martedì 22 luglio 2025

SETTIMANA DEDICATA AI GIOVANI

 



Ciao a tutti e tutte!

Vi scrivo mentre aspetto la "lancha", il traghetto veloce, che mi porterá a Manaus per le due settimane di corso sulla realtà amazzonica. Se tutto sarà regolare, arriverò domani a metà pomeriggio: ora che il fiume è ancora alto, é possibile che il tempo di percorrenza all'andata si riduca a 24-25 ore, rispetto alle 28-29 del tempo standard. Questo perché con l'acqua alta la lancha può tagliare alcune grandi anse del fiume nei canali che con acqua bassa non sono percorribili. Il Rio delle Amazzoni è infatti un fiume piatto, con pochissima pendenza: noi siamo a quasi 2.000 km dal mare, ma l'altitudine di S. Antonio sul fiume è 30 m sul livello del mare: il fiume un enorme pachiderma d'acqua che si muove sinuosamente. Anche per questo è difficile definire con precisione la lunghezza del corso d'acqua.

Ma veniamo a noi ed a questa settimana dedicata soprattutto ai giovani. 



L'inizio è stato triste, con un altro ragazzino di 11-12 anni morto nel fiume. Già era successo in maggio, in un' altra zona della città. Però se nel primo caso il fiume era stato la causa diretta del decesso, qui la dinamica è stata differente: probabilmente un attacco di epilessia che lo ha fatto cadere dalla canoa già privo di sensi. Questo non ha cambiato molto per il padre che lo ha ritrovato sul fondo, né per la madre, che era a Manaus per esami medici. Purtroppo l'assenza di mezzi di gestione della salma ha costretto a celebrare le esequie  il giorno seguente, mentre la madre era ancora in viaggio. Prima della sepoltura il padre è intervenuto in modo sofferto ed accorato, invitando i genitori ad avere cura dei figli, piú preziosi di ogni ricchezza materiale.

Avere cura dei figli... Da venerdì sera ad oggi abbiamo avuto il ritiro degli adolescenti e dei giovani. Un gruppo piuttosto numeroso e bello, che non avevo mai visto insieme (anche loro non sempre si conoscono, perché normalmente si trovano in piccoli gruppi, nelle comunità). Per la parte biblica e la preghiera hanno provveduto gli educatori, molto capaci di toccare il cuore dei ragazzi. La parte del leone l'ha peró fatta Oriana, psicologa italiana che sta facendo un anno di servizio civile in Brasile. Un po' parlando lei, un po' facendo lavorare loro ha affrontato temi pesantissimi: depressione, dipendenze, ansia... È rimasta impressionata dalla capacità dei ragazzi di seguirla per molto tempo e dal loro interesse concreto per tutte queste cose: è evidente che si stava parlando della loro vita. Ha sorpreso anche l'attività nella quale hanno elencato situazione problematiche che gli stanno a cuore: non si sono fermati a problematiche adolescenziali, ma hanno citato tematiche di grande respiro. Mi ha colpito che hanno citato anche la violenza dei figli verso i genitori (forse frutto della droga) e l'aborto, qui in Brasile totalmente vietato, ma praticato nelle famiglie con mezzi artigianali. 



Io ho confessato. Di questo ovviamente non posso dire nulla, se non la sorpresa per la loro capacità di apertura confidente con un adulto che pure fatica a capire quello che dicono (il portoghese strizzato, pestato e velocizzato degli adolescenti é veramente impossibile...). 

Posso solo dire che ho sinceramente rischiato di commuovermi...


Concludo, anche perché la lancia dovrebbe arrivare tra poco. Mentre finivo di scrivere ho sentito una mano sulla spalla... Una delle giovanissime partecipanti che passava per il porto, mi ha a visto ed è venuta a regalarmi un grande sorriso. Direi che questo basta per dire che vale la pena di essere qui.


Il Signore ci accompagni tutti!

D. Paolo

giovedì 3 luglio 2025

I CANI DI SANTO ANTONIO

 



Ciao a tutti e tutte!

Mentre dall’Italia mi giungono notizie di un caldo asfissiante, qui siamo in “inverno” e momenti più caldi si alternano a piogge brevi ed intense (molto intense…), che tengono la temperatura a livelli gradevoli.

Quindi per invidiarvi aspettiamo agosto – settembre, quando da voi le temperature inizieranno a calare e qui avremo il tempo della “secca” che io ancora non conosco, ma che dai racconti che ascolto non mi pare molto gradevole.

Vengo da una settimana tranquilla, continuando i primi passi da parroco con una serenità che non credevo di avere; ieri sera d. Gabriele è tornato dal viaggio sul fiume, sempre ricco di nuove idee da realizzare, che mi danno forza ed anche un po’ di mal di testa…

Come succede ad ogni nuovo parroco, le prime cose che arrivano sono le lamentele, le cose che non vanno, quelle che sarebbero da fare, etc etc etc… Grazie a Dio l’esperienza italiana nell’Unità Pastorale “Gioia del Vangelo” mi ha insegnato che non sono qui per risolvere i problemi (neanche Gesù li ha risolti, quindi…), ma per starci dentro con un po’ di amore del Signore.

Ora ascolto e tanto dovrò ascoltare. La comprensione del portoghese è realmente il primo compito: sto scoprendo che ho attorno a me tanti buoni maestri, che non mi esentano dall’impegno dello studio, ma continuamente mi consentono di esercitarmi ed aggiungere ogni giorno un pezzettino.

Credo che tante volte nella vita siamo circondati da buoni maestri, ma non sempre li vediamo perché pensiamo di non averne bisogno.

Fra le cose più significative e toccanti vi è stato il ritorno al carcere, che non visitavo da prima della partenza. Ora è pieno in modo impressionante: la stanza più grande accoglie dodici uomini, la piccola nove, con amache su più piani per dormire. Ora la temperatura è accettabile, ma quando verrà il caldo sarà molto dura.

Ho ritrovato facce note, uno di loro è dentro quella stanza da due anni: sono persone “in attesa di giudizio”, ma questa attesa può essere molto lunga.

Fra le facce nuove, quella spaurita di un diciottenne, Eduardo: “hai amici?” - “no, vivo con mio padre”; “hai avuto problemi con la droga?” – “no” (sembrava sincero). Ci siamo accordati che quando uscirà – spera la prossima settimana – passerà in parrocchia: di certo non abbiamo una soluzione, ma forse un po’ di amicizia buona potrà trovarla.

Poi, semplici chiacchiere alla sbarra, preghiere e canti (che tutti conoscevano benissimo...), consegna di alcuni libri, una fetta di torta ed una bibita. Gli ho raccomandato il giovane convivente: “in questo momento avete un figlio, trattatelo con cura”. Mi hanno chiesto una piccola cassa amplificata, perché quella che hanno è rotta: sapendo quanto può rilassare ascoltare un po’ di musica il giorno dopo l’ho fatta avere.

Volevo parlarvi di una cosa che può sembrare banale, ma che mi sta facendo riflettere molto: i cani di S. Antonio.

I cani? Perché?

S. Antonio è piena di cani che vivono in strada; alcuni sono di famiglie, altri forse fanno riferimento a qualcuno (come il nostro Miguel, che pur mancando di un occhio si è autoproclamato guardiano della parrocchia), molti sono semplicemente per strada.

Quello che impressiona è la loro integrazione nell’ambiente sociale. Sono rispettati (dormono tranquillamente in mezzo alla strada…) e - al di là delle feci sparse qua e là – non creano problemi particolari: sono parte della società cittadina e convivono pacificamente con la componente umana. Nessuno ha paura di lasciare i bimbi in giro perché “ci sono i cani…”.

Facevo il paragone con quanto succede da noi se in paese gira un cane senza collare.

In un primo momento è “un cane”, poi diventa un “cane randagio” – con il secondo termine più accentuato - poi diventa un “randagio”, perdendo la sua identità di cane e tenendo solo il termine dispregiativo (vi ricorda qualcosa in campo umano?).

Poi arriva l’allarme su facebook con commenti non citabili, poi le guardie comunali, i pompieri e se è il caso i carabinieri… Tutto questo nonostante che le cronache parlino più spesso di bambini uccisi da “Fido” domestici un po’ cresciutelli che da cani randagi.

Ed intanto il cane randagio è solo, magari affamato, spaventato, braccato… e diventa aggressivo, e tutti pensano che l’allarme sia più che giustificato e che il “randagio” non debba esistere perché inevitabilmente cattivo.

 

I cani italiani ed i cani di S. Antonio non hanno DNA diverso: l’unica differenza è che uno viene preventivamente escluso e considerato pericoloso (e quindi lo diventa), l’altro è integrato nel vivere sociale, anche accettando le problematiche che la sua presenza può dare (e quale presenza non genera problemi?).

I risultati dei due atteggiamenti sono molto differenti ed anche un anti-cinofilo come il sottoscritto ha iniziato a guardare i cani con simpatia, forse perché qui possono fare i cani come Dio comanda.

No, non sono diventato improvvisamente cinofilo: penso abbiate già capito cosa sto dicendo, perché quello che avviene con i cani avviene anche con altre creature, ad esempio gli uomini.

Forse parlare di cani ci aiuta a cogliere il pericolo che viene non dalle persone, ma dalle dinamiche di paura ed esclusione che generano uomini e donne considerati non-persone (non vengono nemmeno più indicati come tali, ma solo come “clandestino”, “drogato”, “prostituta”, etc…)

Forse parlare di cani “randagi e quindi pericolosi” ci aiuta anche a cogliere come un popolo può arrivare ad accettare la guerra, addirittura quella “preventiva”, le stragi, la nullificazione dei suoi fratelli e sorelle in umanità. Forse riguarda anche noi.


Il Signore ci accompagni tutti!

d. Paolo

lunedì 16 giugno 2025

RITORNO A SANTO ANTONIO

 



Buona festa della Trinità a tutti e tutte!

Rieccomi a S. Antonio, in un “secondo arrivo” non meno significativo del primo. 

Il cambiamento da Brasilia è grande. È passare da una città con le persone che passeggiano con cani da compagnia, ad un’altra con cani sulle strade assieme a persone di compagnia; da una città piena di automobili con una o due persone a bordo, ad un'altra piena di moto con tre, quattro, cinque persone a bordo; da una città con strade senza buche ad un’altra con buche a volte senza strada;  da una città ove un’apparente ordine nasconde situazioni di grande caos morale e civile, ad un’altra ove un reale disordine custodisce vite dure ed a volte un po’ selvagge, ma custodi di una grande umanità. 

È indubbio che preferisco la seconda alla prima…


Un secondo arrivo, con una conoscenza iniziale della lingua che mi sta permettendo primi e timidi contatti con la popolazione ed una diversa relazione con la vita pastorale delle comunità. Del resto d. Gabriele stamattina è partito sul fiume e, dopo un giro a casa domani, martedì ripartirà per il giro completo. Ed io mi ritroverò, per la prima volta, a fare il parroco “brasiliano”. Di certo un po’ di ansia non manca, ma la gioia di poter iniziare è maggiore. 

Il primo compito sarà quello di continuare a studiare la lingua (ma ora mi sono tutti un po’ maestri: ascoltandoli imparo), il secondo quello di ascoltare molto, il terzo quello di iniziare a fare programmazioni ed avvisi… per i quali d. Gabriele mi ha “ceduto” tutto il materiale necessario. Vediamo come andrà, ma di certo andrà bene perché la chiesa è nelle mani del Signore.


I primi giorni del ritorno sono stati caratterizzati da ascolto, celebrazioni e festa.

Ascolto, perché sembra che le persone abbiamo capito subito che adesso un po’ li capisco ed hanno iniziato a parlare. L’incontro più interessante è stato al porto, dove un gruppetto di uomini mi ha riconosciuto e salutato. Il primo era un pescatore, di notevole tonnellaggio, che voleva illustrarmi un suo progetto: sinceramente non ci ho capito molto, ma forse nemmeno lui si è capito, perché era indubbiamente un po’ bevuto; poi un altro uomo, che dopo avermi raccontato l’educazione al bene ricevuta dalla nonna mi ha spiegato che lavorava in un garimpo illegale (quelli che cercano l’oro nel fiume), che aveva costruito il garimpo con grande cura, ma che ora lui ed il suo amico sono senza lavoro, perché è arrivato l’esercito facendo fuoco e sono dovuti scappare… La manovalanza di un crimine condotto da chi non rischia e guadagna. 

È stato interessante che sia il pescatore che il garimpero, probabilmente legati ad una chiesa evangelica, mi abbiano interrogato sul culto alle immagini e sul fatto che io non abbia moglie, mentre i pastori hanno famiglia. È interessante cogliere che gli evangelici riescono ad intercettare questa fascia della popolazione, mentre noi cattolici facciamo molta più fatica: non è certo perché gli evangelici siano più poveri o “evangelici”, ci sono chiese evangeliche che sono imperi economici, ma pare che il loro messaggio riesca a suscitare un interesse che noi facciamo fatica ad intercettare. Vedremo, intanto ascoltiamo.

Poi c’è stata la grande celebrazione di S. Antonio, davanti alla quale non c’è Natale o Pasqua che tenga. Tredici giorni di preparazione, poi la processione per il paese con la statua del Santo e la Messa con la chiesa stracolma di persone. La devozione è molto forte (ed in questo caso forse anche qualche evangelico non resiste alla tentazione di chiedere un aiutino al Santo…) ed aiuta a cogliere il modo di credere di questo popolo: una fede concreta, che non si stacca mai dalle problematiche quotidiane della vita, che chiede e cerca e vuole ottenere, che si affida e spera, che desidera un contatto concreto che si rende possibile in Maria, in Antonio ed in tutti i Santi. 

Una fede con mille “buchi”, ma che Gesù ha sempre accolto e benedetto, lasciando che le folle lo cercassero per vederlo, toccarlo, cercare una guarigione o un risanamento interiore… come la donna emorroissa: “se riuscirò a toccare la sua veste sarò guarita… Donna, la tua fede ti ha salvato”. 

Una fede da accogliere ed accompagnare, sapendo che quando si passa al “piano superiore” del dono di sé e della Croce e Risurrezione non tutti salgono la scala.


Ed infine la festa, in questi giorni abbondantissima e rumorosissima. La comunità cattolica era contenta perché la Prefettura aveva chiamato per un concerto anche un gruppo musicale cattolico. Anche questo per noi può essere difficile da capire, ma in un panorama dominato dalle chiese evangeliche e dai loro gruppi musicali, nel quale i cattolici spesso si sentono un po’ disprezzati, avere un concerto cattolico è stato un motivo di gioia ed anche un po’ di orgoglio. Il concerto è stato bello, vedere giovani ed adulti della parrocchia che cantavano e ballavano sereni è stato consolante. Il programma avrebbe previsto anche un momento finale di Adorazione Eucaristica… ma visto il contesto rumoroso e per nulla adatto della piazza sono riuscito a convincere il gruppo a desistere.

Mi ha fatto soffrire quando il cantante centrale del concerto ha iniziato la filippica dicendo che noi siamo “cattolici-apostolici-romani” e che siamo i “veri credenti” e che “nessuno è meglio di noi” e che “siamo quelli che crediamo di più in Maria” (falsissimo, gli orientali hanno una devozione molto più radicata…) e via dicendo… 

Purtroppo questi gruppi musicali sono spesso legati alla corrente del tradizionalismo – pentecostalismo cattolico, che anziché percorrere le vie evangeliche del dialogo e della valorizzazione promosse dal Concilio Vaticano II e da tutti papi successivi, si schierano in posizioni di orgogliosa contrapposizione, che hanno ben poco di evangelico. 

Anche questo è un aspetto importante della storia attuale della chiesa brasiliana, sul quale ci sarà da lavorare tanto. Di guerre ce ne sono già abbastanza, se aggiungiamo anche la guerra fra cristiani cattolici e cristiani evangelici le cose non possono che peggiorare.

La Santa Trinità, comunità d’amore nella differenza delle tre Persone Divine, ci aiuti ad essere uomini e donne di comunione!

Il Signore ci accompagni!

d. Paolo

sabato 7 giugno 2025

RIPARTIRE DOPO BRASILIA

 



Ciao a tutti e tutte!

Vi scrivo mentre aspetto che venga il momento di partire dal Centro Cultural Missionário di Brasilia per prendere l’aereo che mi porterà a Manaus. Ad attendermi ci sarà d. Paolo Cugini. Resterò con lui per la Pentecoste, che qui si celebra in un’unica “mega Messa” per tutta la diocesi, ed il lunedì; poi martedì partirò per S. Antonio ove arriverò mercoledì, in tempo per la grande festa della parrocchia e del paese.

A tutti gli effetti è una seconda partenza, perché tornerò con competenze che prima non avevo, ma anche con la coscienza di dover “ri-partire” quasi da zero, inserendomi in una modalità nuova e tutta da costruire: se fino ad ora è stato solo ascolto, ora dovrà essere pieno ascolto – con un po’ di capacità per capire – ed al contempo inizio di una relazione con le persone e la comunità che fino ad ora non è stata possibile. Sono partito che ero un bambino di due anni, torno che sono un bambino di sei – sette anni, che può rispettosamente parlare con chi lo sta generando alla sua nuova vita, la mia comunità.

L’ultima settimana di corso non è stata facile, perché alcune cose di questi tre mesi, prolungate fino alla fine, mi hanno molto infastidito, e le tensioni accumulate non sono certamente di aiuto nelle relazioni (soprattutto quando anche le altre persone vivono la medesima stanchezza e le loro tensioni). Ho sperimentato la forza della preghiera, mettendo tutto davanti al Signore e chiedendo di essere una presenza costruttiva, esprimendo le cose in modo che potessero essere di aiuto. Devo dire che il Signore si è proprio fatto sentire, perché parto senza essermi tenuto nulla sullo stomaco ed al contempo con una buona relazione con i responsabili – ai quali non ho risparmiato le dovute critiche – e con tutti i compagni e le compagne del corso.

Racconto solo una cosa piccola, ma significativa. Uno dei partecipanti più giovani, un seminarista vietnamita, si era espresso con me in un modo molto forte e senza rispetto e la cosa mi aveva molto innervosito; sul momento ho fatto esercizio di silenzio, chiudendomi nell’attività che stavo facendo. Poi la sera e la mattina ho pregato anche per questa situazione ed alla cena ci siamo trovati di fianco a lavare i piatti, senza altre persone presenti nel lavatoio. È stata l’occasione ottima per parlargli con calma, facendogli presente la necessità di rivolgersi con rispetto alle persone più anziane, anche e soprattutto quando sarà in parrocchia. Oggi ci siamo salutati con molto affetto e ed è stato davvero bello.

 


La scorsa settimana abbiamo vissuto il sabato e domenica in una parrocchia, ospitati da famiglie. Io e d. Giuseppe – altro prete italiano – eravamo in una famiglia con tre figli di 18, 15 ed 11 anni. Il marito è Alexandre, la moglie Liliane. La quindicenne è autistica, di una certa gravità. Una famiglia della classe medio-alta, con la moglie insegnate da 26 anni (salario di 9.000 $R al mese) ed il marito con una attività con alcuni dipendenti, quindi presumibilmente con una reddita più alta. Vivono nella casa dei suoceri, con un loro appartamentino che per cinque persone a noi sembrerebbe molto piccolo; come in tutte le case monofamiliari della città recinzioni e cancelli non mancano, anche se a Brasilia i furti domestici non sono uno dei problemi più rilevanti.

È stato interessante parlare della loro vita. Il problema di mandare i figli nelle scuole private – qui numerosissime – per la bassa qualità della scuola pubblica: per ogni figlio sono più di 3000$R al mese. Il problema della figlia autistica: con il governo Lula nel percorso scolastico vi è una certa assistenza, ma con il precedente governo Bolsonaro tutti i fondi erano stati tagliati e non si sa come andranno le elezioni del prossimo anno. Il problema della sanità pubblica quasi inesistente e dei costi molto alti della sanità privata.

Tutto questo però vissuto con una fede bella e carica di speranza (e di devozioni ai santi che fanno miracoli, siamo in Brasile…) e con uno grande attenzione all’etica della vita pubblica. Quando abbiamo detto che entrambi siamo in nell’area della foresta amazzonica hanno mostrato di conoscere bene i problemi del disboscamento, del latifondo, delle ricerche minerarie, condividendo la preoccupazione per l’avanzare di leggi che favoriscono tutte queste cose.

Siamo andati anche a visitare un santuario dedicato a Maria Regina Vittoriosa (altra cosa che ai Brasiliani piace molto…) e durante il percorso Liliane mi faceva osservare condomini ed aree ove altri condomini rischiano di sorgere. Perché ne parlo? Perché qui “condominio” non sono i nostri palazzi plurifamiliari (che anche qui esistono, ma con altro nome), ma ben altra cosa. “Condominio” è una grande area recintata, a volte quasi fortificata, spesso con un ingresso vigilato da personale armato, all’interno della quale si trovano diverse abitazioni; se è un condominio grande e di qualità può avere anche le aree verdi, le aree sportive, i negozi per la vita quotidiana. In pratica, un quartiere chiuso e vigilato. “E i poveri stanno fuori…”, commentava amaramente Liliane.

Qualcuno potrà pensare che è una legittima ricerca di sicurezza in una situazione di pericolosità, vera o presunta: dov’è il problema? Il problema è questa “sicurezza” anziché crescere cala, per chi è fuori e per chi è dentro.

Per chi è fuori, perché chiaramente aumentano le discrepanze sociali, l’emarginazione dei ceti più poveri, i reciproci sentimenti di risentimento e paura, le false e stereotipate immagini del “altro” sia per chi è fuori che per chi è dentro: quindi aumentano le tensioni sociali e la criminalità.

Per chi è dentro, perché vivere nell’isolamento ed in una illusoria sicurezza aumenta i sentimenti di diffidenza, paura, estraneità, insicurezza… con il conseguente bisogno di chiudersi ed armarsi sempre più: chi è “fuori” è comunque un pericolo dal quale devo difendermi, e stranamente anche quando sono dentro non mi sento più al sicuro… perché il mondo è pieno di nemici.

I condomini sono un problema serio, ancora di più quando assumono le dimensioni di una nazione o di un continente.

Grazie a Dio a S. Antônio non ci sono…


p.s. il vino che si vede è un lambrusco rosato che viene da Gattatico, ma che fa 7.5°… comunque qui va bene lo stesso

Il Signore vi doni una Pentecoste piena dello Spirito che apre a tutti i popoli!

(ed anche un buon referendum…😉)

 

d. Paolo

sabato 31 maggio 2025

Per amare ed accogliere la nuova cultura dobbiamo amare e custodire la nostra

 



Ciao a tutti e tutte!

Ultime settimane a Brasilia: più volte mi è sembrato di avervi detto tutto quello che era dicibile da qui, ed invece c’è sempre qualcosa di nuovo che viene donato e che si può donare.

Quest’ultima parte del corso, unisce all’insegnamento della lingua incontri di formazione per aiutarci a comprendere la realtà nella quale andiamo ad inserirci ed il nostro compito, la nostra missione di annunciatori del Vangelo in un contesto storico e culturale ben determinato.

Vi riporto solo una cosa che ho raccolto, anche perché si collega a fatti di attualità italiana.

Abbiamo avuto un incontro con pe. Joachim Andare, missionario indiano in Brasile da 34 anni e professore universitario di antropologia, che ci ha parlato di “inculturazione e interculturalità”. È interessante che la lettura non è stata fatta dalla parte della nazione che accoglie, ma dalla parte dello straniero, che siamo noi missionari.

La questione era come considerare la nostra cultura di origine in rapporto alla nuova cultura nella quale ci stiamo inserendo, considerando che noi arriviamo come stranieri mediamente più ricchi e dotati delle popolazioni nelle quali siamo chiamati ad inserirci.

Innanzitutto, ci ha presentato un ventaglio di possibilità: da chi sta in missione anni, ma di fatto non si stacca mai da casa e vive nel nuovo contesto come un estraneo, a chi cerca di “cancellare” la sua identità originaria per immergersi completamente – e spesso un po’ ingenuamente – nella nuova cultura.

Ci ha quindi parlato di “interculturalità”, nome un po’ strano che significa la lenta e progressiva creazione di un qualcosa di nuovo in noi ed attorno a noi: essere chiaramente e coscientemente italiano, per poter accogliere ed amare la cultura brasiliana, che comunque non sarà mai la “mia” cultura. La cosa bella che ne esce, e che lui ci ha detto più volte, è che per amare ed accogliere la nuova cultura dobbiamo amare e custodire la nostra, in un incontro che può essere fecondo per l’Italia ed il Brasile, perché se ne esce entrambi un po’ cambiati, positivamente “contagiati” dall’altro. Lo diceva anche di lui stesso: sono qui da 34 anni e per quanto mi riguarda ci starò fino alla morte, ma sarò sempre un indiano che incontra ed ama il Brasile, non un brasiliano.

Ho letto questa cosa su di me e sui miei amici, ma l’ho letta anche dall’altra parte, pensando a chi arriva nel nostro paese.

Ho pensato quanto siano insensati i discorsi di “italianizzazione” che ogni tanto si sentono, un “devono diventare come noi” nel senso di dimenticare la loro origine e cultura. Invece, solo se potranno vivere e continuare ad amare la loro cultura, sentendosi profondamente accolti, potranno lentamente imparare ad amare anche la nostra e potranno nascere quei “nuovi italiani” che sono il futuro del paese (non è una tirata “caritatevole-moralistica”, i numeri sulla nostra natalità parlano chiaro…).

Ed allora, chiedendo perdono se per una volta esco dal confine brasiliano, “sentendo” le cose come italiano all’estero che non può esercitare il diritto di voto, in prospettiva dei prossimi referendum chiedo gentilmente a qualcuno di andare a votare anche per me, soprattutto sul referendum per semplificare le procedure per ottenere la cittadinanza. “Solo se amerete la vostra cultura potrete amare la cultura del Brasile” – “Solo se potranno amare e vivere la loro cultura potranno amare la cultura dell’Italia”. Solo se potranno vivere le tradizioni, i valori positivi, la religione nella quale sono nati e cresciuti potranno percepire positivamente il nostro paese, le nostre tradizioni, la nostra religione… e perché avvenga questo la cittadinanza è un requisito importante.

Quindi, grazie se votate anche per me.

 

Buona Ascensione del Signore!

Il Signore ci accompagni tutti e tutte!

domenica 25 maggio 2025

GIORNATE INTENSE AL CORSO DI BRASILIA

 




Ciao a tutti e tutte!

Vi scrivo al termine di una settimana che con un termine gentile definisco “intensa”, ma con cuore reggiano posso dire “pesante”, caratterizzata da lezioni ed incontri (chiaramente in portoghese) che hanno riempito le nostre giornate, senza lasciarci molto respiro. Ne vale la pena, anche perché sono le ultime settimane e visto che ora iniziamo a capirci qualcosa, vanno vissute intensamente, ma non posso negare che alla fine la testa è proprio stanca… É una fatica che non conoscevo: vivere in un ambiente ove capire e parlare è un impegno, ove il collegamento fra l’interiorità del cuore e della mente e l’espressione nelle parole (ed anche nei gesti) non è spontanea, ma chiede una mediazione laboriosa e non sempre coronata di successo. Fino ad ora potevo dire: non conosco la lingua, mi tiro fuori e pace…; ora che conosco (poco) il portoghese non posso più dirlo, comincio a mettermi dalla parte di chi vuole e deve capire e parlare ed è un impegno grande. È chiaro che non posso evitare di pensare agli amici egiziani coi quali ho vissuto a Campegine ed a tutti i nuovi italiani che vivono in mezzo a noi, che per anni vivono questa fatica e spesso senza gli aiuti necessari, ma anche a tutte le persone con difficoltà comunicative ed a chi non ha gli strumenti culturali per poter dire e “potersi” dire… 
Guardo con una certa preoccupazione anche ai giovani partecipanti al nostro corso, che ancora non sono religiosi e sono stati mandati qui a fare il loro cammino di formazione: Mingh e Dingh che vengono dal Vietnam, Francisco che viene dal Togo, altri che sono già un po’ più strutturati di loro, ma ancora giovani. Penso ai giramenti di testa e di cuore che io vissi negli anni di formazione in seminario e nei primi anni di ministero: grazie a Dio avevo vicino formatori e uomini di fede capaci di capire anche le parole che non riuscivo a dire… Loro come faranno a parlare della loro interiorità con formatori e con un popolo del quale conoscono appena la lingua e che non conosce la loro cultura, i loro significati, il loro modo di vivere la fede?.. mah… Ci sono scelte anche all’interno della chiesa che mi lasciano per lo meno perplesso… 
Penso anche ai nostri dialoghi “normali” fra italianissimi e cristianissimi: forse tante volte diamo troppo per scontato di capire quello che ci viene detto e non mettiamo in dubbio le nostre interpretazioni. Abbiamo sempre bisogno di imparare la lingua dell’altro.




Nella nostra struttura questa settimana abbiamo anche avuto un corso di formazione sulla missionarietà per preti provenienti da tutto il Brasile. Fra questi “ospiti” si notava uno con uno strano cappellino in testa, tipo vescovo o papa, che non concelebrava. Un po’ casualmente mi sono trovato a parlare con lui, che ha un ottimo italiano perché è stato in Italia alcuni anni. Ho così scoperto che lo strano copricapo era una kippà ebraica: di nazionalità israeliana (lui dice “israelita”), è uno dei pochissimi giudeo-cristiani esistenti. Cosa significa “giudeo-cristiano”? Non è un ebreo diventato cristiano abbandonando l’ebraismo (non avrebbe più la kippà), ma un ebreo che rimane nella fede ebraica e crede che Gesù è il Figlio di Dio, che ha salvato il mondo. Erano così anche gli Apostoli, Paolo ed i primi cristiani: ebrei che continuavano a frequentare il tempio e la sinagoga e si riunivano per l’Eucaristia. Solo in conseguenza della cacciata da parte degli altri ebrei, questa forma primitiva di cristianesimo cessò. Quindi, un cristiano come lo erano i primissimi crsistiani.
Essendo lui israeliano, o israelita che dir si voglia, non ho potuto evitare di chiedergli qualcosa sulla situazione di Gaza. La risposta mi ha raggelato: “noi siamo sempre stati in guerra, ho cinquant’anni ed ho visto stragi di migliaia di uomini delle quali non ha parlato nessuno… l’unica differenza di Gaza e che se ne parla… e poi Gaza non è né Palestina né Israele…, per noi è lontana”. 
Bello essere Ebrei, bello essere Cristiani, ma sarebbe più bello essere innanzitutto uomini.

Questa settimana ho fatto un’ultima cosa, che dice che sono molto in forma: ho fatto una bella brontolata, ma con tono razionale e garbato, direi quasi “alla brasiliana”. 
Dopo aver rimuginato dentro, cosa che fa piuttosto male, mi sono deciso ed ho parlato con i responsabili del corso. Di cosa? Non certo dell’accoglienza, che è ottima, e nemmeno della scuola o della formazione, che è di buona qualità: ho parlato della chiusura dell’ambiente in cui siamo, perché può succedere che anche in un ambiente missionario si viva distanti dal mondo e da quanto avviene. Qui succede un po’ questo: non c’è un giornale, non di parla mai del mondo esterno e di quanto sta avvenendo, non c’è una preghiera dei fedeli che ricordi le situazioni attuali… La stazione marziana di Musk sarebbe più vicina al mondo reale.
Anche un ambiente missionario, anche una parrocchia, può avete un grande impegno per se stesso e per assolvere i propri compiti, ma senza avere l’apertura del cuore che guarda il mondo con le sue speranze e grandissime sofferenze e le mette davanti al Signore. 
Mi ha fatto piacere il fatto che ho trovato un ascolto sincero ed interessato: loro hanno assunto l’incarico da poco e stanno pensando alla forma che vogliono dare a questa preziosa esperienza. Quindi la brontolata potrebbe essere servita.

Mi fermo qui: mi riposo un poco, perché anche le prossime settimane saranno intense. Ringrazio sinceramente il Signore per quello che sto vivendo, perché l’incontro con tante realtà e culture è un dono riservato a pochi, ed io sono uno dei pochi (però lo siete anche voi, se guardate alle culture che vivono nei nostri paesi e provate ad incontrarle un po’)

Vi lascio le foto di due notturni di Brasilia ed aggiungo il filmato di un diurno di Gaza: mi sono proposto di usare questo gruppo solo per parlare del Brasile e cerco di tenere fede a questo proposito, ma non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo immane disastro che ci succede davanti.

Il Signore ci accompagni!
d. Paolo

domenica 18 maggio 2025

LA MISSIONE SIETE VOI

 



Ciao a tutti e tutte,

oggi vi scrivo dalla casa di Ana e Gilberto, la coppia che ci aveva ospitato a Pasqua: ho presieduto la Messa nella loro comunità e loro hanno cantato "Resta qui con noi" facendo l' ultimo ritornello in italiano. L'ospitalità brasiliana è veramente da manuale...

Vengo da una settimana molto intensa e la prossima sarà uguale: scuola ed incontri mattina e pomeriggio, con relatori che danno per buono che ormai il portoghese scorra nelle nostre orecchie come acqua di un torrente... Un po' scorre, ma sul percorso ci sono ancora diverse dighe!

Vi racconto due cose, che portano ad un medesimo obiettivo.

Abbiamo fatto due giornate con una religiosa psicologa, che penso ci abbia riassunto in una dozzina di ore il contenuto dei suoi corsi universitari. La quantità di contenuti è stata notevolissima ed anche un po' pesante da digerire, perché ci siamo trovati davanti tutti i problemi e le perversità affettive e sessuali possibili sintetizzate in alcune slides: un esame di coscienza fatto a martellate che non poteva lasciarci indifferenti. Tra l'altro ci ha anche ammonito di stare attentissimi nella relazione con le situazioni LGBTQUA+, perché la legislazione brasiliana ha portato la tutela a livelli quasi estremi ed è molto facile ricevere una denuncia per discriminazione (e visto che la chiesa ha soldi la tentazione di chiedere risarcimenti è molto forte...); la cosa significativa è però che anche una legislazione così non ha aiutato una vera integrazione. La legge non cambia i cuori, serve l'amore: in ogni campo ed in ogni situazione.

La cosa più rilevante dei due giorni è però stata il messaggio centrale che la relatrice ci ha voluto lasciare e che ha guidato tutta l' esposizione: la missione siete voi ed il vostro stile di relazioni . Non le opere che faremo, le chiese che potremo costruire, la sontuosità delle nostre liturgie, ma la nostra umanità e la capacità di intessere relazioni vere e mature. Da Gesù in poi, il Vangelo passa da lì. Lo abbiamo appena ascoltato: "questo è il mio comandamento, che vi amiate come io vi ho amato", il resto (opere, chiese, liturgie...) è in funzione di questo. Da qui la necessità, per tutti e per noi missionari in particolare, di curare la nostra umanità nella relazione con Dio e nell'impegno per una maturazione personale.



L' altro momento molto rilevante è stato la visita al Congresso Nazionale (la nostra Camera) ed al Senato del Brasile, nello stupendo edificio che è uno dei capolavori dell'architetto Oscar Niemeyer (quello con le due cupole, una verso il basso ed una verso l'alto). Tutto molto rigoroso, con ineccepibile formalità e davvero bello. Abbiamo dovuto visitare un po' in fretta il Senato (nella cupola verso il basso): alle 10 iniziava un plenaria non deliberativa e mancavano pochi minuti. Quando siamo arrivati, un senatore ci ha cordialmente salutato, poi è arrivato il presidente ed alle 10.03 ha dichiarato l'inizio della seduta plenaria... alla presenza del solo senatore che ci aveva omaggiato. Uno su ottantuno, il relatore.

Anche la democrazia, come la missione, si fa con la maturità e la serietà delle persone; anche la democrazia e la libertà si fa con l'amore. Se non c'è quello, tanto le grandi cattedrali come gli i bellissimi edifici statali non servono molto.

Una cosa bella é che nell'aula i posti dei senatori, che sono tre per ognuno dei 27 stati della federazione, sono divisi per stato e non per appartenenza politica: quindi il senatore della sinistra si trova seduto al fianco del senatore della destra dello stesso stato. Forse questo può aiutare ad un dialogo più civile, perché il "diverso" é al mio fianco, non dall'altra parte dell'emiciclo.

Infine, siamo passati dalla Piazza dei tre Poteri, con il palazzo del Presidente, quello del Congresso e Senato, quello del Tribunale Supremo della Federazione. La trovate sotto in una foto panoramica ove i tre edifici appaiono affiancati, ma in realtà sono su tre fronti della piazza; nel quarto c'è la bandiera ed il Monumento ai Caduti.



Passando da qui é inevitabile ricordare l'ultimo tentativo di Colpo di Stato del 8 gennaio 2023, quando dopo l'elezione del Presidente Lula una folla assalì i palazzi provocando molti danni (avevano preso esempio dagli Stati Uniti...). É un ferita che qui ancora sanguina, anche perché i processi sono tutt'ora in corso e con molti fronti aperti. Il Brasile è una democrazia debole, uno stato nato dalla colonizzazione con élite civili e militari che non hanno mai veramente accettato la democrazia e detengono un forte potere mediatico ed economico.

Mi fermo qui. La sintesi è che é inutile cercare di nasconderci dietro ad infrastrutture: il Vangelo e la libertà passano inevitabilmente per la nostra umanità e la nostra conversione e maturità è il primo compito. Del resto è la strada che ha scelto Dio: non si è fatto Superman, né supermacchina, né superpotenza. Si è fatto uomo debole e mortale, in tutto come noi, e così ci ha salvati.

 

Il Signore ci accompagni sempre!

 

d. paolo

 

 

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