Lettera dalla missione in Amazzonia.
Carissimi, molti ci chiedono: come sta andando la
missione, cosa stiamo facendo... condivido con voi il contenuto principale della
Assemblea Parrocchiale delle comunità della città. É un momento importante in
cui si ascolta il percorso delle varie comunità (le luci e le ombre, le realtà
positive e quelle negative) e insieme si cerca di dare un indirizzo al percorso
della nostra Chiesa. Per noi preti è
importante ascoltare, capire, e anche proporre; il nostro sforzo in questi anni
è stato quello di entrare in una realtà nuova; conoscere, condividere, ma anche
con la responsabilità di annunciare il Vangelo con la sua carica di novità, di purificazione
e a volte di rottura; accompagniamo il percorso della nostra gente, ma anche
facciamo nuove proposte, o cambiamo qualcosa rispetto alle loro abitudini,
accettando qualche opposizione e resistenza.
Cosa abbiamo messo al centro questo anno? Il
percorso delle Comunità Ecclesiali di
Base (CEB); è la scelta di un
modo di essere Chiesa, una scelta tra le altre possibili ma per noi con una
forza particolare perché sottolineata fortemente nella Assemblea Diocesana e
comunque da anni presente in Brasile (anche se non in tutte le diocesi, e non con
la stessa forma). La nostra è una parrocchia formata da 8 comunità in città, 3
sul Rio delle Amazzoni (Solimões) e più di 20 sul Rio Içá. La assemblea di domenica 30 aprile era per le comunità
della città: comunità diverse tra loro (alcune abbastanza organizzate, altre
ben poco, una ancora senza cappella o luogo di incontro). Perché abbiamo
insistito sul cammino di CEB?
La storia della nostra parrocchia è quella di una chiesa
centrale (Matriz di Santo Antonio) con alcune comunità che si sono formate nel tempo,
ma la maggior parte delle attività erano al ‘centro’: catechesi, gestione economica,
celebrazioni.... per molto tempo avevano
solo un Ministro straordinario della Comunione. Negli ultimi anni abbiamo
cercato di dare una maggiore autonomia alle comunità, considerando anche la comunità
del centro come una tra le altre (ovviamente con qualche resistenza da parte
dei parrocchiani del centro, che si sono visti impoveriti per certi
aspetti). Ci sono poi bairros (quartieri)
senza alcun segno di vita della chiesa cattolica, e in questi bairros più
periferici vorremmo iniziare qualche attività; grazie a due Missionarie che si
sono stabilite qui da noi e Anna Chiara, una giovane di Sassuolo che per tre
mesi condivide la nostra missione, in due bairros abbiamo iniziato attività di oratorio,
con i bambini, al sabato e al centro attività di teatro coinvolgendo giovani
della città.
- In genere le comunità della città erano\sono solo comunità liturgiche: si
riunivano per la celebrazione della messa settimanale e per la festa del santo
patrono.
Ma la Comunità Ecclesiale di Base non è
solo questo; ci si raduna per un ascolto più approfondito e condiviso della
Sacra Scrittura, per una vita di amicizia e condivisione, e anche per
affrontare i problemi sociali del quartiere; la Comunità di Base ha una valenza
politica come esigenza naturale dell’essere discepoli di Gesù. Abbiamo proposto _ e anche questa è una novità
per loro- di formare gruppi di famiglie (5-6 famiglie) che si riuniscono
stabilmente per una Lettura Spirituale della Scrittura, per una condivisione di
vita, e per mantenere un dialogo anche sulla situazione della città. Gruppi
stabili di famiglie e non solo incontri occasionali (come accade nel mese missionario,
o nella novena di natale); vedremo come questa proposta si svilupperà!
Da un documento brasiliano sulle CEB, ho illustrato tre principi di base che
orientano le nostre scelte.
1.
De-colonizzazione La Chiesa è entrata in Amazzonia con un volto
europeo (grazie agli ordini religiosi di origine europea) ma ora è possibile
realizzare una vita di Chiesa con il volto amazzonico? Il sinodo sulla
Amazzonia voluto da papa Francesco possiede questa valenza. É una questione
molto aperta: come esprimere e vivere la fede considerando le tradizioni locali
e non imponendo solo la forma romana del cattolicesimo? Ma anche: come
affrontare la colonizzazione nord-americana che ci sta invadendo, soprattutto
attraverso le numerose chiese neo-pentecostali?
Anche a Reggio abbiamo bisogno di una de-colonizzazione;
siamo eredi di forme di pensiero, di pregare, di celebrare, di catechizzare che
erano valide nei secoli passati ma oggi? La colonizzazione del pensiero
medievale e moderno (molto utile in epoche passate) rischia di ingabbiare la
chiesa; come evangelizzare oggi senza esprimere semplicemente il fascino di
qualcosa di arcaico?
- Non solo:
dobbiamo accettare il pensiero post-moderno come un dogma e adeguarci? Si, i
cristiani occidentali vivono nel mondo post-moderno e l’annuncio deve esprimersi
nella cultura attuale. Ma la chiesa deve solo assumere le categorie del
post-moderno (frammentazione, relativismo, pensiero debole, società liquida...
) e cercare di annunciare il vangelo di Gesù con queste categorie o può tentare
strade diverse? É necessario incarnarsi nella cultura dominante ma con la libertà
di non diventarne schiavi e quindi con possibili proposte alternative.
2.
De-centralizzazione.
Per noi qui a
Santo Antonio significa attivare vita liturgica, catechetica, caritativa, di
ascolto, di responsabilità... nelle varie comunità; avere una certa autonomia
in tutte le comunità per rendere possibile una esperienza più personale: ci si
conosce, si dialoga, si condivide.... la vita cristiana non si riduce a una
partecipazione anonima alla messa domenicale.
Una
domanda che rimane aperta anche per la chiesa di Reggio; si formano le Unità
Pastorali e si unificano le iniziative nel centro maggiore dove abita il
parroco. Ma si potrebbe anche scegliere di mantenere vive le varie comunità
anche se il parroco non è residente. Mantenere una presenza capillare; quando
si centralizza troppo, si rischia l’anonimato dei partecipanti; diventa
difficoltosa la esperienza di relazioni profonde, di comunione e condivisione.
3.
De-clericalizzazione. Il terzo
principio, ancora abbastanza difficile da assumere; in positivo significa
riconoscere la dignità di tutti credenti in Cristo, di vivere insieme, di
abituarci a decidere insieme, di incentivare la ministerialista dei laici. Il
prete ha una responsabilità, ma non è la ‘pietra’ più importante dell’edificio-
chiesa.: è come gli altri, ognuno con i propri carismi e ministeri. Non si tratta
di una lotta di potere, ma di apprendere a lavorare insieme, con spirito di umiltà.
Come preti potremmo continuare a metterci a servizio della formazione dei
laici, per rapporti alla pari (senza annullare i ruoli specifici) in cui ci si
aiuta a vicenda nel seguire Gesù Cristo.
In tutto il
Brasile, e forse anche in Italia, la tendenza dei seminaristi e preti giovani è
quella di una accentuazione del clericalismo; cercare privilegi, cercare
potere, avere un ruolo per distinguersi dagli altri, entrare in una cerchia di
persone superiori; cercare prestigio e ruoli appariscenti; amare i riflettori e
presentarsi come ‘sacri’, a volte con la sfacciataggine di manipolare le
persone.
Che lo Spirito rinnovi, purifichi le nostre comunità e ci
renda semplici, capaci di comunione fraterna.
don Gabriele Burani
Santo Antonio do Içá – Amazonas, 11-05-2023
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