse sarebbe stato meglio arrivare sapendo già la lingua? Indubbiamente, sarebbe stato di aiuto a me ed al povero d. Gabriele, che si è dovuto assumere il carico di tutto. Di certo però arrivare spoglio come sono arrivato mi sta consentendo di lavorare molto su di me, e questo di solito .porta buon frutto
Ora parto. Domani prima di sera sarò a Manaus e lunedì prenderò l'aereo per Brasilia, da dove tornerò a giugno.
Ci sentiamo da Brasilia!
Una quaresima feconda a tutti e tutte voi!
Buona festa della Trinità a tutti e tutte! Rieccomi a S. Antonio, in un “secondo arrivo” non meno significativo del primo. Il cambiamento...