martedì 18 giugno 2024

CHI PRESIEDE LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA?

 





Santo Antonio do Içá. Lettera dalla missione diocesana in Amazzonia


Gabriele Burani

Una situazione presentata più volte negli incontri ecclesiali a diversi livelli, è quella delle tante comunità che non hanno la presenza di un presbitero e quindi non celebrano la eucaristia. In molte parrocchie italiane si celebra la messa non solo tutte le domeniche, ma tutti i giorni. Però anche in Italia ci sono ora comunità che non possono avere la presenza del presbitero tutte le domeniche.
In certe zone del mondo, come nelle comunità lungo i fiumi della nostra Amazzonia, la presenza del presbitero - quando va bene – è una volta al mese, in altre solo un paio di volte all’anno; in certe zone del mondo passano anche anni senza la presenza di un presbitero che presieda la eucaristia.   Certo, se non c’è la messa la comunità può comunque incontrarsi, pregare, meditare la Sacra Scrittura, celebrare il giorno del Signore…. Rimane un interrogativo: perché un laico (uomo o donna) non potrebbe assumere la presidenza della celebrazione eucaristica, come ministro straordinario, quando vescovo o presbitero non possono essere presenti? E’ assolutamente necessario legare la presidenza della eucaristia al sacramento dell’ordine sacro?

Un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, “ Sacerdotium Ministeriale”,  del 1983, affronta questo tema con affermazioni  che non lasciano  dubbi; vi si legge, ad esempio: “ il Concilio Ecumenico Vaticano II espresse la certezza di fede che soltanto i Vescovi e  i Presbiteri possono compiere il mistero eucaristico”, e “ solo il sacerdote ministeriale in virtù del sacramento dell’Ordine è abilitato a compiere il sacrificio eucaristico”.  Il documento elenca nuove proposte pastorali che considera gravi errori dottrinali; in sintesi le opinioni errate giungono alla stessa conclusione: “ che il potere di compiere il sacramento della Eucaristia non sia necessariamente collegato con la Ordinazione sacramentale”; questa opinione è erronea, non rispetta il contenuto di fede della teologia cattolica “ poiché non solo si misconosce il potere affidato ai sacerdoti, ma si intacca la intera struttura apostolica della Chiesa e si deforma la stessa economia sacramentale della salvezza”.
La Chiesa è Apostolica, deve continuare la missione degli apostoli e lo fa attraverso la successione apostolica; i Vescovi sono i successori degli apostoli.  Il documento afferma che “anche se tutti i battezzati godono della stessa dignità davanti a Dio, nella comunità cristiana voluta dal suo divino Fondatore strutturata gerarchicamente, esistono, fin dai suoi primordi, poteri apostolici specifici derivanti dal sacramento dell’Ordine. “All’inizio del n.3 del documento si afferma: “ fra questi poteri che Cristo ha affidato in maniera esclusiva agli Apostoli e ai loro successori figura quello di fare la Eucaristia. Ai soli Vescovi e ai Presbiteri, che essi hanno resi partecipi del ministero ricevuto, è quindi riservata la potestà di rinnovare nel mistero eucaristico ciò che Gesù ha fatto nell’ultima cena.”  Vescovo e presbitero, afferma il documento, agiscono “ in persona Christi”, identificandosi con Gesù, e non per mandato della comunità.  Quindi si riafferma, contro opinioni contrarie, che “poiché rientra nella natura stessa della Chiesa che il potere di consacrare la Eucaristia è affidato soltanto ai Vescovi e ai Presbiteri, i quali ne sono ministri mediante la recezione del sacramento dell’Ordine, la Chiesa professa che il mistero eucaristico non può essere celebrato in nessuna comunità se non da un sacerdote ordinato come ha espressamente insegnato il Concilio Ecumenico Lateranense IV”. Al n.4: “ i fedeli che pretendono di celebrare la Eucaristia al di fuori del sacro vincolo della successione apostolica stabilito con il sacramento dell’Ordine, si escludono dalla partecipazione all’unità dell’unico corpo del Signore e perciò non nutrono né edificano la comunità ma la distruggono”. 

Le affermazioni sono chiare e perentorie, ma non lo è altrettanto la motivazione e la logica.  E cioè: non si legge da nessuna parte che Gesù abbia voluto una chiesa gerarchicamente strutturata nella forma che è vissuta oggi, e che Gesù abbia deciso che solo vescovi e presbiteri possano presiedere la Eucaristia.  E perché mai un laico o una laica in quanto presidenti della celebrazione eucaristica sarebbero fuori della apostolicità della chiesa e addirittura distruttori della comunità? Se la Eucaristia è centrale per la vita di una comunità, e non ci sono sufficienti presbiteri e vescovi, perché non affidare a una persona credente (pur non avendo ricevuto il sacramento dell’Ordine) il servizio di presiedere la celebrazione eucaristica, in obbedienza al mandato di Gesù nell’ultima cena?    Penso a laici con uno specifico mandato del vescovo locale, e quindi mantenendo il valore della apostolicità della chiesa. E che seguano il testo del Messale (così non si rischia di uscire dalla ortodossia!).

 La eucaristia nei primi anni della vita della chiesa come era celebrata? Nelle case e probabilmente con laici che presiedevano. In poco tempo poi la Chiesa si è strutturata con vescovi, presbiteri come presidenti della Eucaristia; in modo legittimo la chiesa si è strutturata così fino ad ora, ma credo che anche possa evolversi, modificarsi nelle forme in base alle necessità storiche.

Una idea da cambiare e che nel documento in qualche modo è presente, è pensare al sacramento dell’ordine come al ‘potere’ di consacrare il pane e vino trasformandoli in corpo e sangue di Cristo.  La idea di un super-potere, come nei fumetti o film di fantascienza, dove i super-eroi hanno poteri straordinari, così il presbitero ha il ‘potere’ di trasformare magicamente il pane in corpo di Cristo. Anzi,’ le mani’ del presbitero, che a volte con una pratica buffa, vengono baciate alla fine della ordinazione presbiterale (perché da quel momento hanno il potere di consacrare!!).  Presiedere la Eucaristia non è il super-potere di una ristretta casta di trasformare il pane e il vino in corpo  e sangue di Cristo; non dimentichiamo che è la comunità intera che celebra, sempre con una persona a cui si affida la presidenza come servizio. Non dovrebbe essere un problema di ‘potere’. 

Credo dunque che la prassi di legare solo a vescovi e presbiteri la presidenza della Eucaristia possa essere riveduta e lasciare alle chiese locali, se necessario, la libertà di affidare a laici e laiche battezzati il servizio di presidenza della Eucaristia per la vita della comunità.

Don Gabriele Burani, Santo Antonio do Içá – Amazonas – Brasile 18 giugno 2024      

venerdì 24 maggio 2024

Tradizione e tradizioni …

 



 

Ancora un viaggio missionario, passando per le Comunità e celebrando la vita degli uomini e delle donne, nella vita del Risorto. Maggio è il mese della Madonna nella tradizione cattolica, ma qui le due feste maggiori sono la “festa della mamma” e la “festa del Divino” (Pentecoste). Prima di partire Gabri mi dice: “sai domenica è la festa dell’Ascensione, così ho detto al gruppo liturgico di scegliere canti adeguati. Hanno scelto tutti canti della Madonna per la messa. Ho chiesto perché? E la risposta è stata ovvia: era la Festa della Mamma!”.



Sono partito come sempre il 10 del mese e domenica 12 è stata la Festa della Mamma, quale maggiore esempio si poteva usare per parlare dell’amore di Dio. Come una mamma che dona la vita, la porta in sé, la genera e la nutre, così il Signore prima di morire in croce, assassinato dal potere religioso e politico, offre la sua vita per amore e per tutti. È questo che l’Eucaristia rende attuale e contemporaneo a ciascuno di noi. Oggi Dio ci ama con la sua presenza di amore incondizionato e per tutti. La gratuità dell’amore sconfigge il male e neutralizza la morte. Chi dona la sua vita non muore, ma risorge!


Nel risalire il fiume ci fermiamo nella Comunità di Nuova Speranza, qui il patrono è il Divino Spirito Santo, ci fermiamo per avvisare che faremo il possibile per arrivare domenica 19 e celebrare insieme la Messa di Pentecoste. Il nostro viaggio prosegue in pace, il livello dell’acqua un giorno sale per le piogge e l’altro scende, così ci sono molti insetti che rendono più difficile il viaggio, bisogna continuamente bagnarsi con alcool per il prurito e le ferite lasciate su tutto il corpo, gambe, piedi, pancia, non si salva niente, neppure le parti più nascoste! Ma non mi lamento, quando penso che la mia gente, bambini, donne, anziani e giovani vivono tutti i giorni e tutto il giorno in questa situazione, forse ci si abitua, ma non è facile!



Arriviamo fino ad Ipiranga, pitturiamo la porta della chiesa perché il sole ha ormai scalfito anche il legno, cinque mani di vernice non sono sufficienti a renderla lucida, ma il barattolo è finito e così ci arrendiamo. Ipiranga è una Comunità in difficoltà, molte famiglie se ne sono andate e le poche rimaste spesso litigano fra loro aiutate dal grande consumo di alcool. I militari, che potrebbero aiutare, di fatto rendono la situazione più difficile per la relazione molto conflittuale con i civili. Mi preparo a trovarmi la chiesa vuota la sera, deciso a scuotere la polvere dai calzari per provare a scuotere le coscienze. Ma la sera, per mia meraviglia, la chiesa si riempie di bambini e anche alcuni adulti, la moglie di un tenente, l’infermiere del villaggio, due mamme, un sergente con la sua donna e il loro figlioletto. Così mi ricredo e parlo loro dell’essere testimoni di speranza, perché conosciamo il fatto della risurrezione che il Signore ha affidato come missione ai suoi e a noi oggi: essere testimoni di speranza in un mondo segnato dal potere della violenza e delle armi, dall’ingiustizia istituzionalizzata che ormai da troppo tempo caratterizza la nostra Patria amata, escludendo milioni di persone da una società che fabbrica ancora nuove povertà.



Al mattino presto partiamo per il viaggio di ritorno, ci aspettano molte ore di navigazione, passeremo in tre Comunità prima di arrivare per celebrare la Festa del Divino. Mangiamo senza fermarci, uno guida e l’altro mangia, poi ci si cambia. Così riusciamo ad arrivare verso le due del pomeriggio, la Messa è prevista per le quattro e mezza. C’è molta gente, molti giovani e ragazzi, tutti impegnati a giocare a calcio, musica a sballo, bagno nel fiume e, naturalmente, qualche incontro amoroso sporadico. Il clima è molto bello, sono arrivate due lance dalla città portando i parenti della signora che ha iniziato la Festa del Divino. Entriamo anche noi nella mischia e condividiamo il momento ludico, parlando del più e del meno, della vita, i giovani, la politica (quest’anno ci sono le elezioni amministrative), del cammino della Chiesa e anche della fede e i sacramenti. Naturalmente giovani e adulti erano un poco alticci, reduci da una notte di molta musica e danze, tutto innaffiato da molta birra e caipirinha. Torno alla barca per prepararmi per la celebrazione eucaristica con un buon bagno che con questo caldo è indispensabile per la sopravvivenza. Mentre mi faccio la doccia, dalla finestra della barca vedo un gran movimento di persone che salgono sulle due lance caricando armi e bagagli, e in pochi minuti tutti partono per rientrare in città prima della notte. Non nascondo la mia amarezza, mi ero illuso che tutta quella gente, quei giovani e adolescenti fossero venuti per partecipare a un momento festivo, della religiosità popolare, che la loro nonna aveva preparato con cura offrendo cibo a volontà per tutti, senza risparmiarsi. Chiunque arrivasse, anche se sconosciuto, aveva il diritto di mangiare a sazietà, di riempirsi la pancia in onore della promessa fatta al Divino. Perché così cominciano le feste: la signora ha avuto una bimba con la sindrome di Down e si impegna a festeggiare il Divino tutti gli anni, offrendo cibo e festa per tutti, oltre alla preghiera e alla recita del rosario, in cambio della salute e protezione divina per questa bambina eccezionale. Ormai da più di cinquant’anni la promessa è mantenuta e questa religiosità popolare tiene unita la famiglia e la fede di quanti vengono annualmente a partecipare dei festeggiamenti. Almeno così pensavo anch’io. La bellezza e la forza della religiosità popolare come veicolo della fede. Ma, purtroppo, lo scrosciare dell’acqua del bagno si confonde con l’acqua che i motori delle lance schizzano, portandosi via tutti coloro che erano venuti alla festa. Faccio buon viso a cattiva sorte e vado per celebrare con i pochi rimasti, la signora e la figlia Down, il contadino che si prende cura delle mucche e pochi vicini ticuna che abitano il territorio.

 


Per mia grande sorpresa, entrando in chiesa, guidato dal suono della campana, vedo una ‘moltitudine’ di persone venute come d’incanto dalle piccole Comunità vicine: San Crisostomo, Unione della buona fede, Manacapuru, san Vincenzo, Santa Maria. Mi guardo intorno, ancora commosso e sorpreso, li conosco tutti per nome, famiglie, giovani, bambini che frequentano le nostre Comunità Ecclesiali di Base. Sono li. Sono venuti per festeggiare il Divino, per celebrare la Festa di Pentecoste. Ora con gioia tutto può cominciare, i canti, la Parola, l’Eucaristia, l’abbraccio della pace, la comunione per tutti, i biscotti per i bambini che piacciono anche agli adulti, ormai una buona abitudine alla conclusione della Messa. Poi le cinque bandiere rosse del Divino, e una bianca del responsabile per la festa, cominciano a danzare al ritmo del tamburo che un provetto Ticuna suona con solenne rispetto. Una bambina è coperta con un telo bianco e prende in mano la colomba del Divino. Tutti usciamo e gli uomini fanno cadere il “mastro”, un alto palo che portava la bandiera e annunciava a tutti la festa. Alla caduta del Mastro un giovane corre a prendere la bandiera, sarà lui il responsabile per la festa del prossimo anno, il 2025, anno santo della redenzione. E così ci si incammina verso una grande canoa di otto metri, viene caricato il Mastro che percorrerà un tratto del grande fiume prima di essere gettato alle acque che lo porteranno fino all’Atlantico. Poi si ritorna in chiesa e la signora intona un vecchio cantico allo Spirito Santo, un ‘Bendito’, e ogni volta che si pronuncia il nome del Divino le bandiere si inchinano davanti alla grande colomba, fino a creare un tunnel nel quale i presenti che lo desiderano possono passare per fare le loro richieste di fede. Al termine tutti invitati nella casa grande della signora per condividere un’ultima ‘calderada’, zuppa di pesce, dandosi appuntamento per il prossimo anno, “se Deus quizer”, se Dio lo vorrà.

 


Allora mi chiedo, mentre mi preparo per la notte, quale valore ha ancora la religiosità popolare? Quanto le tradizioni degli uomini possono ancora sostenere la Tradizione della Chiesa e la sua Missione? Certamente per le persone di una certa età, di un’altra generazione rimane un valore importante, quasi una impossibilità concreta di pensare la Fede al di fuori di questa religiosità. Ed è importante saper rispettare questo cammino. Ma per i giovani e per le nuove generazioni, per coloro che non hanno più un legame religioso e non conoscono più il Vangelo e la Chiesa, non è più un cammino di Fede. Rimane l’attrattiva per l’incontro, la festa, la musica e la danza, per l’occasione di mangiare e divertirsi, senza che tutto questo sia vissuto come cammino di Fede, ma è ormai una esperienza fine a sé stessa, chiusa nel suo consumarsi. Così molti “consumano” e pochi “camminano” verso la Fede. È diventata come una vetrata opaca che nasconde quel Mistero che ormai pochi possono e riescono ad incontrare. E mi venivano in mente le tante discussioni nelle nostre vecchie e stanche parrocchie, dove si devono salvaguardare le tradizioni degli uomini, che ormai non dicono più nulla alle nuove generazioni. Riti vuoti di significato nati in tempi e contesti che ormai appartengono a un passato già morto. Mi interrogavo: quale cammino viene dal Vangelo e non dalla tradizione degli uomini, quale luce ancora potrà brillare per condurre alla gioia della Fede, della Speranza e dell’Amore. Gli occhi erano ancora pieni di quei volti conosciuti, che riempirono i banchi della chiesa, provenienti da piccole Comunità che hanno accolto la sfida di celebrare la Parola, spezzare il Pane, condividere la Preghiera e prendersi cura della Vita gli uni degli altri, affinché nessuno sia bisognoso e abbandonato.

 


Forse dobbiamo ritornare lì, alla bellezza e semplicità del Vangelo che chiede a ognuno di noi di impegnarsi per la vita di tutti. Anche la religiosità popolare e le tradizioni dovranno passare al crogiuolo del Vangelo ed essere purificate dalle troppe incrostazioni del tempo e ritrovare la freschezza della fraternità sostenuta dalla gratuità dell’amore del Signore. Allora mi addormento pregando: Vieni santo Spirito e rinnova i cuori dei tuoi fedeli, vieni padre dei poveri, vieni datore dei doni, consolatore perfetto, dolcissimo sollievo; vieni e riempici della luce e della gioia dell’Amore gratuito e fedele del Dio che è con noi e per noi. Amen!

 

Gabriel Carlotti – missionario dell’Amazzonia

Santo Antonio do Içà, 17 maggio 2024 – giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.   


giovedì 16 maggio 2024

Lettera dalla missione amazzonica: DROGA

 





Santo Antonio do Içá      15-05-2024

La nostra è la regione della cosiddetta ‘triplice frontiera’, dove Brasile, Colombia e Perù si incontrano; e la nostra parrocchia, seguendo il fiume Içá- Putumayo giunge al confine con Colombia e Perù.   Il consumo di cocaina sta nel mondo sta crescendo, una notevole crescita negli ultimi anni, Italia compresa.   E la produzione è ovviamente in  aumento; Colombia e Perù producono più del 80% di coca a livello mondiale.
Erano stimati 204.000 ettari di terreno coltivato per la  produzione di coca nel 2021 in Colombia; navigando sul nostro fiume Içá e sul Rio delle Amazzoni ( o Solimões) la droga arriva a Manaus o altre città brasiliane, poi  per il mercato europeo e asiatico.
La zona in cui abitiamo  ( Alto Solimões) è diventata una delle maggiori al mondo  per il traffico  di cocaina; la città di Santo Antonio si affaccia proprio nel punto di incontro dei due grandi fiumi, passaggio di grandi quantità di cocaina. La Polizia Federale a volte sequestra carichi di coca, ma ci sono solo 4 agenti su un territorio vasto, e una ricca ragnatela di fiumi grandi e piccoli e canali nascosti dalla esuberante foresta equatoriale.
A Tabatinga, la città maggiore e sede del vescovo, operano da anni gruppi criminali che si dividono il territorio, spesso con scontri tra loro e parecchi omicidi.  Da noi a Santo Antonio sembra più tranquilla la situazione, forse meno appariscente la criminalità, anche se si dice che chi è ricco in città è per il traffico di droga. Non ci sono molti omicidi come in altre zone del Brasile, ma ci sono punti di vendita di sostanze in molti posti della città; tante persone, di tutte le età ma soprattutto giovani, consumano hashish e quella che chiamano ‘pasta base’ della cocaina.  Moltissime le persone con problemi di alcool, considerando che gli Indios, anche con un consumo moderato, facilmente si ubriacano; in ogni caso la moderazione non è il loro forte: quando si incontrano possono bere 15- 20 lattine di birre ciascuno, più volte la settimana, perdendo dignità, perdendo il rispetto per se stessi e per gli altri.

Qui da noi, come in Italia e tante altre parti del mondo, coca e alcool distruggono le famiglie, inducono a comportamenti violenti e distruttivi, causano grandi sofferenze.
Non si nota una volontà seria di combattere il traffico; anzi, molti ci dicono che la Polizia riceve soldi dai piccoli trafficanti diffusi in tutta la città. CHE FARE?

Difficile contrastare questa tendenza, ma stiamo cercando di fare qualcosa, da due punti di vista:

1: La vita parrocchiale, con l’annuncio del vangelo, la liturgia, le relazioni comunitarie...  la vita di fede dà un senso alla vita; la sequela di Gesù Cristo non è alienazione ma, al contrario, è un grande antidoto alla alienazione, è un lottare con tutto se stessi per la realizzazione del Regno di Dio qui sulla terra; la vita Cristiana educa al rispetto di se stessi e degli altri e ad accogliere con gioia la propria dignità di persona amata da Dio; è un dato molto importante per la nostra gente. 

2. In città abbiamo attivato tre gruppi di incontro per chi vive situazioni di dipendenza e per i famigliari; si possono definire gruppi di auto-aiuto, tutti con una dimensione spirituale Cristiana.  Un gruppo si ritrova nei locali del Comune, nella sede dei Servizi Sociali; altri due in parrocchia, uno è accompagnato dalla ‘Pastorale della sobrietà, un altro è più specifico per chi decide di entrare nella comunità terapeutica (Fazenda della speranza) e accetta un periodo di preparazione necessario.

Per ora gruppi di poche persone rispetto al grande numero di famiglie con problemi di dipendenza ma era per noi importante iniziare, soprattutto per dare una possibilità per affrontare questo male a tante persone che comunicano la loro sofferenza e disperazione.
   Interessante il fatto che questo é uno dei pochi luoghi ecumenici; è nata una bella collaborazione tra cattolici e fedeli di altre chiese protestanti (cosa assai rara!), inoltre proprio le persone che erano schiave della droga si dedicano con grande impegno a servizio degli altri.

Non dobbiamo rassegnarci alla impotenza di fronte alla distruzione; é sempre possibile aprire percorsi di vita e speranza collaborando con altri rafforzando gli   aspetti positivi della nostra umanità.

Don Gabriele Burani, Santo Antônio do Içá – Amazonas 

 

giovedì 25 aprile 2024

Cammini di libertà e di liberazione

 


"La Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi".Il Verbo continua a parlare nella storia e a servirsi di chi è chiamato ad annunciarlo. Un annuncio non solo fatto dalla Parola di Dio, ma anche intessuto nella presenza e nell'amicizia di quei missionari che ogni giorno si ritrovano indegnamente a farsi quinto vangelo vivente in carne ed ossa.

Dal 2019 la nostra Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla si è fatta compagna di viaggio, sorella della Chiesa locale dell’Alto Solimões. Così ci troviamo nella città di Santo Antonio di Içà. Un territorio segnato da tanti dei mutamenti che stanno trasformando l'Amazzonia: urbanizzazione, individualismo, mercantilizzazione. Si può dire che alla rottura dei legami tradizionali non è seguita la costruzione di grandi opportunità di benessere per tutti. Per noi missionari Fidei Donum questo significa doversi confrontare con le povertà materiali e spirituali, con le solitudini, ma anche con il fardello della droga, particolarmente pesante lungo un fiume che è una delle principali arterie mondiali del traffico di stupefacenti.

Da 5 anni percorriamo il Rio Içà, risalendolo dalla foce posta nella città di Santo Antonio fino al confine della sterminata parrocchia, corrispondente a quello tra Brasile e Colombia, dove il Rio Içà prende il nome di Putumayo. 357 kilometri dove ormai conosciamo nomi, volti e vite degli abitanti, le loro paure, gioie e aspettative. Un rapporto che è reale, che nutre la vita spirituale di queste genti, spesso smarrite in un'epoca di cambiamenti di cui nessuno scorge l'orizzonte. Abbiamo ricevuto un lascito e ora proviamo a costruire un patto di fiducia per crescere insieme con le Comunità del fiume.



In questa parte di mondo, le distanze senza confronti, le comunicazioni interrotte e le poche risorse disponibili hanno insegnato alla Chiesa un nuovo modello di pastorale, che oggi vive anche nelle città: la parrocchia, più che una struttura verticistica, diventa comunità di comunità, in cui le responsabilità sono diffuse e le potenzialità dei laici coltivate. All'interno dei quartieri cittadini così come dei villaggi indigeni, il laico cerca di condividere la vita di fede con le stesse persone con cui condivide la fatica di ogni giorno. È un lavoro difficile, di continuo messo in discussione dalle tendenze disgregatrici della società. Ma è anche una sfida nuova per il cristiano, chiamato non solo a ricevere l'annuncio, ma a rielaborarlo e a viverlo con autonomia e maturità. Compito del prete è saper accompagnare questo processo. Solo così, attraverso il lavoro collettivo, è possibile mantenere accesa la fiamma della fede, affidandosi ogni giorno al mistero della rivelazione che opera in forme che non possiamo prevedere.

Lo sappiamo: l'evangelizzazione in Amazzonia è avanzata insieme all'invasione colonizzatrice e a tutto il suo lascito di violenza, sfruttamento, devastazione, assimilazione. Forse è stata proprio questa contraddizione estrema tra salvezza e dannazione, vissuta sulla propria pelle, a spingere la Chiesa latinoamericana a scegliere e non solo orientare; a sapere optare per i poveri e non per i potenti, senza compromessi; a identificare la missione di Gesù Cristo con la difesa degli ultimi e dei marginalizzati; e a capire poi che lo Spirito Santo soffia dove vuole, anche sulle culture e sulle fedi delle tante comunità indigene che hanno accolto il Cristianesimo senza per questo rinunciare alle proprie visioni del mondo e alle proprie mitologie.



Testimoniare a queste genti la risurrezione di Cristo significa dire in modo credibile che la legge del più forte non è un destino già scritto; che la Chiesa è al loro fianco nella difesa dai soprusi che in queste terre non hanno mai smesso di minacciare il bene comune; che gli obiettivi del profitto non possono calpestare i diritti né divorare i loro rapporti sociali e i loro legami con le risorse naturali; ma anche che le tentazioni del guadagno privato facile a scapito della ricchezza collettiva possono diventare una pericolosa illusione per le stesse comunità del fiume; che il rischio di dissolvere la coesione tradizionale del gruppo e lasciare l'individuo in balia delle forze anonime del mercato è sempre dietro l'angolo.

La vicinanza che i cittadini di queste comunità ci chiedono è soprattutto quella del momento della sofferenza. E qui il volto più drammatico della sofferenza è la dipendenza da alcool e droghe, con tutto il suo carico di violenza, povertà, lacerazioni. Abbiamo cercato percorsi che potessero dare un contributo per riempire quegli spazi vuoti in cui l'angoscia del futuro e la mancanza di prospettive possono diventare il terreno di coltura della droga tra i giovani. E abbiamo trovato una risposta nello sport, che non può sostituire il lavoro, ma può trasmettere quei valori che sono il contrario della fuga nell'illusione: impegno, ascolto, collaborazione, lealtà. Abbiamo così sostenuto la nascita e il funzionamento di un'associazione che permette a decine di bambini e giovani di coltivare una passione che aumenta di pari passo con il rispetto di sé stessi e degli altri. La pratica dello sport sano è come una piccola testimonianza quotidiana della virtù della speranza.



Liti, solitudini, incertezze sono malattie che incontriamo in ogni viaggio sul fiume. Le perplessità degli anziani e la sfiducia dei giovani fanno parte ormai del panorama umano dell'Amazzonia. E per molte persone sofferenti, la presenza del missionario finisce per essere un appiglio di speranza, l'incoraggiamento e la mano tesa del buon pastore: “Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”. Qui non c'è logica performativa, non siamo di fronte a uno dei tanti adempimenti burocratici che investono la nostra vita di tutti i giorni: “il Padre vostro che è nei cieli non vuole che uno solo di questi piccoli perisca”.

Per molti purtroppo non basta un'attività che tenga lontano dai pericoli della strada. Eppure sono tante le persone che non hanno perso il desiderio di risorgere dall'inferno delle dipendenze. A questi manca la forza e l'opportunità. La pastorale della Sobrietà è un tentativo di unire le forze presenti in città, di coinvolgere chi vuole uscire dalle dipendenze in un percorso che parta dall'ascolto e possa terminare in un progetto di recupero della persona legato al reinserimento familiare e lavorativo. Siamo solo all'inizio, ma conforta vedere come il bene comune abbia unito nello sforzo noi cattolici con altre confessioni cristiane, a dimostrazione che una Chiesa che si sforza di cercare Cristo nell'incontro col prossimo impara anche a superare le divisioni.

La Missione in Amazzonia ci suggerisce una spiritualità integrale, capace di abbracciare la salvaguardia del Creato, con occhi privilegiati alla dignità di ogni persona umana e al bene comune, sui passi di Gesù: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi – dal peso dell’esclusione sociale, dall’ingiustizia strutturata, dal potere economico e tecnologico, dal colore della pelle e dal linguaggio, dalla cultura dominante e religiosa – Venite a me e io vi darò ristoro”. Siamo chiamati a farci carico di un amore universale e di una fraternità affettiva ed effettiva, che serva la vita e faccia giustizia ai poveri. “Prendete su di voi il mio giogo che è leggero” perché, oltre la fede e la speranza, solo l’amore rimane. Così il Centro Missionario Diocesano della nostra Chiesa locale di Reggio Emilia – Guastalla vive il suo impegno di servizio, affinché, camminando insieme a questa Chiesa dell’Amazzonia, possiamo promuovere integralmente la vita. Viviamo una ecologia integrale che, nella salvaguardia del Creato, riconosce la centralità dell’Umanità e la serve con amore.

Gabriel Carlotti & Burani – missionari dell’Amazzonia

Santo Antonio do Içà, 25 aprile 2024 – festa della liberazione e della resilienza 

sabato 23 marzo 2024

Pasqua 2024

 

Ciao a tutti, anche quest’anno la Pasqua illumina i nostri giorni. Sto viaggiando sul grande fiume, quando siamo partiti, il 10 marzo, la luna era appena un filo nel cielo stellato, ora è già più della metà e sarà luna piena il 31, giorno della Pasqua di Risurrezione del Signore Gesù.



Sappiamo che il giorno del Natale, 25 dicembre, è stato scelto per sostituire, battezzare si dice qui da noi, la festa pagana del Sole. È la nascita del Figlio di Dio che ha portato la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Così la Pasqua, festa della primavera, della vita che rinasce dopo il lungo inverno, coincide con la luna piena che rischiara la notte e vince le tenebre. Navigare lungo il fiume di notte non è facile, si può perdere la rotta, mi è già capitato alcune volte di credere di star risalendo il fiume, e invece stavamo scendendo, ritornando al punto di partenza. Quando c’è la luna piena invece è molto bello viaggiare anche durante la notte, tutto è chiaro di una luce che non abbaglia, ma ti permette di trovare la rotta giusta, e la notte non ha potere di ingannarti e farti perdere la direzione. Così credo sia la Pasqua di Risurrezione. Una presenza che non ferisce e non obbliga, ma ti da l’opportunità di navigare nel mare della vita, nonostante la notte e le burrasche a volte con onde alte, è la possibilità reale di non perdere la direzione, di non tornare indietro sui propri passi, di non rinnegare la speranza che ci chiede sempre di guardare avanti. In questo viaggio missionario abbiamo riflettuto sul Perdono, come possibilità reale di ricostruire la vita.



 Perdonare non è dimenticare, nessuno dimentica! Perdonare è riconcedere fiducia a sé stessi e all’altro. Perdonare sempre, settanta volte sette, senza stancarsi, nella consapevolezza che tutti noi abbiamo ricevuto gratuitamente la vita dalla bontà di Dio e siamo sempre accolti e perdonati da Lui. Così Gesù sulla croce si rivolge al Padre: “Perdona a loro perché non sanno quello che fanno”, perdona a tutti, anche se soprattutto a chi non lo merita. E ancora al ladrone che condivide la sua morte ingiusta dice: “Oggi sarai con me nel paradiso”. Non sanno quello che fanno, come tanti nel mondo di oggi che provocano guerre e morti ingiuste, che non sanno o non vogliono accogliere i fratelli e le sorelle che cercano vita; non sanno quello che fanno, ma che, se aprono gli occhi e si rendono conto dell’obbrobrio, di aver rubato tante vite umane, allora sono inondati dall’amore del Signore che salva.



Ho augurato Buona Pasqua alla mia gente, alle famiglie che sto incontrando in questo viaggio; ho augurato fraternità, perdono, pace, accoglienza. E una mamma mi ha risposto: “Sì padre, che sia una Pasqua con molto pesce, molto assaì (una bevanda fatta con frutti di palma), molta macaxeira e farina perché tutti possiamo mangiare e bere con abbondanza. Mi sono reso conto di come io ero ancora astratto e concettuale, mentre loro sono concreti: quando c’è cibo per tutti ed è condiviso, quando nessuno è malato o escluso, allora c’è pace e prosperità. Chiediamo al Signore della Vita che anche nelle nostre case e fra le nostre nazioni ci sia questa coerenza, che papa Francesco ci ha ricordato con quella bellissima affermazione: “A Pasqua mangiate quello che vi pare, ma vogliatevi bene!”. Buona Pasqua di vero cuore. Grazie a ognuno e ognuna di voi. Il Signore ci guardi e ci doni la sua Pace. Un grande abbraccio a tutti.

 

        Gabriel Carlotti – missionario dell’Amazzonia

 

 

   Santo Antonio do Içá, 24 marzo 2024 – memoria del martirio di Oscar Romero

mercoledì 13 marzo 2024

RICOMINCIARE - STAGIONI DELLA PASTORALE GIOVANILE

 



 

Arrivato a Santo Antonio do Içá, nel Consiglio Pastorale ho proposto che si iniziassero gruppi di giovani nelle comunità. Per il momento due comunità avevano un gruppetto di giovani con attività organizzate ma di fatto, uno di questi ( nella comunità del centro del paese) non si incontrava più .  Abbiamo deciso di organizzare domeniche pomeriggio di incontro-animazione nelle varie comunità cercando di individuare qualche adulto responsabile e invitare i giovani della comunità – quartiere, a riunirsi.  Nel giro di qualche mese in quasi tutte le comunità della città si era formato un gruppo di giovani che si riuniva.

 


In realtà non era la fascia dei cosiddetti ‘giovani’ ma adolescenti dai 13 ai 17 anni; con i giovani non siamo riusciti a realizzare proposte specifiche perché dai 18 anni, concludendo il ciclo scolastico avvengono cambiamenti significativi: qualcuno inizia una facoltà  universitaria, a Manaus o altre città. (A Santo Antonio abbiamo ancora molto poco a livello universitario). Altri iniziano a fare qualche lavoretto; altri già hanno un impegno di famiglia, infatti diverse ragazze adolescenti hanno figli.



Qualche adulto delle comunità ha accettato di accompagnare il percorso spirituale degli adolescenti MA……per poco! Dopo un anno, due anni tutti i giovani-adulti che si erano impegnati per accompagnare gli adolescenti, hanno lasciato. Qualcuno perché trasferito altrove, qualcuno per gli orari di lavoro troppo pressanti, altri per de-motivazione, difficoltà nel lavoro con gli adolescenti; qualcuno si è reso disponibile per la catechesi ai bambini ma non con i giovani.  E senza adulti di riferimento, i gruppi di adolescenti si sono sfaldati.  Che fare quando qualcosa finisce?  Ricominciare.
Non sempre vale la pena, ci sono realtà della pastorale che è bene lasciar morire, ma nel caso nostro, abbiamo pensato di continuare a lavorare per la Pastorale Giovanile, almeno tentare.  Con Virginia, una missionaria che viene dall’ Uruguay con una esperienza di oratorio salesiano, abbiamo continuato, con persone nuove, un coordinamento di Pastorale Giovanile. Poche persone, ma pensiamo sia importante fare proposte di evangelizzazione per gli adolescenti. Per ricominciare l’anno pastorale è stato proposto un evento do tre giorni (anche dormendo fuori casa) in uno spazio che un pastore protestante ci ha prestato. Da cinque anni non si faceva un incontro di questo tipo; noi non abbiamo strutture e solo pochi mezzi, per cui non è piuttosto impegnativo organizzarlo, ma i ragazzi che hanno accettato il nostro invito hanno partecipato lasciandosi coinvolgere e tornando in famiglia entusiasti. Ora dobbiamo dare continuità nelle proposte della vita ordinaria delle comunità.

 


Osservazioni

·         Le nostre comunità cattoliche difficilmente hanno forze, disponibilità, voglia o capacità per accompagnare gli adolescenti e giovani. Molte volte parole di critica: i giovani non vengono, i giovani, non fanno, i giovani non si impegnano….  ma noi adulti li stiamo accogliendo, accompagnando, ascoltando, aiutando?

·         Saper ricominciare.  Abbandoni, fallimenti, stanchezza… per tante motivazioni certe esperienze finiscono ma se vale la pena (se sentiamo che è volontà di Dio) bisogna sempre ricominciare.

·         Scopriamo sempre una bellezza nell’animo degli adolescenti, un accendersi di desideri buoni, una volontà di spendersi, una ricerca di Dio. Mi chiedo se i ragazzi vedono nelle loro famiglie, nelle comunità persone animate dallo Spirito Santo, persone che amano la vita, persone positive che testimoniano la bellezza della vita evangelica.

·         È importante per gli adulti assumere le contraddizioni, incertezze, incostanze dei più giovani. E’ un ‘mestiere’ degli adulti dare stabilità, fermezza, perseverare nelle prove… insomma, manifestare che c’è qualcosa (qualcuno) per cui vale la pena vivere.

 


 

Buona Pasqua a Tutti, con la forza di ricominciare sempre!

Don Gabriele Burani. Santo Antonio do Içà – Amazonas, 13-03-2024   


giovedì 25 gennaio 2024

FRATERNITÀ e SORORITÀ

 




 

     Gabriel Carlotti – missionario dell’Amazzonia

 

 

È il primo viaggio missionario del 2024, dal 10 al 23 gennaio, ogni Comunità ha il suo giorno fisso, per aiutare a ricordare il giorno della messa mensile. Qualcuno ricorda, molti no, ma noi continuiamo fedeli, secondo il proverbio: “Acqua molle in pietra dura, tanto batte che alla fine fura”. Abbiamo incontrato le tre Comunità del Solimões e siamo entrati nella foce dell’Içá. Nossa Senhora de Nazaré, São João do Japacuá, Santa Maria e, finalmente, Vista Alegre, Comunità indigena Ticuna. Sono 18 famiglie, la maggioranza molto giovani, ma non mancano i nonni, gli anziani che si riempiono gli occhi di speranza vedendo crescere i molti nipoti.



Arriviamo presto, verso le tre del pomeriggio e subito siamo accolti da un picchiettare di martelli. Gli uomini stavano lavorando per rifare la copertura di una grande cucina comunitaria, dove si prepara la farina di manioca e la macaxeira, con tre grossi forni per cuocere e avere le provviste per il tempo in cui l’acqua coprirà la terra e non si potrà più piantare. I più giovani stavano sul tetto e gli anziani a terra passando il materiale per la copertura. Santiago e Moisés, cassique e pajé, dirigono i lavori perché tutto sia fatto secondo una logica comune. È bello vederli lavorare in armonia per qualcosa che non è di qualcuno in particolare, ma appartiene a tutti, è per la vita della Comunità. Sentiamo il motore di due canoe che si avvicinano, caricate fino al limite dell’acqua con manioca e macaxeira. Sono le donne alla conduzione e alcuni adolescenti, giovani e ragazze, le accompagnano. Raggiunta la terra, subito c’è un gran movimento e vengono riempite grosse gerle di vimini e comincia una lunga processione di donne, ragazze, giovani e anche alcuni bambini, tutti caricando il peso appoggiandolo sulla testa con un robusto laccio di cipó ricavato da una pianta. Io non riuscirei, da solo, a sollevare una di queste gerle, ma due aiutano il portatore a caricarla sulla schiena e ad assicurare il laccio sulla testa. Così il peso è spalmato sulla colonna vertebrale e ognuno riesce a portare la grande gerla. Nel mentre, vedo alcuni anziani attivare una specie di grande grattugia mossa a motore e man mano che arrivano le gerle piene, subito il prezioso contenuto viene grattugiato. Dovrà essere pressato per togliere l’acqua velenosa e cotto nei grandi forni della cucina comunitaria.



All’improvviso un urlo interrompe l’armonia del lavoro comunitario. I bimbi si divertono a tuffarsi nel fiume e le mamme si sgolano avvertendoli che è pericoloso ora che l’acqua è alta, ci possono essere dei serpenti. Di fatto, dall’alto, gli uomini vedono una sucurí (serpente velenoso che può raggiungere anche i cinque metri di lunghezza) avvicinarsi. Immediatamente un giovane si tuffa e con un grosso bastone e macete riesce a uccidere il pericoloso animale, ora collocato sulla riva del fiume per ricordare il pericolo sempre presente. Vedo una mamma correre alla canoa con un remo in mano, si allontana alcuni metri fino a raggiungere un ragazzino, suo figlio, conosciuto da noi come “il pescatore”, perché sempre intento a pescare. Lo chiama, lo fa salire sulla canoa, lo porta a riva e appena scesi, con un balzo, gli mette il remo sul collo facendolo sdraiare a terra e tenendolo ben fermo in quella posizione scomoda. Poi lo lascia andare e segue un pianto inconsolabile. Ora “il pescatore” sa che deve obbedire perché il pericolo è sempre alla porta e non si scherza con la sucurí. Tutti gli altri hanno già ripreso il loro lavoro, non si sono ufficialmente accorti dell’azione educativa di questa mamma, ma la guardano compiacenti, come per approvare quel gesto così forte che potrà salvare la vita del suo bambino.



Quest’anno la Campagna della Fraternità, che accompagna il tempo che precede la Pasqua, un modo brasiliano di vivere la quaresima, ha come tema: “Fraternità e amicizia sociale” – “Voi siete tutti fratelli e sorelle (Mt 23,8)”. Vuole essere una risposta, una medicina, per guarire la grande malattia del nostro tempo, un super individualismo che produce una fobia verso tutto e tutti che sono diversi da noi. L’ Amicizia Sociale è “l’amore che supera le barriere geografiche e spaziali” (papa Francesco). Vuole essere la fine dell’indifferenza, dell’odio, delle divisioni e guerre, superando questo sistema che gonfia l’individuo a scapito delle grandi cause sociali e comunitarie. L’Amicizia Sociale non esclude nessuno, è una fraternità aperta a tutti. Occorre andare oltre le apparenze, fisiche e morali, e considerare l’altro come prezioso, degno, apprezzabile e buono. Amare l’altro per ciò che è, questo ci spinge a cercare e fare sempre il meglio per la sua vita. Pensando alla Campagna della Fraternità di quest’anno e vedendo il lavoro fatto insieme e con armonia degli indigeni Ticuna mi veniva in mente il volontariato della nostra terra reggiana, tanta gente spendendosi per una causa comune, dalla Croce Rossa al Carnevale, dallo Sport alle feste di paese. Come sarebbe importante che lo spirito del volontariato, fiore all’occhiello di noi reggiani, illuminasse i nostri occhi e il nostro cuore quando guardiamo all’altro, chiunque egli sia, senza giudizio e senza preconcetti, ma come fratello e sorella con i quali condividere e costruire un Mondo migliore, un Mondo giusto e fraterno. Che ci fosse una causa comune, come la pace e la convivenza tra i popoli, come il valore inalienabile della persona, come il futuro per il nostro pianeta Terra e pianeta Acqua, la salvaguardia del Creato e il diritto alla vita per tutti, iniziando dai più deboli; che ci fosse una causa comune capace di creare armonia. Come è importante che le nostre Parrocchie riunite in Unità Pastorali imparino a guardare con occhi positivi, senza giudizio e senza preconcetti a tutte le persone e a ognuna in particolare. Promuovere e valorizzare la partecipazione di tutti, senza esclusioni di appartenenza politica, di situazione ecclesiasticamente ‘regolare’, di nazionalità e religione; accogliere tutti come fratelli e sorelle per offrire una Speranza, per la costruzione di un nuovo Umanesimo, ina nuova Società dove l’amicizia e il rispetto vincano l’individualismo e la paura dell’altro. L’Amicizia non è qualcosa di naturale, non è un legame di sangue, ma è una scelta libera e personale. Per questo è frutto di conversione: occorre, liberamente e con gioia, scegliere di farci amici, farci prossimi. Una Società dove sparisca l’interesse privato a favore di un volontariato per il Bene Comune.



Così continuiamo il nostro viaggio, dobbiamo arrivare alla Comunità di San Pietro per condividere una situazione spinosa. Abitano e piantano su questa terra ai margini del grande fiume da più di 40 anni. Sono nati qui e qui sono nati i loro figli. Ora è apparso un signore della città, accompagnato dalla polizia locale e affermando di essere il proprietario di questa terra. Non vuole mostrare i documenti, ma si presenta con un mandato del giudice locale, notoriamente corrotto. Chiede 35.000 reais per vendere la terra a coloro che la possiedono per diritto già da una generazione. Così, come equipe missionaria, ci stiamo attivando, raccogliendo testimonianze e con l’aiuto de un avvocato del CIMI (Consiglio Indigenista Missionario), una Pastorale della Chiesa cattolica brasiliana, proveremo ad impedire una ulteriore usurpazione del diritto dei popoli indigeni in favore delle leggi dei colonizzatori. Sarà una lotta lunga e ardua, ma val la pena difendere il diritto alla vita di chi vive di pesca e di agricoltura, nato su questa Terra madre, anche senza possedere un titolo legale. Il diritto alla vita precede il diritto alla proprietà privata.



Mi ricordo, nel tempo in cui ero missionario in Bahia, nella Diocesi di Ruy barbosa, le prime occupazioni dei ‘Senza Terra’ per una riforma agraria, perché la terra sia di chi la lavora e produce. Anche nell’ultima grande secca, che ha distribuito viveri in quantità per le persone che stavano soffrendo, sono stati i grandi Assentamenti di Riforma Agraria: il “Movimento dei Senza Terra” ha condiviso ciò che la Terra madre ha prodotto con il sudore dei suoi figli. Nordest o Amazzonia, cambia la latitudine, ma il grande problema del Brasile si ripresenta: l’ingiustizia che produce povertà e miseria. Che la Quaresima sia tempo di conversione riscoprendo la fraternità universale che ponga fine alle guerre e ai conflitti di interesse. Conversione perché si faccia giustizia e si riconosca il diritto universale di tutti i popoli: una Terra per abitarci e per produrre l’alimento per vivere in pace. Quella pace che viene dal Dio della Vita e che è frutto della giustizia. Buon cammino di Quaresima a tutti e a tutte, Buona Pasqua di Risurrezione per una vita di fraternità e sororità tra tutti i popoli, per costruire Amicizia e Convivenza Sociale.

 


   Santo Antonio do Içá, 25 gennaio 2024 – Festa della conversione di San Paolo apostolo

 

NON SOLO CAMBIAMENTI CLIMATICI

    Cari amici, in questi giorni nell’Europa e anche nel nord Italia sono riprese inondazioni importanti, che chiedono l’impegno e la so...