sabato 9 agosto 2025

RIPRENDENDO LA VITA PARROCCHIALE

 

Messa inculturata di un vesco di una diocesi vicina



Paolo Bizzocchi

 



Ciao a tutti e tutte,

 

Vi ho scritto pochi giorni fa, ma voglio raccontare qualcosa anche oggi.

Tornato da Manaus, sto riprendendo la vita parrocchiale. Verso fine mese dovrò tornare tre giorni a Manaus per fare un mini corso per avere la patente brasiliana e spero di poter fare anche la visita medica richiesta (dipende da un documento che deve arrivare dall’Italia…), altrimenti dovrò tornare un’altra volta. Vista dall’Italia può sembrare strano, ma è così: per fare un documento sto andando e venendo da Manaus più volte: se viaggio con la “lancha”, ogni volta sono 1770 reais e tre giorni effettivi di viaggio (uno stipendio minimo sono 1500 reais…), se viaggiassi con il barco la spesa sarebbe ben minore, credo 5-700 reais, ma i giorni di viaggio effettivi diventerebbero nove o dieci. Questa volta farò l’andata in barco, circa tre giorni, con Thomàs, il giovane architetto volontario che ha fatto servizio qui per sei mesi ed ora torna a casa, nel sud del Brasile. Per il ritorno invece farò con la lancha, perché non posso permettermi di stare fuori dalla parrocchia altri cinque giorni per il viaggio.

Grazie a Dio, nel periodo del corso recandomi al dipartimento del transito (DETRAN) per il documento, ho trovato una giovanissima impiegata che mi ha preso a cuore e mi ha permesso di fare tutta la procedura iniziale in quelle due settimane, altrimenti avrei dovuto viaggiare un’altra volta per fare qualche firma. Sperimentare queste accoglienze è una vera gioia, Dio benedica tutte le persone che aiutano gli immigrati!

Come dicevo, per noi italiani tutto questo appare strano e forse inaccettabile, ma è la vita di questi luoghi sperduti. I tempi sono diversi e il livello di pazienza anche. Ciò che serve per vivere, molte volte si trova a 900-1000 km e (soprattutto) a molti giorni e molti reais di distanza… ma si fa, con pazienza.

Sinceramente, spero che questi viaggi terminino presto, perché in questo momento ho molto bisogno di stare in parrocchia e fermarmi, sia per me che per le persone di qui: sta iniziando uno stile di vita, la presa di responsabilità, il vissuto di semplici relazioni, un minimo di familiarità con la lingua… tutto questo chiese stabilità e tempo. Di fatto se pensassi di tornare in Italia un mese per “fare ferie” ad un anno dalla partenza (novembre o dicembre) sarebbe una vera sciagura: significherebbe perdere buona parte del lavoro fatto fino ad ora, ed al ritorno dover ricominciare ancora una volta. Credo che passerò il prossimo anno verso settembre – ottobre: per allora spero che la lingua, le relazioni, l’impegno pastorale, si siano sufficientemente consolidati per potermi permettere alcune settimane di “interruzione” senza perdere ciò che ho acquisito.

Per questo autunno invece vivremo la gioia dell’arrivo di d. Marco, cercando di fargli buona accoglienza! Lo stiamo attendendo molto!

Qui che sta avvenendo?

D. Gabriele sta partendo per il viaggio mensile sul fiume, con una tenacia ed una pazienza che molte volte non viene appagata dai risultati visibili. È un segno bello del lavoro pastorale fatto in totale gratuità, senza attendere nulla in cambio. Può essere che in futuro arriviamo a ripensare un poco il modo di seguire queste piccole comunità del fiume, ma lo spirito non può che essere questo: una presenza semplice fra gli ultimi, che spesso non hanno nulla da restituire.

Io invece mi sono rimesso all’opera sia con le questioni burocratiche (non illudiamoci che qui non ci siano, anzi…) che pastorali.

Ora sto facendo il “novenario” di S. Clara (S. Chiara, che festeggeremo domani) nella comunità a lei dedicata. Abbiamo così inaugurato la nuova chiesa, quella dove ho fatto (e devo completare) l’impianto elettrico. Manca circa tutto, perché non è pitturata, non ha il pavimento, non ha seggiole proprie… ma ha il tabernacolo e custodisce l’Eucaristia, ha un piccolo ambone per proclamare la Parola di Dio, ha un altare nuovo. Quella dell’altare è una storia con due volti: uno triste, perché avevamo chiesto ad una comunità di mettere a disposizione un vecchio altare che loro non usano ed hanno rifiutato (il campanilismo è un male non solo italiano); uno gioioso, perché una famiglia della stessa comunità, scandalizzata dal comportamento degli amici, ha offerto un altare nuovo per la cappella nascente. Questa sera lo benediremo ed inizieremo ad usarlo!

Ciò che veramente manca a questa nuova chiesa è però la comunità, attualmente costituita da pochissime persone (direi che non arriviamo a dieci…). Del resto, parlando con la responsabile abbiamo calcolato che nei dintorni della nostra cappella (nel giro di poche centinaia di metri…) ci sono almeno otto chiese evangeliche di diverse denominazioni.

Ci sarà da lavorare tanto, con pazienza e senza tante aspettative.

Pensando che la cappella è dedicata a S. Chiara, mi è venuto in mente che la chiesetta di S. Damiano, ove Chiara visse tutta la sua vita monastica, fu restaurata da Francesco all’inizio della sua vocazione, quando udì la voce di Gesù, “Và e ripara la mia chiesa, che è in rovina!” Come prima cosa Francesco si mise a fare il muratore per questa chiesetta abbandonata, senza sapere se poi qualcuno l’avrebbe usata… e divenne la dimora di Chiara e delle sue sorelle. Che sia così anche per la nostra S. Clara? Io non ho fatto il muratore, ma l’elettricista… ad ognuno il suo.

Un’ultima cosa. Ieri sera nella stessa cappella abbiamo celebrato per la prima volta i Battesimi, con sei bambini e bambine di diversa età. Dopo l’incontro di preparazione i genitori di due bambini mi chiedono cosa devono fare per sposarsi in chiesa… e scopro che non sono battezzati, come non lo è la madrina: “da piccoli abitavamo sul fiume, il frate veniva a battezzare una o due volte all’anno, ma a noi non è stato fatto”. Nella liturgia battesimale li ho visti convinti ed al Padre Nostro hanno pregato, quindi lo conoscono. Hanno visto il battesimo dei figli, vediamo cosa germina in loro: potrebbero essere il seme di una nuova comunità!

 

Il Signore ci accompagni tutti!

martedì 5 agosto 2025

DAL CORSO SULLA REALTA’ AMAZZONICA

 


Il gruppo dei corsisti


Tra storia, cultura e nuove sfide

Paolo Bizzocchi

 

Ciao a tutti e tutte,

Vi scrivo mentre sono di ritorno da Manaus, dove ho trascorso due settimane frequentando un corso specifico sull'Amazzonia: la sua storia, la sua cultura, le sue sfide. Non è stato facile, perché il mio portoghese non è all'altezza degli interventi che ho ascoltato, ma ne è valsa la pena: l'Amazzonia è un territorio che ha specificità uniche e chiede un lungo cammino di conoscenza. Lo testimonia anche il fatto che una parte dei partecipanti era brasiliana: anche all'interno del Brasile, l'Amazzonia è percepita come una realtà a se stante.

A cosa mi e servito? Direi innanzitutto per tre cose: capire cosa sta succedendo oggi attorno a me, che vivo qui; assumere lo sguardo dell'altro, che in questo caso sono le popolazioni originarie, indigene; cogliere perché papa Francesco ha dato tanta importanza a questo pezzo di mondo ove ho il privilegio di trovarmi.

È chiaro che si tratta di prime intuizioni, ma cerco di dire qualcosa.



 

Cosa sta succedendo in Amazzonia? È triste dirlo, ma sta succedendo quello che succede da 500 anni. Nonostante si siano fatte legislazioni a tutela dei popoli originari e dell'ambiente, la lotta per lo sfruttamento economico del territorio è ancora pienamente in corso. É di queste settimane la notizia che il Congresso, l'organo legislativo della repubblica, attualmente con una forte maggioranza di estrema destra, abbia appena approvato una legge che di fatto permetterà un ampio sfruttamento economico del territorio. Con la motivazione di snellire complessi iter autorizzativi, di fatto si dá alle grandi aziende e multinazionali la possibilità di agire senza dover rispettare le legislazioni relative alla tutela dell'ambiente e dei suoi abitanti legittimi. A questo si collega una forte lotta culturale che punta a legittimare e porre in buona luce l'antica colonizzazione con lo scopo evidentemente di giustificare la colonizzazione attuale. In questa linea di pensiero le popolazioni indigene non hanno una dignità propria, sono considerate primitive ed improduttive, quindi parassitarie e prive di diritti: occupare e sfruttare i loro territori diviene un'opera positiva e meritoria, perché favorisce il progresso economico della nazione.

 


Una seconda cosa che mi ha colpito è la possibilità di guardare le cose dalla parte delle popolazioni indigene o socialmente marginali. Questa secondo me è la cosa più importante ed è una vera rivoluzione interiore. Se non si fa questo, al massimo si arriva ad avere una posizione di difesa sociale o di assistenza, ma non si cambia il modo di guardare la realtà. Non si tratta di passare dal mito del "cattivo indigeno" al mito del "buon indigeno" o simili, ne di dire che il nostro progresso è cattivo, ma di cogliere che il nostro sguardo sul mondo ha paraocchi molto spessi.

A noi hanno sempre insegnato a valutare l'umanità e la sua storia a partire dal progresso tecnico ed economico, visti come unico criterio di valore. Per noi il progresso dell'uomo è l'assunzione di nuovi strumenti tecnici capaci di aumentare il nostro potere sulla natura, partendo dalla pietra per arrivare all'intelligenza artificiale: l'umanità che ha più strumenti tecnici è la più progredita, la migliore... fino ad affermare che "il progresso non si può fermare", neanche quando viene a nostro danno. Le popolazioni indigene dell'Amazzonia ci dicono che c'è un altro modo di leggere la vita ed il bene dell'uomo, nel quale la capacità tecnica ha molto meno valore e la sapienza del vivere nell'armonia della totalità è la vera fonte di felicità. Questa è davvero una grande provocazione: non si tratta di respingere la tecnica o l'economia, ma di dargli lo spazio che realmente serve per la felicità nostra e del creato.

 


Infine, se state ancora pazientemente leggendo, la terza cosa è capire perché papa Francesco ha profeticamente posto gli occhi in modo così forte su questa realtà. É stato un suo pallino personale o c'è un'intuizione da non perdere? L'intuizione c'è, ed è forte. L'intuizione, a mio parere, é aver colto che nei popoli amazzonici si conserva una sapienza di fede e di umanità che il mondo tecnicamente evoluto ha perso da tempo. Una sapienza che ha permesso a questi popoli millenari di vivere un equilibrio col resto del creato che il nostro mondo non ha saputo custodire.

Questo vale anche per la nostra fede cristiana. Non è un caso che nella nostra fede l'importanza che diamo all'opera di Dio e di Cristo nella Creazione sia minima: ci limitiamo a dire che Dio ci ha affidato il mondo, e ce lo teniamo ben volentieri. La spiritualità indigena può essere per noi un grande aiuto per riscoprire la presenza di Dio nel Creato e ritrovare una sapienza di vita che pare perduta.

 

Ok... di certo oggi non sono stato molto gradevole, ma credo che siano temi davvero importanti. Magari potremo riprenderle una volta che faremo un incontro via web, perché con la parola il confronto è più facile: sono cose che non toccano solo la testa, ma anche il cuore!

 

Il Signore ci accompagni tutti!

d. Paolo

RIPRENDENDO LA VITA PARROCCHIALE

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