sabato 31 maggio 2025

Per amare ed accogliere la nuova cultura dobbiamo amare e custodire la nostra

 



Ciao a tutti e tutte!

Ultime settimane a Brasilia: più volte mi è sembrato di avervi detto tutto quello che era dicibile da qui, ed invece c’è sempre qualcosa di nuovo che viene donato e che si può donare.

Quest’ultima parte del corso, unisce all’insegnamento della lingua incontri di formazione per aiutarci a comprendere la realtà nella quale andiamo ad inserirci ed il nostro compito, la nostra missione di annunciatori del Vangelo in un contesto storico e culturale ben determinato.

Vi riporto solo una cosa che ho raccolto, anche perché si collega a fatti di attualità italiana.

Abbiamo avuto un incontro con pe. Joachim Andare, missionario indiano in Brasile da 34 anni e professore universitario di antropologia, che ci ha parlato di “inculturazione e interculturalità”. È interessante che la lettura non è stata fatta dalla parte della nazione che accoglie, ma dalla parte dello straniero, che siamo noi missionari.

La questione era come considerare la nostra cultura di origine in rapporto alla nuova cultura nella quale ci stiamo inserendo, considerando che noi arriviamo come stranieri mediamente più ricchi e dotati delle popolazioni nelle quali siamo chiamati ad inserirci.

Innanzitutto, ci ha presentato un ventaglio di possibilità: da chi sta in missione anni, ma di fatto non si stacca mai da casa e vive nel nuovo contesto come un estraneo, a chi cerca di “cancellare” la sua identità originaria per immergersi completamente – e spesso un po’ ingenuamente – nella nuova cultura.

Ci ha quindi parlato di “interculturalità”, nome un po’ strano che significa la lenta e progressiva creazione di un qualcosa di nuovo in noi ed attorno a noi: essere chiaramente e coscientemente italiano, per poter accogliere ed amare la cultura brasiliana, che comunque non sarà mai la “mia” cultura. La cosa bella che ne esce, e che lui ci ha detto più volte, è che per amare ed accogliere la nuova cultura dobbiamo amare e custodire la nostra, in un incontro che può essere fecondo per l’Italia ed il Brasile, perché se ne esce entrambi un po’ cambiati, positivamente “contagiati” dall’altro. Lo diceva anche di lui stesso: sono qui da 34 anni e per quanto mi riguarda ci starò fino alla morte, ma sarò sempre un indiano che incontra ed ama il Brasile, non un brasiliano.

Ho letto questa cosa su di me e sui miei amici, ma l’ho letta anche dall’altra parte, pensando a chi arriva nel nostro paese.

Ho pensato quanto siano insensati i discorsi di “italianizzazione” che ogni tanto si sentono, un “devono diventare come noi” nel senso di dimenticare la loro origine e cultura. Invece, solo se potranno vivere e continuare ad amare la loro cultura, sentendosi profondamente accolti, potranno lentamente imparare ad amare anche la nostra e potranno nascere quei “nuovi italiani” che sono il futuro del paese (non è una tirata “caritatevole-moralistica”, i numeri sulla nostra natalità parlano chiaro…).

Ed allora, chiedendo perdono se per una volta esco dal confine brasiliano, “sentendo” le cose come italiano all’estero che non può esercitare il diritto di voto, in prospettiva dei prossimi referendum chiedo gentilmente a qualcuno di andare a votare anche per me, soprattutto sul referendum per semplificare le procedure per ottenere la cittadinanza. “Solo se amerete la vostra cultura potrete amare la cultura del Brasile” – “Solo se potranno amare e vivere la loro cultura potranno amare la cultura dell’Italia”. Solo se potranno vivere le tradizioni, i valori positivi, la religione nella quale sono nati e cresciuti potranno percepire positivamente il nostro paese, le nostre tradizioni, la nostra religione… e perché avvenga questo la cittadinanza è un requisito importante.

Quindi, grazie se votate anche per me.

 

Buona Ascensione del Signore!

Il Signore ci accompagni tutti e tutte!

domenica 25 maggio 2025

GIORNATE INTENSE AL CORSO DI BRASILIA

 




Ciao a tutti e tutte!

Vi scrivo al termine di una settimana che con un termine gentile definisco “intensa”, ma con cuore reggiano posso dire “pesante”, caratterizzata da lezioni ed incontri (chiaramente in portoghese) che hanno riempito le nostre giornate, senza lasciarci molto respiro. Ne vale la pena, anche perché sono le ultime settimane e visto che ora iniziamo a capirci qualcosa, vanno vissute intensamente, ma non posso negare che alla fine la testa è proprio stanca… É una fatica che non conoscevo: vivere in un ambiente ove capire e parlare è un impegno, ove il collegamento fra l’interiorità del cuore e della mente e l’espressione nelle parole (ed anche nei gesti) non è spontanea, ma chiede una mediazione laboriosa e non sempre coronata di successo. Fino ad ora potevo dire: non conosco la lingua, mi tiro fuori e pace…; ora che conosco (poco) il portoghese non posso più dirlo, comincio a mettermi dalla parte di chi vuole e deve capire e parlare ed è un impegno grande. È chiaro che non posso evitare di pensare agli amici egiziani coi quali ho vissuto a Campegine ed a tutti i nuovi italiani che vivono in mezzo a noi, che per anni vivono questa fatica e spesso senza gli aiuti necessari, ma anche a tutte le persone con difficoltà comunicative ed a chi non ha gli strumenti culturali per poter dire e “potersi” dire… 
Guardo con una certa preoccupazione anche ai giovani partecipanti al nostro corso, che ancora non sono religiosi e sono stati mandati qui a fare il loro cammino di formazione: Mingh e Dingh che vengono dal Vietnam, Francisco che viene dal Togo, altri che sono già un po’ più strutturati di loro, ma ancora giovani. Penso ai giramenti di testa e di cuore che io vissi negli anni di formazione in seminario e nei primi anni di ministero: grazie a Dio avevo vicino formatori e uomini di fede capaci di capire anche le parole che non riuscivo a dire… Loro come faranno a parlare della loro interiorità con formatori e con un popolo del quale conoscono appena la lingua e che non conosce la loro cultura, i loro significati, il loro modo di vivere la fede?.. mah… Ci sono scelte anche all’interno della chiesa che mi lasciano per lo meno perplesso… 
Penso anche ai nostri dialoghi “normali” fra italianissimi e cristianissimi: forse tante volte diamo troppo per scontato di capire quello che ci viene detto e non mettiamo in dubbio le nostre interpretazioni. Abbiamo sempre bisogno di imparare la lingua dell’altro.




Nella nostra struttura questa settimana abbiamo anche avuto un corso di formazione sulla missionarietà per preti provenienti da tutto il Brasile. Fra questi “ospiti” si notava uno con uno strano cappellino in testa, tipo vescovo o papa, che non concelebrava. Un po’ casualmente mi sono trovato a parlare con lui, che ha un ottimo italiano perché è stato in Italia alcuni anni. Ho così scoperto che lo strano copricapo era una kippà ebraica: di nazionalità israeliana (lui dice “israelita”), è uno dei pochissimi giudeo-cristiani esistenti. Cosa significa “giudeo-cristiano”? Non è un ebreo diventato cristiano abbandonando l’ebraismo (non avrebbe più la kippà), ma un ebreo che rimane nella fede ebraica e crede che Gesù è il Figlio di Dio, che ha salvato il mondo. Erano così anche gli Apostoli, Paolo ed i primi cristiani: ebrei che continuavano a frequentare il tempio e la sinagoga e si riunivano per l’Eucaristia. Solo in conseguenza della cacciata da parte degli altri ebrei, questa forma primitiva di cristianesimo cessò. Quindi, un cristiano come lo erano i primissimi crsistiani.
Essendo lui israeliano, o israelita che dir si voglia, non ho potuto evitare di chiedergli qualcosa sulla situazione di Gaza. La risposta mi ha raggelato: “noi siamo sempre stati in guerra, ho cinquant’anni ed ho visto stragi di migliaia di uomini delle quali non ha parlato nessuno… l’unica differenza di Gaza e che se ne parla… e poi Gaza non è né Palestina né Israele…, per noi è lontana”. 
Bello essere Ebrei, bello essere Cristiani, ma sarebbe più bello essere innanzitutto uomini.

Questa settimana ho fatto un’ultima cosa, che dice che sono molto in forma: ho fatto una bella brontolata, ma con tono razionale e garbato, direi quasi “alla brasiliana”. 
Dopo aver rimuginato dentro, cosa che fa piuttosto male, mi sono deciso ed ho parlato con i responsabili del corso. Di cosa? Non certo dell’accoglienza, che è ottima, e nemmeno della scuola o della formazione, che è di buona qualità: ho parlato della chiusura dell’ambiente in cui siamo, perché può succedere che anche in un ambiente missionario si viva distanti dal mondo e da quanto avviene. Qui succede un po’ questo: non c’è un giornale, non di parla mai del mondo esterno e di quanto sta avvenendo, non c’è una preghiera dei fedeli che ricordi le situazioni attuali… La stazione marziana di Musk sarebbe più vicina al mondo reale.
Anche un ambiente missionario, anche una parrocchia, può avete un grande impegno per se stesso e per assolvere i propri compiti, ma senza avere l’apertura del cuore che guarda il mondo con le sue speranze e grandissime sofferenze e le mette davanti al Signore. 
Mi ha fatto piacere il fatto che ho trovato un ascolto sincero ed interessato: loro hanno assunto l’incarico da poco e stanno pensando alla forma che vogliono dare a questa preziosa esperienza. Quindi la brontolata potrebbe essere servita.

Mi fermo qui: mi riposo un poco, perché anche le prossime settimane saranno intense. Ringrazio sinceramente il Signore per quello che sto vivendo, perché l’incontro con tante realtà e culture è un dono riservato a pochi, ed io sono uno dei pochi (però lo siete anche voi, se guardate alle culture che vivono nei nostri paesi e provate ad incontrarle un po’)

Vi lascio le foto di due notturni di Brasilia ed aggiungo il filmato di un diurno di Gaza: mi sono proposto di usare questo gruppo solo per parlare del Brasile e cerco di tenere fede a questo proposito, ma non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo immane disastro che ci succede davanti.

Il Signore ci accompagni!
d. Paolo

domenica 18 maggio 2025

LA MISSIONE SIETE VOI

 



Ciao a tutti e tutte,

oggi vi scrivo dalla casa di Ana e Gilberto, la coppia che ci aveva ospitato a Pasqua: ho presieduto la Messa nella loro comunità e loro hanno cantato "Resta qui con noi" facendo l' ultimo ritornello in italiano. L'ospitalità brasiliana è veramente da manuale...

Vengo da una settimana molto intensa e la prossima sarà uguale: scuola ed incontri mattina e pomeriggio, con relatori che danno per buono che ormai il portoghese scorra nelle nostre orecchie come acqua di un torrente... Un po' scorre, ma sul percorso ci sono ancora diverse dighe!

Vi racconto due cose, che portano ad un medesimo obiettivo.

Abbiamo fatto due giornate con una religiosa psicologa, che penso ci abbia riassunto in una dozzina di ore il contenuto dei suoi corsi universitari. La quantità di contenuti è stata notevolissima ed anche un po' pesante da digerire, perché ci siamo trovati davanti tutti i problemi e le perversità affettive e sessuali possibili sintetizzate in alcune slides: un esame di coscienza fatto a martellate che non poteva lasciarci indifferenti. Tra l'altro ci ha anche ammonito di stare attentissimi nella relazione con le situazioni LGBTQUA+, perché la legislazione brasiliana ha portato la tutela a livelli quasi estremi ed è molto facile ricevere una denuncia per discriminazione (e visto che la chiesa ha soldi la tentazione di chiedere risarcimenti è molto forte...); la cosa significativa è però che anche una legislazione così non ha aiutato una vera integrazione. La legge non cambia i cuori, serve l'amore: in ogni campo ed in ogni situazione.

La cosa più rilevante dei due giorni è però stata il messaggio centrale che la relatrice ci ha voluto lasciare e che ha guidato tutta l' esposizione: la missione siete voi ed il vostro stile di relazioni . Non le opere che faremo, le chiese che potremo costruire, la sontuosità delle nostre liturgie, ma la nostra umanità e la capacità di intessere relazioni vere e mature. Da Gesù in poi, il Vangelo passa da lì. Lo abbiamo appena ascoltato: "questo è il mio comandamento, che vi amiate come io vi ho amato", il resto (opere, chiese, liturgie...) è in funzione di questo. Da qui la necessità, per tutti e per noi missionari in particolare, di curare la nostra umanità nella relazione con Dio e nell'impegno per una maturazione personale.



L' altro momento molto rilevante è stato la visita al Congresso Nazionale (la nostra Camera) ed al Senato del Brasile, nello stupendo edificio che è uno dei capolavori dell'architetto Oscar Niemeyer (quello con le due cupole, una verso il basso ed una verso l'alto). Tutto molto rigoroso, con ineccepibile formalità e davvero bello. Abbiamo dovuto visitare un po' in fretta il Senato (nella cupola verso il basso): alle 10 iniziava un plenaria non deliberativa e mancavano pochi minuti. Quando siamo arrivati, un senatore ci ha cordialmente salutato, poi è arrivato il presidente ed alle 10.03 ha dichiarato l'inizio della seduta plenaria... alla presenza del solo senatore che ci aveva omaggiato. Uno su ottantuno, il relatore.

Anche la democrazia, come la missione, si fa con la maturità e la serietà delle persone; anche la democrazia e la libertà si fa con l'amore. Se non c'è quello, tanto le grandi cattedrali come gli i bellissimi edifici statali non servono molto.

Una cosa bella é che nell'aula i posti dei senatori, che sono tre per ognuno dei 27 stati della federazione, sono divisi per stato e non per appartenenza politica: quindi il senatore della sinistra si trova seduto al fianco del senatore della destra dello stesso stato. Forse questo può aiutare ad un dialogo più civile, perché il "diverso" é al mio fianco, non dall'altra parte dell'emiciclo.

Infine, siamo passati dalla Piazza dei tre Poteri, con il palazzo del Presidente, quello del Congresso e Senato, quello del Tribunale Supremo della Federazione. La trovate sotto in una foto panoramica ove i tre edifici appaiono affiancati, ma in realtà sono su tre fronti della piazza; nel quarto c'è la bandiera ed il Monumento ai Caduti.



Passando da qui é inevitabile ricordare l'ultimo tentativo di Colpo di Stato del 8 gennaio 2023, quando dopo l'elezione del Presidente Lula una folla assalì i palazzi provocando molti danni (avevano preso esempio dagli Stati Uniti...). É un ferita che qui ancora sanguina, anche perché i processi sono tutt'ora in corso e con molti fronti aperti. Il Brasile è una democrazia debole, uno stato nato dalla colonizzazione con élite civili e militari che non hanno mai veramente accettato la democrazia e detengono un forte potere mediatico ed economico.

Mi fermo qui. La sintesi è che é inutile cercare di nasconderci dietro ad infrastrutture: il Vangelo e la libertà passano inevitabilmente per la nostra umanità e la nostra conversione e maturità è il primo compito. Del resto è la strada che ha scelto Dio: non si è fatto Superman, né supermacchina, né superpotenza. Si è fatto uomo debole e mortale, in tutto come noi, e così ci ha salvati.

 

Il Signore ci accompagni sempre!

 

d. paolo

 

 

sabato 10 maggio 2025

trenta missionari di diciotto paesi e quattro continenti

 



Ciao a tutti e tutte.

Vi scrivo alla fine di una settimana molto normale e molto speciale.

Lo “speciale” lo intuite da soli, con l’elezione di Papa Leone che segnerà il cammino della chiesa – ed in parte dell’umanità - nei prossimi anni. “Ti piace il nuovo Papa?”, “Non ti piace il nuovo Papa?”, “Come vestirà il nuovo Papa?”, “Che macchina userà il nuovo Papa?”, “Dove abiterà il nuovo Papa?”…

È così: in questi giorni abbondano le banalità ed il bisogno di conferme immediate, di qualcosa che ci dica che il “nuovo Papa” è come lo vogliamo o è diverso, che possiamo amarlo come l’amato Francesco o odiarlo come l’odiato Francesco…

Credo che la domanda più opportuna invece sia: come ci disponiamo davanti al nuovo Papa? Con quale capacità di accoglienza stiamo davanti a lui? Saremo capaci di accogliere le cose che non ci piacciono o non entrano nelle nostre idee – e quindi sono utili per la nostra conversione – come un’occasione per purificare la nostra fede ed il nostro modo di essere chiesa? Saremo capaci di accogliere le cose più vicine alla nostra sensibilità come uno stimolo per un rilancio purificato, che vada al di là degli aspetti di contorno e colga sempre più il nucleo profondo del nostro cammino cristiano? Oppure diremo, come i discepoli di Gesù nel Vangelo di oggi: “questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”… abbiamo già le nostre belle idee, progressiste o conservatrici o mezze e mezze o nulla di tutto, perché fare la fatica di andare oltre e di cambiare? (vedi Gv 6,60)

 


Scrivo questo stimolato dall’esperienza che sto vivendo in queste settimane qui a Brasilia, guardando alla comunità con la quale sto condividendo il cammino di formazione. Siamo più di trenta missionari di diciotto paesi e quattro continenti (manca l’Oceania, anche se la Indonesia vi confina): credo che sia un’esperienza unica e difficilmente ripetibile.

Cosa posso dire di questa esperienza “mondiale”? Tante cose, ma vi risparmio e ne dico solo una: la grande esperienza di “differenza” all’interno del mondo missionario.

Noi (intendo noi italiani e reggiani) abbiamo una nostra idea di missionario, legata in parte alla nostra esperienza ed alla nostra situazione.

Abbiamo l’idea di un missionario che “va ad aiutare” e “fa delle cose”, anche perché siamo una chiesa ricca e generosa: quando dici che sei italiano la prima cosa che gli altri pensano è che hai dei soldi e puoi usarli…

Abbiamo l’idea di un missionario che “è avanti”, che ha una immagine di chiesa “profetica” e che pensa e realizza cose che noi “chiesa vecchia” che è in Italia non riusciamo a pensare e realizzare.

Abbiamo l’idea di un missionario che “si sacrifica” e va a vivere in situazioni difficili rinunciando a tante comodità che in Italia può avere e che quindi è un po’ “eroico”.

Ebbene, posso annunciarvi che sono tutte idee molto “nostre”… e che, grazie a Dio, la realtà missionaria è molto molto molto più variegata. Non dico che le nostre idee siano sbagliate, ma è importante cogliere che sono “idee” e sono “nostre”, e quindi non vanno assolutizzate.

Di fatto qui la nostra composizione è molto variegata: vi è chi ha un interesse vivo per l’aiuto ai poveri e chi non nasconde la tensione ad una vita sufficientemente agiata, chi peggiora la propria condizione economica – abitativa e sociale e chi la migliora, chi ha una forte coscienza ambientale e chi getta il cibo o mescola i rifiuti, chi ha interessi che guardano al mondo e chi mi chiede se l’Italia è in America (ma anch’io ho sperimentato di non conoscere bene la geografia asiatica…), chi vive un intenso spirito missionario e chi legge il proprio trasferimento come l’invio in una filiale all’estero, chi ha un atteggiamento “progressista” e chi “conservatore” e chi è progressista a livello ecclesiale e conservatore a livello sociale o l’opposto… Insomma, c’è di tutto.

Non si può negare che per un certo numero di persone la vocazione missionaria è legata semplicemente al fatto che nella loro parrocchia avevano religiosi missionari o con case in diverse parti del mondo (sono cose diverse) e che quindi hanno fatto il loro cammino vocazionale con quella congregazione religiosa anziché con altri.

 


Dico questo non per screditare o togliere valore, anzi! La chiesa è bella nella sua varietà.

Racconto questo per invitarci ad avere una mentalità aperta, capace di cogliere ed apprezzare anche queste realtà nella loro complessità. Altrimenti restiamo chiusi nelle nostre quattro idee e non vediamo la Grazia di Dio che opera fra noi. Ad esempio: anche nelle nostre diocesi abbiamo religiosi, religiose e preti provenienti dall’estero, che sono fra noi per diverse ragioni: li consideriamo “missionari” come noi italiani che partiamo per l’estero, o semplicemente “stranieri” capitati fra noi e che devono adattarsi ai nostri costumi?

 

Termino con due piccoli avvenimenti sul tema:

- alcune persone mi hanno visto mentre scrivevo per voi ed ho spiegato loro che per noi missionari diocesani il contatto con la chiesa di provenienza è importante, perché attraverso noi tutta la nostra chiesa deve sentirsi missionaria. Erano stupiti di una cosa per loro nuova, ed hanno apprezzato molto!

- qui a Brasilia abbiamo conosciuto un missionario Pavoniano di Brescia ora ottantenne, che è qui da cinquant’anni. Rispondendo al carisma pavoniano ha fondato e fatto crescere un grande istituto che segue soprattutto bambini e ragazzi sordi e muti ed ora anche ragazzi autistici. Una cosa davvero bella, con più di cento dipendenti ed un’alta professionalità.

Con il sorriso ironico di chi ha imparato ad inghiottire molti rospi, ci ha confidato: “visto il lavoro che faccio (di tipo dirigenziale e professionale) ci sono ancora persone che dicono che io non sono un missionario…”.

Quando ci si ferma alle proprie idee, si perdono tante occasioni di Grazia…

 

Ho parlato della nostra comunità: vi saluto con le foto di alcuni momenti di festa che ci hanno accompagnato!

 

d. paolo

 


domenica 4 maggio 2025

VISITA AL QUILOMBO MESQUITA

 



Paolo Bizzocchi


Ciao a tutti e tutte!

Vi avevo raccontato del particolare rapporto fra S. Giovanni Bosco e Brasilia, che da una parte dice la forte religiosità del popolo brasiliano, dall’altra il valore quasi mistico dato a questa strana città dai suoi fondatori. Segno concreto di questa relazione è il grandioso santuario dedicato al Santo, situato nella parte centrale della città: una enorme parallelepipedo composto per la maggior parte di vetrate bleu ed azzurre, che creano un’atmosfera veramente surreale. Nella cripta, un’urna raffigurante d. Bosco contiene una preziosa reliquia: l’osso radio, ovvero l’avambraccio, destro di S. Giovanni. Quindi quella parte del braccio con la quale benediceva e dava l’assoluzione dai peccati ogni giorno a molti dei suoi giovani: quasi una richiesta di benedizione e perdono su questa grande città dalle tante contraddizioni.



La cosa più rilevante della settimana è stata però la visita che abbiamo compiuto al QUILOMBO MESQUITA, a circa 40 km dalla città (si pronuncia “chilombu meschita”: in portoghese “qu” corrisponde al nostro “ch” e la “o” finale si legge “u”). 
Di cosa si tratta? I Quilombo sono gli insediamenti che dal 1700 nacquero in luoghi piuttosto isolati ad opera degli schiavi africani che erano riusciti a fuggire o che per qualche motivo avevano ottenuto la libertà. Con la graduale cessazione della schiavitù qui si trasferirono anche parte degli ex schiavi, dando vita a comunità che nei secoli hanno conservato etnia e tradizioni dei popoli africani. La maggior concentrazione di queste centinaia di insediamenti si trova nel nord est del paese, compresa la Bahia (ove i nostri missionari furono per decenni ed ancora si trovano le Case della Carità e d. Luigi Gibellini), ma in gran parte del Brasile è possibile incontrare queste comunità. Nella zona dell’alta Amazzonia ove siamo noi, invece non esistono, perché il lavoro forzato era affidato alle popolazioni indigene, senza il ricorso agli schiavi africani. 



Del Quilombo abbiamo visitato due luoghi. Innanzitutto la chiesa parrocchiale: nonostante non vi sia un parroco fisso, ma solo frati che vengono a celebrare la Messa, ci presentano una comunità molto viva ed unita, che vive con entusiasmo la fede (quando siamo arrivati stavano facendo Adorazione). Poi, una casa storica appartenente ad una delle famiglie centrali della comunità ove Sandra, che riveste chiare funzioni di leadership, inizia a narrare. Innanzitutto vi è una grande foto dei suoi nonni, che nel 2006 dopo un laboriosissimo e difficile iter riuscirono ad ottenere il certificato federale che attestava l’esistenza del Quilombo e la sua estensione: lui aveva 97 anni e lei 102 e prima di morire poterono vedere il risultato della fatica di una vita. Sandra ci parla del valore che quella terra ha per la comunità, delle piantagioni centenarie, di un legame di sangue con la storia familiare, della produzione della “Marmelada”, fatta con il frutto del “marmelo” con una ricetta attestata da almeno 150 anni. Parla tanto anche del razzismo al quale ancora oggi le popolazioni afrodiscendenti e di classe sociale bassa sono sottoposte in diversi modi, nonostante la presidenza Lula sia stata e sia per loro un sostegno importante (ad esempio, per la possibilità di posti gratuiti all’Università per i redditi inferiori). 



Poi parla di “resistenza”… e qui la voce si fa più dura: incalzata dalle nostre domande, ci spiega che vi sono grandi gruppi imprenditoriali che vogliono impossessarsi delle loro terre per renderle edificabili ed espandere la città. Dai dati riportati su internet (puoi vedere: https://www.bbc.com/portuguese/brasil-44570778 ) ricavo che l’impresa che sta minacciando il loro Quilombo appartiene ad un ex presidente ed ha quindi forti appoggi politici. Non si tratta solo di questioni di carta bollata: non molto tempo fa la rappresentante di un altro Quilombo è stata uccisa per una vicenda simile. Lei stessa confessa di avere paura, come altri nella comunità; ma il legame con la terra, con l’eredità dei padri, con le tradizioni degli antenati e con la comunità attuale è così forte da portare ad una grande determinazione nella lotta per i propri diritti e la propria esistenza.



È un’idea bella e positiva di “patria” della terra dei padri: non il patriottismo becero di chi chiude le frontiere e sarebbe disponibile anche ad uccidere per difendere i “sacri confini”, ma un legame di amore che porta ad un impegno solidale anche a rischio della propria vita, non con urla e violenze, ma producendo marmellata, facendo studiare i figli e lottando per il rispetto di una legalità valida per tutti e non solo a favore della classe dominante.

Arrivati a casa, una religiosa mi dice: “il Brasile è veramente una realtà complessa”. Si, veramente… per questo è un dono grande poterlo vivere.

d. Paolo

RITORNO A SANTO ANTONIO

  Buona festa della Trinità a tutti e tutte! Rieccomi a S. Antonio, in un “secondo arrivo” non meno significativo del primo.  Il cambiamento...