venerdì 24 maggio 2024

Tradizione e tradizioni …

 



 

Ancora un viaggio missionario, passando per le Comunità e celebrando la vita degli uomini e delle donne, nella vita del Risorto. Maggio è il mese della Madonna nella tradizione cattolica, ma qui le due feste maggiori sono la “festa della mamma” e la “festa del Divino” (Pentecoste). Prima di partire Gabri mi dice: “sai domenica è la festa dell’Ascensione, così ho detto al gruppo liturgico di scegliere canti adeguati. Hanno scelto tutti canti della Madonna per la messa. Ho chiesto perché? E la risposta è stata ovvia: era la Festa della Mamma!”.



Sono partito come sempre il 10 del mese e domenica 12 è stata la Festa della Mamma, quale maggiore esempio si poteva usare per parlare dell’amore di Dio. Come una mamma che dona la vita, la porta in sé, la genera e la nutre, così il Signore prima di morire in croce, assassinato dal potere religioso e politico, offre la sua vita per amore e per tutti. È questo che l’Eucaristia rende attuale e contemporaneo a ciascuno di noi. Oggi Dio ci ama con la sua presenza di amore incondizionato e per tutti. La gratuità dell’amore sconfigge il male e neutralizza la morte. Chi dona la sua vita non muore, ma risorge!


Nel risalire il fiume ci fermiamo nella Comunità di Nuova Speranza, qui il patrono è il Divino Spirito Santo, ci fermiamo per avvisare che faremo il possibile per arrivare domenica 19 e celebrare insieme la Messa di Pentecoste. Il nostro viaggio prosegue in pace, il livello dell’acqua un giorno sale per le piogge e l’altro scende, così ci sono molti insetti che rendono più difficile il viaggio, bisogna continuamente bagnarsi con alcool per il prurito e le ferite lasciate su tutto il corpo, gambe, piedi, pancia, non si salva niente, neppure le parti più nascoste! Ma non mi lamento, quando penso che la mia gente, bambini, donne, anziani e giovani vivono tutti i giorni e tutto il giorno in questa situazione, forse ci si abitua, ma non è facile!



Arriviamo fino ad Ipiranga, pitturiamo la porta della chiesa perché il sole ha ormai scalfito anche il legno, cinque mani di vernice non sono sufficienti a renderla lucida, ma il barattolo è finito e così ci arrendiamo. Ipiranga è una Comunità in difficoltà, molte famiglie se ne sono andate e le poche rimaste spesso litigano fra loro aiutate dal grande consumo di alcool. I militari, che potrebbero aiutare, di fatto rendono la situazione più difficile per la relazione molto conflittuale con i civili. Mi preparo a trovarmi la chiesa vuota la sera, deciso a scuotere la polvere dai calzari per provare a scuotere le coscienze. Ma la sera, per mia meraviglia, la chiesa si riempie di bambini e anche alcuni adulti, la moglie di un tenente, l’infermiere del villaggio, due mamme, un sergente con la sua donna e il loro figlioletto. Così mi ricredo e parlo loro dell’essere testimoni di speranza, perché conosciamo il fatto della risurrezione che il Signore ha affidato come missione ai suoi e a noi oggi: essere testimoni di speranza in un mondo segnato dal potere della violenza e delle armi, dall’ingiustizia istituzionalizzata che ormai da troppo tempo caratterizza la nostra Patria amata, escludendo milioni di persone da una società che fabbrica ancora nuove povertà.



Al mattino presto partiamo per il viaggio di ritorno, ci aspettano molte ore di navigazione, passeremo in tre Comunità prima di arrivare per celebrare la Festa del Divino. Mangiamo senza fermarci, uno guida e l’altro mangia, poi ci si cambia. Così riusciamo ad arrivare verso le due del pomeriggio, la Messa è prevista per le quattro e mezza. C’è molta gente, molti giovani e ragazzi, tutti impegnati a giocare a calcio, musica a sballo, bagno nel fiume e, naturalmente, qualche incontro amoroso sporadico. Il clima è molto bello, sono arrivate due lance dalla città portando i parenti della signora che ha iniziato la Festa del Divino. Entriamo anche noi nella mischia e condividiamo il momento ludico, parlando del più e del meno, della vita, i giovani, la politica (quest’anno ci sono le elezioni amministrative), del cammino della Chiesa e anche della fede e i sacramenti. Naturalmente giovani e adulti erano un poco alticci, reduci da una notte di molta musica e danze, tutto innaffiato da molta birra e caipirinha. Torno alla barca per prepararmi per la celebrazione eucaristica con un buon bagno che con questo caldo è indispensabile per la sopravvivenza. Mentre mi faccio la doccia, dalla finestra della barca vedo un gran movimento di persone che salgono sulle due lance caricando armi e bagagli, e in pochi minuti tutti partono per rientrare in città prima della notte. Non nascondo la mia amarezza, mi ero illuso che tutta quella gente, quei giovani e adolescenti fossero venuti per partecipare a un momento festivo, della religiosità popolare, che la loro nonna aveva preparato con cura offrendo cibo a volontà per tutti, senza risparmiarsi. Chiunque arrivasse, anche se sconosciuto, aveva il diritto di mangiare a sazietà, di riempirsi la pancia in onore della promessa fatta al Divino. Perché così cominciano le feste: la signora ha avuto una bimba con la sindrome di Down e si impegna a festeggiare il Divino tutti gli anni, offrendo cibo e festa per tutti, oltre alla preghiera e alla recita del rosario, in cambio della salute e protezione divina per questa bambina eccezionale. Ormai da più di cinquant’anni la promessa è mantenuta e questa religiosità popolare tiene unita la famiglia e la fede di quanti vengono annualmente a partecipare dei festeggiamenti. Almeno così pensavo anch’io. La bellezza e la forza della religiosità popolare come veicolo della fede. Ma, purtroppo, lo scrosciare dell’acqua del bagno si confonde con l’acqua che i motori delle lance schizzano, portandosi via tutti coloro che erano venuti alla festa. Faccio buon viso a cattiva sorte e vado per celebrare con i pochi rimasti, la signora e la figlia Down, il contadino che si prende cura delle mucche e pochi vicini ticuna che abitano il territorio.

 


Per mia grande sorpresa, entrando in chiesa, guidato dal suono della campana, vedo una ‘moltitudine’ di persone venute come d’incanto dalle piccole Comunità vicine: San Crisostomo, Unione della buona fede, Manacapuru, san Vincenzo, Santa Maria. Mi guardo intorno, ancora commosso e sorpreso, li conosco tutti per nome, famiglie, giovani, bambini che frequentano le nostre Comunità Ecclesiali di Base. Sono li. Sono venuti per festeggiare il Divino, per celebrare la Festa di Pentecoste. Ora con gioia tutto può cominciare, i canti, la Parola, l’Eucaristia, l’abbraccio della pace, la comunione per tutti, i biscotti per i bambini che piacciono anche agli adulti, ormai una buona abitudine alla conclusione della Messa. Poi le cinque bandiere rosse del Divino, e una bianca del responsabile per la festa, cominciano a danzare al ritmo del tamburo che un provetto Ticuna suona con solenne rispetto. Una bambina è coperta con un telo bianco e prende in mano la colomba del Divino. Tutti usciamo e gli uomini fanno cadere il “mastro”, un alto palo che portava la bandiera e annunciava a tutti la festa. Alla caduta del Mastro un giovane corre a prendere la bandiera, sarà lui il responsabile per la festa del prossimo anno, il 2025, anno santo della redenzione. E così ci si incammina verso una grande canoa di otto metri, viene caricato il Mastro che percorrerà un tratto del grande fiume prima di essere gettato alle acque che lo porteranno fino all’Atlantico. Poi si ritorna in chiesa e la signora intona un vecchio cantico allo Spirito Santo, un ‘Bendito’, e ogni volta che si pronuncia il nome del Divino le bandiere si inchinano davanti alla grande colomba, fino a creare un tunnel nel quale i presenti che lo desiderano possono passare per fare le loro richieste di fede. Al termine tutti invitati nella casa grande della signora per condividere un’ultima ‘calderada’, zuppa di pesce, dandosi appuntamento per il prossimo anno, “se Deus quizer”, se Dio lo vorrà.

 


Allora mi chiedo, mentre mi preparo per la notte, quale valore ha ancora la religiosità popolare? Quanto le tradizioni degli uomini possono ancora sostenere la Tradizione della Chiesa e la sua Missione? Certamente per le persone di una certa età, di un’altra generazione rimane un valore importante, quasi una impossibilità concreta di pensare la Fede al di fuori di questa religiosità. Ed è importante saper rispettare questo cammino. Ma per i giovani e per le nuove generazioni, per coloro che non hanno più un legame religioso e non conoscono più il Vangelo e la Chiesa, non è più un cammino di Fede. Rimane l’attrattiva per l’incontro, la festa, la musica e la danza, per l’occasione di mangiare e divertirsi, senza che tutto questo sia vissuto come cammino di Fede, ma è ormai una esperienza fine a sé stessa, chiusa nel suo consumarsi. Così molti “consumano” e pochi “camminano” verso la Fede. È diventata come una vetrata opaca che nasconde quel Mistero che ormai pochi possono e riescono ad incontrare. E mi venivano in mente le tante discussioni nelle nostre vecchie e stanche parrocchie, dove si devono salvaguardare le tradizioni degli uomini, che ormai non dicono più nulla alle nuove generazioni. Riti vuoti di significato nati in tempi e contesti che ormai appartengono a un passato già morto. Mi interrogavo: quale cammino viene dal Vangelo e non dalla tradizione degli uomini, quale luce ancora potrà brillare per condurre alla gioia della Fede, della Speranza e dell’Amore. Gli occhi erano ancora pieni di quei volti conosciuti, che riempirono i banchi della chiesa, provenienti da piccole Comunità che hanno accolto la sfida di celebrare la Parola, spezzare il Pane, condividere la Preghiera e prendersi cura della Vita gli uni degli altri, affinché nessuno sia bisognoso e abbandonato.

 


Forse dobbiamo ritornare lì, alla bellezza e semplicità del Vangelo che chiede a ognuno di noi di impegnarsi per la vita di tutti. Anche la religiosità popolare e le tradizioni dovranno passare al crogiuolo del Vangelo ed essere purificate dalle troppe incrostazioni del tempo e ritrovare la freschezza della fraternità sostenuta dalla gratuità dell’amore del Signore. Allora mi addormento pregando: Vieni santo Spirito e rinnova i cuori dei tuoi fedeli, vieni padre dei poveri, vieni datore dei doni, consolatore perfetto, dolcissimo sollievo; vieni e riempici della luce e della gioia dell’Amore gratuito e fedele del Dio che è con noi e per noi. Amen!

 

Gabriel Carlotti – missionario dell’Amazzonia

Santo Antonio do Içà, 17 maggio 2024 – giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.   


giovedì 16 maggio 2024

Lettera dalla missione amazzonica: DROGA

 





Santo Antonio do Içá      15-05-2024

La nostra è la regione della cosiddetta ‘triplice frontiera’, dove Brasile, Colombia e Perù si incontrano; e la nostra parrocchia, seguendo il fiume Içá- Putumayo giunge al confine con Colombia e Perù.   Il consumo di cocaina sta nel mondo sta crescendo, una notevole crescita negli ultimi anni, Italia compresa.   E la produzione è ovviamente in  aumento; Colombia e Perù producono più del 80% di coca a livello mondiale.
Erano stimati 204.000 ettari di terreno coltivato per la  produzione di coca nel 2021 in Colombia; navigando sul nostro fiume Içá e sul Rio delle Amazzoni ( o Solimões) la droga arriva a Manaus o altre città brasiliane, poi  per il mercato europeo e asiatico.
La zona in cui abitiamo  ( Alto Solimões) è diventata una delle maggiori al mondo  per il traffico  di cocaina; la città di Santo Antonio si affaccia proprio nel punto di incontro dei due grandi fiumi, passaggio di grandi quantità di cocaina. La Polizia Federale a volte sequestra carichi di coca, ma ci sono solo 4 agenti su un territorio vasto, e una ricca ragnatela di fiumi grandi e piccoli e canali nascosti dalla esuberante foresta equatoriale.
A Tabatinga, la città maggiore e sede del vescovo, operano da anni gruppi criminali che si dividono il territorio, spesso con scontri tra loro e parecchi omicidi.  Da noi a Santo Antonio sembra più tranquilla la situazione, forse meno appariscente la criminalità, anche se si dice che chi è ricco in città è per il traffico di droga. Non ci sono molti omicidi come in altre zone del Brasile, ma ci sono punti di vendita di sostanze in molti posti della città; tante persone, di tutte le età ma soprattutto giovani, consumano hashish e quella che chiamano ‘pasta base’ della cocaina.  Moltissime le persone con problemi di alcool, considerando che gli Indios, anche con un consumo moderato, facilmente si ubriacano; in ogni caso la moderazione non è il loro forte: quando si incontrano possono bere 15- 20 lattine di birre ciascuno, più volte la settimana, perdendo dignità, perdendo il rispetto per se stessi e per gli altri.

Qui da noi, come in Italia e tante altre parti del mondo, coca e alcool distruggono le famiglie, inducono a comportamenti violenti e distruttivi, causano grandi sofferenze.
Non si nota una volontà seria di combattere il traffico; anzi, molti ci dicono che la Polizia riceve soldi dai piccoli trafficanti diffusi in tutta la città. CHE FARE?

Difficile contrastare questa tendenza, ma stiamo cercando di fare qualcosa, da due punti di vista:

1: La vita parrocchiale, con l’annuncio del vangelo, la liturgia, le relazioni comunitarie...  la vita di fede dà un senso alla vita; la sequela di Gesù Cristo non è alienazione ma, al contrario, è un grande antidoto alla alienazione, è un lottare con tutto se stessi per la realizzazione del Regno di Dio qui sulla terra; la vita Cristiana educa al rispetto di se stessi e degli altri e ad accogliere con gioia la propria dignità di persona amata da Dio; è un dato molto importante per la nostra gente. 

2. In città abbiamo attivato tre gruppi di incontro per chi vive situazioni di dipendenza e per i famigliari; si possono definire gruppi di auto-aiuto, tutti con una dimensione spirituale Cristiana.  Un gruppo si ritrova nei locali del Comune, nella sede dei Servizi Sociali; altri due in parrocchia, uno è accompagnato dalla ‘Pastorale della sobrietà, un altro è più specifico per chi decide di entrare nella comunità terapeutica (Fazenda della speranza) e accetta un periodo di preparazione necessario.

Per ora gruppi di poche persone rispetto al grande numero di famiglie con problemi di dipendenza ma era per noi importante iniziare, soprattutto per dare una possibilità per affrontare questo male a tante persone che comunicano la loro sofferenza e disperazione.
   Interessante il fatto che questo é uno dei pochi luoghi ecumenici; è nata una bella collaborazione tra cattolici e fedeli di altre chiese protestanti (cosa assai rara!), inoltre proprio le persone che erano schiave della droga si dedicano con grande impegno a servizio degli altri.

Non dobbiamo rassegnarci alla impotenza di fronte alla distruzione; é sempre possibile aprire percorsi di vita e speranza collaborando con altri rafforzando gli   aspetti positivi della nostra umanità.

Don Gabriele Burani, Santo Antônio do Içá – Amazonas 

 

La tentazione della torre di Babele

  Paolo Bizzocchi Ciao a tutti e tutte,  eccomi ancora da voi da Brasilia. Sinceramente è una città con la quale fatico a fraternizzare… non...