Ciao a tutti e tutte!
Ultime settimane a
Brasilia: più volte mi è sembrato di avervi detto tutto quello che era dicibile
da qui, ed invece c’è sempre qualcosa di nuovo che viene donato e che si può
donare.
Quest’ultima parte del
corso, unisce all’insegnamento della lingua incontri di formazione per aiutarci
a comprendere la realtà nella quale andiamo ad inserirci ed il nostro compito,
la nostra missione di annunciatori del Vangelo in un contesto storico e culturale
ben determinato.
Vi riporto solo una cosa
che ho raccolto, anche perché si collega a fatti di attualità italiana.
Abbiamo avuto un incontro
con pe. Joachim Andare, missionario indiano in Brasile da 34 anni e professore
universitario di antropologia, che ci ha parlato di “inculturazione e
interculturalità”. È interessante che la lettura non è stata fatta dalla parte della
nazione che accoglie, ma dalla parte dello straniero, che siamo noi missionari.
La questione era come
considerare la nostra cultura di origine in rapporto alla nuova cultura nella
quale ci stiamo inserendo, considerando che noi arriviamo come stranieri
mediamente più ricchi e dotati delle popolazioni nelle quali siamo chiamati ad
inserirci.
Innanzitutto, ci ha
presentato un ventaglio di possibilità: da chi sta in missione anni, ma di
fatto non si stacca mai da casa e vive nel nuovo contesto come un estraneo, a
chi cerca di “cancellare” la sua identità originaria per immergersi
completamente – e spesso un po’ ingenuamente – nella nuova cultura.
Ci ha quindi parlato di
“interculturalità”, nome un po’ strano che significa la lenta e progressiva
creazione di un qualcosa di nuovo in noi ed attorno a noi: essere chiaramente e
coscientemente italiano, per poter accogliere ed amare la cultura brasiliana,
che comunque non sarà mai la “mia” cultura. La cosa bella che ne esce, e che
lui ci ha detto più volte, è che per amare ed accogliere la nuova cultura
dobbiamo amare e custodire la nostra, in un incontro che può essere fecondo per
l’Italia ed il Brasile, perché se ne esce entrambi un po’ cambiati,
positivamente “contagiati” dall’altro. Lo diceva anche di lui stesso: sono qui
da 34 anni e per quanto mi riguarda ci starò fino alla morte, ma sarò sempre un
indiano che incontra ed ama il Brasile, non un brasiliano.
Ho letto questa cosa su
di me e sui miei amici, ma l’ho letta anche dall’altra parte, pensando a chi
arriva nel nostro paese.
Ho pensato quanto siano
insensati i discorsi di “italianizzazione” che ogni tanto si sentono, un
“devono diventare come noi” nel senso di dimenticare la loro origine e cultura.
Invece, solo se potranno vivere e continuare ad amare la loro cultura, sentendosi
profondamente accolti, potranno lentamente imparare ad amare anche la nostra e
potranno nascere quei “nuovi italiani” che sono il futuro del paese (non è una
tirata “caritatevole-moralistica”, i numeri sulla nostra natalità parlano
chiaro…).
Ed allora, chiedendo
perdono se per una volta esco dal confine brasiliano, “sentendo” le cose come
italiano all’estero che non può esercitare il diritto di voto, in prospettiva
dei prossimi referendum chiedo gentilmente a qualcuno di andare a votare anche
per me, soprattutto sul referendum per semplificare le procedure per ottenere
la cittadinanza. “Solo se amerete la vostra cultura potrete amare la cultura
del Brasile” – “Solo se potranno amare e vivere la loro cultura potranno
amare la cultura dell’Italia”. Solo se potranno vivere le tradizioni, i
valori positivi, la religione nella quale sono nati e cresciuti potranno
percepire positivamente il nostro paese, le nostre tradizioni, la nostra
religione… e perché avvenga questo la cittadinanza è un requisito importante.
Quindi, grazie se votate
anche per me.
Buona Ascensione del
Signore!
Il Signore ci accompagni
tutti e tutte!