sabato 16 novembre 2024

SFATANDO LUOGHI COMUNI

 




Paolo Bizzocchi


Con oggi concludo la primissima fase della mia vita amazzonica; domattina con la Lancha, la barca veloce, io ed il Vescovo andremo a S. Antonio do Ica, che dovrebbe essere la mia casa per alcuni anni: qui potrò finalmente vuotare le valigie e cominciare a "far casa" in mezzo a questo pezzo di popolo di Dio. Ad aspettarmi ci sarà ancora d. Burani, perché Carlotti è partito per il viaggio sul fiume di questo mese (il prossimo invece mi pare che salterà, per aiutarmi ad entrare nella nuova realtà ed evitare che mi trovi in difficoltà, essendo il mio portoghese ancora iniziale - sono buono con me stesso, in realtà non ci capisco nulla… -). Non so se d. Alberto lo troverò in casa o se è ancora a zonzo con d. Carlotti sul fiume…



Devo sfatare un luogo comune: mi avevano detto che in Brasile tutto è lento, lentissimo… e la burocrazia più di ogni cosa. Però in meno di una settimana mi trovo in tasca un documento di identità provvisorio ed il "codice fiscale", che qui è il documento fondamentale per ogni cosa. Sempre in questi giorni il vescovo Alfonso ha preparato il decreto e domenica verrò presentato come nuovo parroco (in questo ruolo dovrò essere molto bravo, perché si dice che dove non arrivano le parole arrivano i fatti… ed io le parole ancora proprio non le ho…). Quindi, sempre grazie ai famosi Angeli custodi, quello che per altri confratelli è durato mesi, per me si è risolto in pochi giorni; evidentemente qualcuno (non certamente io…) aveva premura che arrivassi ed ha aperto le strade. Posso prenderlo come un segno che essere in Amazzonia non è frutto di una mia idea, o di qualcosa che mi piaceva fare? 



Ieri sera siamo andati a celebrare nella cappella di S. Francesco di Assisi, bella e colorata. Molto bello anche il dipinto sul fondo, con Gesù che porta l'Eucaristia nel cuore, circondato dagli angeli. Però la differenza fra il volto di Gesù e quello dei presenti mi ha colpito: non potevano fare lui e gli angeli un po' più indigeni e con la pelle olivastra? E' vero che Gesù non era un indigeno dell'Amazzonia (gli angeli non sappiamo…), ma di certo non era nemmeno un europeo bianco latte come viene sempre raffigurato… Nella Messa ho chiesto al Signore di imparare ad amare questo popolo al quale mi ha affidato… il resto se c'é c'é, ma questo non può mancare!



Questa mattina mi sono avventurato per la strada a fare una passeggiata; visto che oggi è festa nazionale il traffico di moto, motorini, tricicli ed altro era molto più limitato. Un po' di timore c'era, anche se il Vescovo sapeva che ero uscito sulla strada, perché è stata la prima volta che mi mettevo sulla strada da solo. Poi una vecchietta che ho incrociato mi ha detto "bom dia" (si legge "bom gia e si usa la mattina, fino a mezzogiorno) ed anche altri mi hanno salutato (sono un diverso, un po' di curiosità ci sta…) ed un ragazzo che pareva avere qualche deficit mi ha salutato mettendomi una mano sulla spalla: che bello, mi sono sentito anche io parte di questa realtà. Un saluto è importantissimo, forse dovremmo ricordarcene quando incontriamo persone arrivate da noi (mi dicevano che i cattolici africani più volte si sono allontanati dalle nostre parrocchie perché quando hanno provato a venire nessuno li ha salutati…)



Ok. Domattina battesimo del fiume (spero senza bagnarmi…) e rinascita a S. Antonio. Affidiamo tutto al Signore!



venerdì 15 novembre 2024

PRIME IMPRESSIONI DI DON PAOLO BIZZOCCHI NELLA MISSIONE IN AMAZZONIA

 


Si parte!



Ciao a tutti e tutte.  Eccomi partito (su un aereo così stretto che sembra un tubetto di dentifricio...). Ringrazio il Signore di essere qui, in volo per Madrid, poi Bogotà, poi Leticia... e da qui entrare a piedi in Brasile, a Tabatinga, la città ove abbiamo la sede del Vescovo. Qui mi fermerò un giorno o due per conoscere il vescovo Adolfo e fare le necessarie procedure di ingresso, poi prenderò il battello per S.Antonio ove raggiungerò i nostri "mitici" due d. Gabriele ed anche d. Alberto, che, come spesso fa lo Spirito Santo, mi ha preceduto sulla via.

Sono partito accompagnato da innumerevoli preghiere, abbracci e baci ed altri segni di affetto che certamente non meritavo. Ne ringrazio il Signore e tutti voi.  Quando l'aereo si è staccato da Bologna (vola... meno male...) è stato un momento forte Noi - tanti di noi - non siamo più abituati all'esperienza del partire, se non per breve tempo. Eppure, il nomadismo è un'esperienza originaria e fondamentale dell'umanità: grazie ad esso il mondo si popolato di uomini, c'è stato spazio per tutti, saperi e culture di sono contagiate e si sono moltiplicate ed arricchite. Vivere sempre nello stesso luogo è una comodità ed una ricchezza, ma anche una perdita per la nostra umanità. Infine, penso a chi parte senza tanti saluti e baci, ma scappando o cercando una vita migliore. Penso all'amico egiziano che a 19 anni è partito da casa fra le lacrime della madre e la disperazione del padre, che ora lui aiuta mandando soldi perché possa curarsi. Credo che anche all'arrivo io troverò tanto affetto. Loro quando arrivano, se arrivano, dopo viaggi lunghi e carichi di sofferenze, cosa trovano da noi? Forse è tempo che anche noi riscopriamo un sano nomadismo, ci renderebbe meno legati a ciò che riteniamo nostro, ma in realtà è solo di Dio e dell'umanità che lui ha creato per amore, e più umani.




Arrivo a Tabatinga.

Il momento dell'inizio è unico ed irripetibile, quindi ve ne rendo volentieri partecipi. Inoltre, oggi sono in giornata di fermo e riposo in attesa di un documento che dovrebbe essere pronto domani, quindi ho tempo. Fra i tanti interventi dell'Angelo custode ci metto anche questa giornata "vuota", della quale avevo molto bisogno. Se tutto va bene, venerdì partirò con il Vescovo per S. Antonio do Iça ed inizierò a conoscere le nuove comunità.

Oggi desidero condividere una prima sensazione avuta dall' atterraggio in terra amazzonica: qui sono in una terra dalle tinte forti. Sono forti i colori, sempre molto intensi sia nella natura che negli abiti, è forte il caldo - però al momento meno umido ed invasivo del nostro inimitabile caldo padano -, è forte la pioggia. Questa notte abbiamo avuto un temporale che mi pareva cadesse il mondo, da ieri sera a stamattina a più riprese: quando ne ho parlato col Vescovo mi ha detto che rispetto ad altre volte è stato poca cosa... Vedremo. Però mi ha confermato che già così alcune case vengono allagate. Io nella notte pensavo alle casette in legno e lamiera che si vedono nella foto che vi ho mandato, che certamente una qualche perdita nel tetto di lamiera lo avranno. Sono case di immigrati dal Perù. Qui l’immigrazione da Colombia e Perù è forte, come più a nord dal Venezuela, perché il Brasile ha comunque qualche forma di assistenza sociale assente negli stati confinanti. Del resto, il confine stradale con la Colombia è totalmente aperto e dal Perù si arriva tranquillamente via fiume. 

Ultimo tono forte è quello della musica: ieri sera abbiamo partecipato alla Messa della Madonna del Perpetuo Soccorso in Cattedrale, ed il volume della chitarra e della guida dei canti non dava certamente l'opportunità di addormentarsi durante la Messa. Toni forti, che paiono quasi contrastare con l'atteggiamento della popolazione (qui per la gran parte indigena), che ad un primo sguardo appare dimesso e cordiale. Forse è un popolo che ha cose da dire e non trovando vie adatte per farlo le tramette coi suoni e colori. Vedremo...

Il Signore ci accompagni tutti e tutte

D. Paolo


venerdì 20 settembre 2024

NON SOLO CAMBIAMENTI CLIMATICI

 




 

Cari amici, in questi giorni nell’Europa e anche nel nord Italia sono riprese inondazioni importanti, che chiedono l’impegno e la solidarietà di tutti. Purtroppo, qualcuno ancora specula sul dolore di tante famiglie e sull’impegno delle amministrazioni comunali per futili motivi di interesse elettorale, questo abbruttisce ancora di più la situazione già molto difficile. All’inizio di questo anno, anche qui da noi, a Rio Grande del Sud, ultimo Stato brasiliano ai confini con l’Uruguay, come anche in altre zone del grande Brasile, siamo passati per questa emergenza di mal tempo e grandi alluvioni che hanno provocato frane in molti terreni scoscesi abitati, specie nelle “favelas” delle grandi metropoli.

Ora, qui in Amazzonia, è la seccità che sta castigando la nostra gente. Molti fiumi sono al collasso, la navigazione è difficile e pericolosa per l’emergere di rocce e spiagge che provocano naufragi. Molte Comunità sono isolate e sta scarseggiando l’acqua da bere. E per peggiorare la situazione, tutto il Brasile è in fiamme, specialmente nella parte centrale dove si concentrano i latifondi a scopo di grandi allevamenti e agro negozio. Le temperature, che ancora sono sui 40°, non aiutano e i venti alimentano le fiamme. È triste constatare che 90% dei fuochi sono opera dell’uomo e nascondono interessi economici. Qui è una certezza, lì in Portogallo non posso affermarlo, ma solo pensarlo.



Si è parlato tanto negli anni passati di questo pericolo del surriscaldamento del pianeta Terra, anche nelle importanti riunioni dei grandi del mondo, ma non abbiamo visto impegni significativi congiunti per dare una risposta responsabile a questa realtà. Anche il papa ha scritto una lettera come parola profetica sulla necessità di scelte responsabili per una ecologia integrale. Gli interessi di una parte o dell’altra hanno sempre prevalso, e il temporeggiare lascia tutto nel vago, quasi che non fosse un problema nostro. Forse per questo la madre Terra cerca di avvisarci quando ancora è tempo, ma per quanto tempo?

E se non bastasse lo spettro di una guerra totale minaccia l’Umanità. Il tessuto sociale è sempre più debole e, come in una stoffa usata senza riguardo per troppo tempo, potrebbe cedere e strapparsi, senza più possibilità di rammendo. Così gli interessi corporativi, le alleanze atlantiche, i nazionalismi e il potere delle armi contribuiscono ad accendere fuochi di odio, come se Caino non riuscisse più a riconoscere che Abele è suo fratello, figli della stessa Madre. E molti fratelli e sorelle spaventati e affamati scappano dalla miseria provocata e dall’esclusione sociale voluta indiscriminatamente. La chiusura delle frontiere e dei cuori in Europa come negli Stati Uniti d’America sembra essere l’unica risposta infantile e fallimentare, che una Umanità sazia e cieca riesce a dare. Diventa così urgente il pensare in un modo nuovo e globale perché, anche se non tutti concordano e molti oppongono resistenza, viviamo in una realtà di ‘vasi comunicanti’ dove le scelte politiche di alcuni ricadono sulla vita di tutti.



Forse è una nuova mentalità che diventa sempre più necessaria. Martini già diceva che lo spartitraffico non è più tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti. Possiamo riprendere a pensare. Possiamo agire, ci ha insegnato Paulo Freire.  Ritrovare un pensiero fraterno e corresponsabile sulla vita delle persone e il diritto di esistere dei popoli. Il nascondere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi, non ci eviterà di essere impallinati nella grande vulnerabilità che rimane sempre visibile.

Anche la Chiesa non può più continuare nei solchi di quello che è sempre stato, senza essere risposta a due grandi sfide che da tempo ci interpellano. Oggi ricordiamo il teologo Gustavo Gutierrez, padre della Teologia della Liberazione, che ha vissuto la sua pasqua di ritorno al Padre. Alla domanda: che cosa è rimasto della Teologia della Liberazione? La risposta è chiara: sono rimasti i Poveri e l’amore di predilezione che Dio ha per loro. È la sfida che il Concilio non è riuscito ad accogliere e che papa Francesco ci ripropone costantemente: Voglio una Chiesa povera e per i poveri, una Chiesa misericordiosa, ospedale de campo per curare le ferite, nave che solca i mari per salvare persone.

Allora, dopo l’estate, buona ripresa dell’anno scolastico e pastorale, che tutto sia vissuto nella corresponsabilità per la gioia e il bene comune. Grazie!

 

Gabriel Carlotti – missionario dell’Amazzonia

Santo Antonio do Içà, 20 settembre 2024 – giorno natale del teologo padre Gustavo Gutierrez


martedì 18 giugno 2024

CHI PRESIEDE LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA?

 





Santo Antonio do Içá. Lettera dalla missione diocesana in Amazzonia


Gabriele Burani

Una situazione presentata più volte negli incontri ecclesiali a diversi livelli, è quella delle tante comunità che non hanno la presenza di un presbitero e quindi non celebrano la eucaristia. In molte parrocchie italiane si celebra la messa non solo tutte le domeniche, ma tutti i giorni. Però anche in Italia ci sono ora comunità che non possono avere la presenza del presbitero tutte le domeniche.
In certe zone del mondo, come nelle comunità lungo i fiumi della nostra Amazzonia, la presenza del presbitero - quando va bene – è una volta al mese, in altre solo un paio di volte all’anno; in certe zone del mondo passano anche anni senza la presenza di un presbitero che presieda la eucaristia.   Certo, se non c’è la messa la comunità può comunque incontrarsi, pregare, meditare la Sacra Scrittura, celebrare il giorno del Signore…. Rimane un interrogativo: perché un laico (uomo o donna) non potrebbe assumere la presidenza della celebrazione eucaristica, come ministro straordinario, quando vescovo o presbitero non possono essere presenti? E’ assolutamente necessario legare la presidenza della eucaristia al sacramento dell’ordine sacro?

Un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, “ Sacerdotium Ministeriale”,  del 1983, affronta questo tema con affermazioni  che non lasciano  dubbi; vi si legge, ad esempio: “ il Concilio Ecumenico Vaticano II espresse la certezza di fede che soltanto i Vescovi e  i Presbiteri possono compiere il mistero eucaristico”, e “ solo il sacerdote ministeriale in virtù del sacramento dell’Ordine è abilitato a compiere il sacrificio eucaristico”.  Il documento elenca nuove proposte pastorali che considera gravi errori dottrinali; in sintesi le opinioni errate giungono alla stessa conclusione: “ che il potere di compiere il sacramento della Eucaristia non sia necessariamente collegato con la Ordinazione sacramentale”; questa opinione è erronea, non rispetta il contenuto di fede della teologia cattolica “ poiché non solo si misconosce il potere affidato ai sacerdoti, ma si intacca la intera struttura apostolica della Chiesa e si deforma la stessa economia sacramentale della salvezza”.
La Chiesa è Apostolica, deve continuare la missione degli apostoli e lo fa attraverso la successione apostolica; i Vescovi sono i successori degli apostoli.  Il documento afferma che “anche se tutti i battezzati godono della stessa dignità davanti a Dio, nella comunità cristiana voluta dal suo divino Fondatore strutturata gerarchicamente, esistono, fin dai suoi primordi, poteri apostolici specifici derivanti dal sacramento dell’Ordine. “All’inizio del n.3 del documento si afferma: “ fra questi poteri che Cristo ha affidato in maniera esclusiva agli Apostoli e ai loro successori figura quello di fare la Eucaristia. Ai soli Vescovi e ai Presbiteri, che essi hanno resi partecipi del ministero ricevuto, è quindi riservata la potestà di rinnovare nel mistero eucaristico ciò che Gesù ha fatto nell’ultima cena.”  Vescovo e presbitero, afferma il documento, agiscono “ in persona Christi”, identificandosi con Gesù, e non per mandato della comunità.  Quindi si riafferma, contro opinioni contrarie, che “poiché rientra nella natura stessa della Chiesa che il potere di consacrare la Eucaristia è affidato soltanto ai Vescovi e ai Presbiteri, i quali ne sono ministri mediante la recezione del sacramento dell’Ordine, la Chiesa professa che il mistero eucaristico non può essere celebrato in nessuna comunità se non da un sacerdote ordinato come ha espressamente insegnato il Concilio Ecumenico Lateranense IV”. Al n.4: “ i fedeli che pretendono di celebrare la Eucaristia al di fuori del sacro vincolo della successione apostolica stabilito con il sacramento dell’Ordine, si escludono dalla partecipazione all’unità dell’unico corpo del Signore e perciò non nutrono né edificano la comunità ma la distruggono”. 

Le affermazioni sono chiare e perentorie, ma non lo è altrettanto la motivazione e la logica.  E cioè: non si legge da nessuna parte che Gesù abbia voluto una chiesa gerarchicamente strutturata nella forma che è vissuta oggi, e che Gesù abbia deciso che solo vescovi e presbiteri possano presiedere la Eucaristia.  E perché mai un laico o una laica in quanto presidenti della celebrazione eucaristica sarebbero fuori della apostolicità della chiesa e addirittura distruttori della comunità? Se la Eucaristia è centrale per la vita di una comunità, e non ci sono sufficienti presbiteri e vescovi, perché non affidare a una persona credente (pur non avendo ricevuto il sacramento dell’Ordine) il servizio di presiedere la celebrazione eucaristica, in obbedienza al mandato di Gesù nell’ultima cena?    Penso a laici con uno specifico mandato del vescovo locale, e quindi mantenendo il valore della apostolicità della chiesa. E che seguano il testo del Messale (così non si rischia di uscire dalla ortodossia!).

 La eucaristia nei primi anni della vita della chiesa come era celebrata? Nelle case e probabilmente con laici che presiedevano. In poco tempo poi la Chiesa si è strutturata con vescovi, presbiteri come presidenti della Eucaristia; in modo legittimo la chiesa si è strutturata così fino ad ora, ma credo che anche possa evolversi, modificarsi nelle forme in base alle necessità storiche.

Una idea da cambiare e che nel documento in qualche modo è presente, è pensare al sacramento dell’ordine come al ‘potere’ di consacrare il pane e vino trasformandoli in corpo e sangue di Cristo.  La idea di un super-potere, come nei fumetti o film di fantascienza, dove i super-eroi hanno poteri straordinari, così il presbitero ha il ‘potere’ di trasformare magicamente il pane in corpo di Cristo. Anzi,’ le mani’ del presbitero, che a volte con una pratica buffa, vengono baciate alla fine della ordinazione presbiterale (perché da quel momento hanno il potere di consacrare!!).  Presiedere la Eucaristia non è il super-potere di una ristretta casta di trasformare il pane e il vino in corpo  e sangue di Cristo; non dimentichiamo che è la comunità intera che celebra, sempre con una persona a cui si affida la presidenza come servizio. Non dovrebbe essere un problema di ‘potere’. 

Credo dunque che la prassi di legare solo a vescovi e presbiteri la presidenza della Eucaristia possa essere riveduta e lasciare alle chiese locali, se necessario, la libertà di affidare a laici e laiche battezzati il servizio di presidenza della Eucaristia per la vita della comunità.

Don Gabriele Burani, Santo Antonio do Içá – Amazonas – Brasile 18 giugno 2024      

venerdì 24 maggio 2024

Tradizione e tradizioni …

 



 

Ancora un viaggio missionario, passando per le Comunità e celebrando la vita degli uomini e delle donne, nella vita del Risorto. Maggio è il mese della Madonna nella tradizione cattolica, ma qui le due feste maggiori sono la “festa della mamma” e la “festa del Divino” (Pentecoste). Prima di partire Gabri mi dice: “sai domenica è la festa dell’Ascensione, così ho detto al gruppo liturgico di scegliere canti adeguati. Hanno scelto tutti canti della Madonna per la messa. Ho chiesto perché? E la risposta è stata ovvia: era la Festa della Mamma!”.



Sono partito come sempre il 10 del mese e domenica 12 è stata la Festa della Mamma, quale maggiore esempio si poteva usare per parlare dell’amore di Dio. Come una mamma che dona la vita, la porta in sé, la genera e la nutre, così il Signore prima di morire in croce, assassinato dal potere religioso e politico, offre la sua vita per amore e per tutti. È questo che l’Eucaristia rende attuale e contemporaneo a ciascuno di noi. Oggi Dio ci ama con la sua presenza di amore incondizionato e per tutti. La gratuità dell’amore sconfigge il male e neutralizza la morte. Chi dona la sua vita non muore, ma risorge!


Nel risalire il fiume ci fermiamo nella Comunità di Nuova Speranza, qui il patrono è il Divino Spirito Santo, ci fermiamo per avvisare che faremo il possibile per arrivare domenica 19 e celebrare insieme la Messa di Pentecoste. Il nostro viaggio prosegue in pace, il livello dell’acqua un giorno sale per le piogge e l’altro scende, così ci sono molti insetti che rendono più difficile il viaggio, bisogna continuamente bagnarsi con alcool per il prurito e le ferite lasciate su tutto il corpo, gambe, piedi, pancia, non si salva niente, neppure le parti più nascoste! Ma non mi lamento, quando penso che la mia gente, bambini, donne, anziani e giovani vivono tutti i giorni e tutto il giorno in questa situazione, forse ci si abitua, ma non è facile!



Arriviamo fino ad Ipiranga, pitturiamo la porta della chiesa perché il sole ha ormai scalfito anche il legno, cinque mani di vernice non sono sufficienti a renderla lucida, ma il barattolo è finito e così ci arrendiamo. Ipiranga è una Comunità in difficoltà, molte famiglie se ne sono andate e le poche rimaste spesso litigano fra loro aiutate dal grande consumo di alcool. I militari, che potrebbero aiutare, di fatto rendono la situazione più difficile per la relazione molto conflittuale con i civili. Mi preparo a trovarmi la chiesa vuota la sera, deciso a scuotere la polvere dai calzari per provare a scuotere le coscienze. Ma la sera, per mia meraviglia, la chiesa si riempie di bambini e anche alcuni adulti, la moglie di un tenente, l’infermiere del villaggio, due mamme, un sergente con la sua donna e il loro figlioletto. Così mi ricredo e parlo loro dell’essere testimoni di speranza, perché conosciamo il fatto della risurrezione che il Signore ha affidato come missione ai suoi e a noi oggi: essere testimoni di speranza in un mondo segnato dal potere della violenza e delle armi, dall’ingiustizia istituzionalizzata che ormai da troppo tempo caratterizza la nostra Patria amata, escludendo milioni di persone da una società che fabbrica ancora nuove povertà.



Al mattino presto partiamo per il viaggio di ritorno, ci aspettano molte ore di navigazione, passeremo in tre Comunità prima di arrivare per celebrare la Festa del Divino. Mangiamo senza fermarci, uno guida e l’altro mangia, poi ci si cambia. Così riusciamo ad arrivare verso le due del pomeriggio, la Messa è prevista per le quattro e mezza. C’è molta gente, molti giovani e ragazzi, tutti impegnati a giocare a calcio, musica a sballo, bagno nel fiume e, naturalmente, qualche incontro amoroso sporadico. Il clima è molto bello, sono arrivate due lance dalla città portando i parenti della signora che ha iniziato la Festa del Divino. Entriamo anche noi nella mischia e condividiamo il momento ludico, parlando del più e del meno, della vita, i giovani, la politica (quest’anno ci sono le elezioni amministrative), del cammino della Chiesa e anche della fede e i sacramenti. Naturalmente giovani e adulti erano un poco alticci, reduci da una notte di molta musica e danze, tutto innaffiato da molta birra e caipirinha. Torno alla barca per prepararmi per la celebrazione eucaristica con un buon bagno che con questo caldo è indispensabile per la sopravvivenza. Mentre mi faccio la doccia, dalla finestra della barca vedo un gran movimento di persone che salgono sulle due lance caricando armi e bagagli, e in pochi minuti tutti partono per rientrare in città prima della notte. Non nascondo la mia amarezza, mi ero illuso che tutta quella gente, quei giovani e adolescenti fossero venuti per partecipare a un momento festivo, della religiosità popolare, che la loro nonna aveva preparato con cura offrendo cibo a volontà per tutti, senza risparmiarsi. Chiunque arrivasse, anche se sconosciuto, aveva il diritto di mangiare a sazietà, di riempirsi la pancia in onore della promessa fatta al Divino. Perché così cominciano le feste: la signora ha avuto una bimba con la sindrome di Down e si impegna a festeggiare il Divino tutti gli anni, offrendo cibo e festa per tutti, oltre alla preghiera e alla recita del rosario, in cambio della salute e protezione divina per questa bambina eccezionale. Ormai da più di cinquant’anni la promessa è mantenuta e questa religiosità popolare tiene unita la famiglia e la fede di quanti vengono annualmente a partecipare dei festeggiamenti. Almeno così pensavo anch’io. La bellezza e la forza della religiosità popolare come veicolo della fede. Ma, purtroppo, lo scrosciare dell’acqua del bagno si confonde con l’acqua che i motori delle lance schizzano, portandosi via tutti coloro che erano venuti alla festa. Faccio buon viso a cattiva sorte e vado per celebrare con i pochi rimasti, la signora e la figlia Down, il contadino che si prende cura delle mucche e pochi vicini ticuna che abitano il territorio.

 


Per mia grande sorpresa, entrando in chiesa, guidato dal suono della campana, vedo una ‘moltitudine’ di persone venute come d’incanto dalle piccole Comunità vicine: San Crisostomo, Unione della buona fede, Manacapuru, san Vincenzo, Santa Maria. Mi guardo intorno, ancora commosso e sorpreso, li conosco tutti per nome, famiglie, giovani, bambini che frequentano le nostre Comunità Ecclesiali di Base. Sono li. Sono venuti per festeggiare il Divino, per celebrare la Festa di Pentecoste. Ora con gioia tutto può cominciare, i canti, la Parola, l’Eucaristia, l’abbraccio della pace, la comunione per tutti, i biscotti per i bambini che piacciono anche agli adulti, ormai una buona abitudine alla conclusione della Messa. Poi le cinque bandiere rosse del Divino, e una bianca del responsabile per la festa, cominciano a danzare al ritmo del tamburo che un provetto Ticuna suona con solenne rispetto. Una bambina è coperta con un telo bianco e prende in mano la colomba del Divino. Tutti usciamo e gli uomini fanno cadere il “mastro”, un alto palo che portava la bandiera e annunciava a tutti la festa. Alla caduta del Mastro un giovane corre a prendere la bandiera, sarà lui il responsabile per la festa del prossimo anno, il 2025, anno santo della redenzione. E così ci si incammina verso una grande canoa di otto metri, viene caricato il Mastro che percorrerà un tratto del grande fiume prima di essere gettato alle acque che lo porteranno fino all’Atlantico. Poi si ritorna in chiesa e la signora intona un vecchio cantico allo Spirito Santo, un ‘Bendito’, e ogni volta che si pronuncia il nome del Divino le bandiere si inchinano davanti alla grande colomba, fino a creare un tunnel nel quale i presenti che lo desiderano possono passare per fare le loro richieste di fede. Al termine tutti invitati nella casa grande della signora per condividere un’ultima ‘calderada’, zuppa di pesce, dandosi appuntamento per il prossimo anno, “se Deus quizer”, se Dio lo vorrà.

 


Allora mi chiedo, mentre mi preparo per la notte, quale valore ha ancora la religiosità popolare? Quanto le tradizioni degli uomini possono ancora sostenere la Tradizione della Chiesa e la sua Missione? Certamente per le persone di una certa età, di un’altra generazione rimane un valore importante, quasi una impossibilità concreta di pensare la Fede al di fuori di questa religiosità. Ed è importante saper rispettare questo cammino. Ma per i giovani e per le nuove generazioni, per coloro che non hanno più un legame religioso e non conoscono più il Vangelo e la Chiesa, non è più un cammino di Fede. Rimane l’attrattiva per l’incontro, la festa, la musica e la danza, per l’occasione di mangiare e divertirsi, senza che tutto questo sia vissuto come cammino di Fede, ma è ormai una esperienza fine a sé stessa, chiusa nel suo consumarsi. Così molti “consumano” e pochi “camminano” verso la Fede. È diventata come una vetrata opaca che nasconde quel Mistero che ormai pochi possono e riescono ad incontrare. E mi venivano in mente le tante discussioni nelle nostre vecchie e stanche parrocchie, dove si devono salvaguardare le tradizioni degli uomini, che ormai non dicono più nulla alle nuove generazioni. Riti vuoti di significato nati in tempi e contesti che ormai appartengono a un passato già morto. Mi interrogavo: quale cammino viene dal Vangelo e non dalla tradizione degli uomini, quale luce ancora potrà brillare per condurre alla gioia della Fede, della Speranza e dell’Amore. Gli occhi erano ancora pieni di quei volti conosciuti, che riempirono i banchi della chiesa, provenienti da piccole Comunità che hanno accolto la sfida di celebrare la Parola, spezzare il Pane, condividere la Preghiera e prendersi cura della Vita gli uni degli altri, affinché nessuno sia bisognoso e abbandonato.

 


Forse dobbiamo ritornare lì, alla bellezza e semplicità del Vangelo che chiede a ognuno di noi di impegnarsi per la vita di tutti. Anche la religiosità popolare e le tradizioni dovranno passare al crogiuolo del Vangelo ed essere purificate dalle troppe incrostazioni del tempo e ritrovare la freschezza della fraternità sostenuta dalla gratuità dell’amore del Signore. Allora mi addormento pregando: Vieni santo Spirito e rinnova i cuori dei tuoi fedeli, vieni padre dei poveri, vieni datore dei doni, consolatore perfetto, dolcissimo sollievo; vieni e riempici della luce e della gioia dell’Amore gratuito e fedele del Dio che è con noi e per noi. Amen!

 

Gabriel Carlotti – missionario dell’Amazzonia

Santo Antonio do Içà, 17 maggio 2024 – giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.   


giovedì 16 maggio 2024

Lettera dalla missione amazzonica: DROGA

 





Santo Antonio do Içá      15-05-2024

La nostra è la regione della cosiddetta ‘triplice frontiera’, dove Brasile, Colombia e Perù si incontrano; e la nostra parrocchia, seguendo il fiume Içá- Putumayo giunge al confine con Colombia e Perù.   Il consumo di cocaina sta nel mondo sta crescendo, una notevole crescita negli ultimi anni, Italia compresa.   E la produzione è ovviamente in  aumento; Colombia e Perù producono più del 80% di coca a livello mondiale.
Erano stimati 204.000 ettari di terreno coltivato per la  produzione di coca nel 2021 in Colombia; navigando sul nostro fiume Içá e sul Rio delle Amazzoni ( o Solimões) la droga arriva a Manaus o altre città brasiliane, poi  per il mercato europeo e asiatico.
La zona in cui abitiamo  ( Alto Solimões) è diventata una delle maggiori al mondo  per il traffico  di cocaina; la città di Santo Antonio si affaccia proprio nel punto di incontro dei due grandi fiumi, passaggio di grandi quantità di cocaina. La Polizia Federale a volte sequestra carichi di coca, ma ci sono solo 4 agenti su un territorio vasto, e una ricca ragnatela di fiumi grandi e piccoli e canali nascosti dalla esuberante foresta equatoriale.
A Tabatinga, la città maggiore e sede del vescovo, operano da anni gruppi criminali che si dividono il territorio, spesso con scontri tra loro e parecchi omicidi.  Da noi a Santo Antonio sembra più tranquilla la situazione, forse meno appariscente la criminalità, anche se si dice che chi è ricco in città è per il traffico di droga. Non ci sono molti omicidi come in altre zone del Brasile, ma ci sono punti di vendita di sostanze in molti posti della città; tante persone, di tutte le età ma soprattutto giovani, consumano hashish e quella che chiamano ‘pasta base’ della cocaina.  Moltissime le persone con problemi di alcool, considerando che gli Indios, anche con un consumo moderato, facilmente si ubriacano; in ogni caso la moderazione non è il loro forte: quando si incontrano possono bere 15- 20 lattine di birre ciascuno, più volte la settimana, perdendo dignità, perdendo il rispetto per se stessi e per gli altri.

Qui da noi, come in Italia e tante altre parti del mondo, coca e alcool distruggono le famiglie, inducono a comportamenti violenti e distruttivi, causano grandi sofferenze.
Non si nota una volontà seria di combattere il traffico; anzi, molti ci dicono che la Polizia riceve soldi dai piccoli trafficanti diffusi in tutta la città. CHE FARE?

Difficile contrastare questa tendenza, ma stiamo cercando di fare qualcosa, da due punti di vista:

1: La vita parrocchiale, con l’annuncio del vangelo, la liturgia, le relazioni comunitarie...  la vita di fede dà un senso alla vita; la sequela di Gesù Cristo non è alienazione ma, al contrario, è un grande antidoto alla alienazione, è un lottare con tutto se stessi per la realizzazione del Regno di Dio qui sulla terra; la vita Cristiana educa al rispetto di se stessi e degli altri e ad accogliere con gioia la propria dignità di persona amata da Dio; è un dato molto importante per la nostra gente. 

2. In città abbiamo attivato tre gruppi di incontro per chi vive situazioni di dipendenza e per i famigliari; si possono definire gruppi di auto-aiuto, tutti con una dimensione spirituale Cristiana.  Un gruppo si ritrova nei locali del Comune, nella sede dei Servizi Sociali; altri due in parrocchia, uno è accompagnato dalla ‘Pastorale della sobrietà, un altro è più specifico per chi decide di entrare nella comunità terapeutica (Fazenda della speranza) e accetta un periodo di preparazione necessario.

Per ora gruppi di poche persone rispetto al grande numero di famiglie con problemi di dipendenza ma era per noi importante iniziare, soprattutto per dare una possibilità per affrontare questo male a tante persone che comunicano la loro sofferenza e disperazione.
   Interessante il fatto che questo é uno dei pochi luoghi ecumenici; è nata una bella collaborazione tra cattolici e fedeli di altre chiese protestanti (cosa assai rara!), inoltre proprio le persone che erano schiave della droga si dedicano con grande impegno a servizio degli altri.

Non dobbiamo rassegnarci alla impotenza di fronte alla distruzione; é sempre possibile aprire percorsi di vita e speranza collaborando con altri rafforzando gli   aspetti positivi della nostra umanità.

Don Gabriele Burani, Santo Antônio do Içá – Amazonas 

 

giovedì 25 aprile 2024

Cammini di libertà e di liberazione

 


"La Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi".Il Verbo continua a parlare nella storia e a servirsi di chi è chiamato ad annunciarlo. Un annuncio non solo fatto dalla Parola di Dio, ma anche intessuto nella presenza e nell'amicizia di quei missionari che ogni giorno si ritrovano indegnamente a farsi quinto vangelo vivente in carne ed ossa.

Dal 2019 la nostra Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla si è fatta compagna di viaggio, sorella della Chiesa locale dell’Alto Solimões. Così ci troviamo nella città di Santo Antonio di Içà. Un territorio segnato da tanti dei mutamenti che stanno trasformando l'Amazzonia: urbanizzazione, individualismo, mercantilizzazione. Si può dire che alla rottura dei legami tradizionali non è seguita la costruzione di grandi opportunità di benessere per tutti. Per noi missionari Fidei Donum questo significa doversi confrontare con le povertà materiali e spirituali, con le solitudini, ma anche con il fardello della droga, particolarmente pesante lungo un fiume che è una delle principali arterie mondiali del traffico di stupefacenti.

Da 5 anni percorriamo il Rio Içà, risalendolo dalla foce posta nella città di Santo Antonio fino al confine della sterminata parrocchia, corrispondente a quello tra Brasile e Colombia, dove il Rio Içà prende il nome di Putumayo. 357 kilometri dove ormai conosciamo nomi, volti e vite degli abitanti, le loro paure, gioie e aspettative. Un rapporto che è reale, che nutre la vita spirituale di queste genti, spesso smarrite in un'epoca di cambiamenti di cui nessuno scorge l'orizzonte. Abbiamo ricevuto un lascito e ora proviamo a costruire un patto di fiducia per crescere insieme con le Comunità del fiume.



In questa parte di mondo, le distanze senza confronti, le comunicazioni interrotte e le poche risorse disponibili hanno insegnato alla Chiesa un nuovo modello di pastorale, che oggi vive anche nelle città: la parrocchia, più che una struttura verticistica, diventa comunità di comunità, in cui le responsabilità sono diffuse e le potenzialità dei laici coltivate. All'interno dei quartieri cittadini così come dei villaggi indigeni, il laico cerca di condividere la vita di fede con le stesse persone con cui condivide la fatica di ogni giorno. È un lavoro difficile, di continuo messo in discussione dalle tendenze disgregatrici della società. Ma è anche una sfida nuova per il cristiano, chiamato non solo a ricevere l'annuncio, ma a rielaborarlo e a viverlo con autonomia e maturità. Compito del prete è saper accompagnare questo processo. Solo così, attraverso il lavoro collettivo, è possibile mantenere accesa la fiamma della fede, affidandosi ogni giorno al mistero della rivelazione che opera in forme che non possiamo prevedere.

Lo sappiamo: l'evangelizzazione in Amazzonia è avanzata insieme all'invasione colonizzatrice e a tutto il suo lascito di violenza, sfruttamento, devastazione, assimilazione. Forse è stata proprio questa contraddizione estrema tra salvezza e dannazione, vissuta sulla propria pelle, a spingere la Chiesa latinoamericana a scegliere e non solo orientare; a sapere optare per i poveri e non per i potenti, senza compromessi; a identificare la missione di Gesù Cristo con la difesa degli ultimi e dei marginalizzati; e a capire poi che lo Spirito Santo soffia dove vuole, anche sulle culture e sulle fedi delle tante comunità indigene che hanno accolto il Cristianesimo senza per questo rinunciare alle proprie visioni del mondo e alle proprie mitologie.



Testimoniare a queste genti la risurrezione di Cristo significa dire in modo credibile che la legge del più forte non è un destino già scritto; che la Chiesa è al loro fianco nella difesa dai soprusi che in queste terre non hanno mai smesso di minacciare il bene comune; che gli obiettivi del profitto non possono calpestare i diritti né divorare i loro rapporti sociali e i loro legami con le risorse naturali; ma anche che le tentazioni del guadagno privato facile a scapito della ricchezza collettiva possono diventare una pericolosa illusione per le stesse comunità del fiume; che il rischio di dissolvere la coesione tradizionale del gruppo e lasciare l'individuo in balia delle forze anonime del mercato è sempre dietro l'angolo.

La vicinanza che i cittadini di queste comunità ci chiedono è soprattutto quella del momento della sofferenza. E qui il volto più drammatico della sofferenza è la dipendenza da alcool e droghe, con tutto il suo carico di violenza, povertà, lacerazioni. Abbiamo cercato percorsi che potessero dare un contributo per riempire quegli spazi vuoti in cui l'angoscia del futuro e la mancanza di prospettive possono diventare il terreno di coltura della droga tra i giovani. E abbiamo trovato una risposta nello sport, che non può sostituire il lavoro, ma può trasmettere quei valori che sono il contrario della fuga nell'illusione: impegno, ascolto, collaborazione, lealtà. Abbiamo così sostenuto la nascita e il funzionamento di un'associazione che permette a decine di bambini e giovani di coltivare una passione che aumenta di pari passo con il rispetto di sé stessi e degli altri. La pratica dello sport sano è come una piccola testimonianza quotidiana della virtù della speranza.



Liti, solitudini, incertezze sono malattie che incontriamo in ogni viaggio sul fiume. Le perplessità degli anziani e la sfiducia dei giovani fanno parte ormai del panorama umano dell'Amazzonia. E per molte persone sofferenti, la presenza del missionario finisce per essere un appiglio di speranza, l'incoraggiamento e la mano tesa del buon pastore: “Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”. Qui non c'è logica performativa, non siamo di fronte a uno dei tanti adempimenti burocratici che investono la nostra vita di tutti i giorni: “il Padre vostro che è nei cieli non vuole che uno solo di questi piccoli perisca”.

Per molti purtroppo non basta un'attività che tenga lontano dai pericoli della strada. Eppure sono tante le persone che non hanno perso il desiderio di risorgere dall'inferno delle dipendenze. A questi manca la forza e l'opportunità. La pastorale della Sobrietà è un tentativo di unire le forze presenti in città, di coinvolgere chi vuole uscire dalle dipendenze in un percorso che parta dall'ascolto e possa terminare in un progetto di recupero della persona legato al reinserimento familiare e lavorativo. Siamo solo all'inizio, ma conforta vedere come il bene comune abbia unito nello sforzo noi cattolici con altre confessioni cristiane, a dimostrazione che una Chiesa che si sforza di cercare Cristo nell'incontro col prossimo impara anche a superare le divisioni.

La Missione in Amazzonia ci suggerisce una spiritualità integrale, capace di abbracciare la salvaguardia del Creato, con occhi privilegiati alla dignità di ogni persona umana e al bene comune, sui passi di Gesù: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi – dal peso dell’esclusione sociale, dall’ingiustizia strutturata, dal potere economico e tecnologico, dal colore della pelle e dal linguaggio, dalla cultura dominante e religiosa – Venite a me e io vi darò ristoro”. Siamo chiamati a farci carico di un amore universale e di una fraternità affettiva ed effettiva, che serva la vita e faccia giustizia ai poveri. “Prendete su di voi il mio giogo che è leggero” perché, oltre la fede e la speranza, solo l’amore rimane. Così il Centro Missionario Diocesano della nostra Chiesa locale di Reggio Emilia – Guastalla vive il suo impegno di servizio, affinché, camminando insieme a questa Chiesa dell’Amazzonia, possiamo promuovere integralmente la vita. Viviamo una ecologia integrale che, nella salvaguardia del Creato, riconosce la centralità dell’Umanità e la serve con amore.

Gabriel Carlotti & Burani – missionari dell’Amazzonia

Santo Antonio do Içà, 25 aprile 2024 – festa della liberazione e della resilienza 

SFATANDO LUOGHI COMUNI

  Paolo Bizzocchi Con oggi concludo la primissima fase della mia vita amazzonica; domattina con la Lancha, la barca veloce, io ed il Vescovo...