giovedì 3 luglio 2025

I CANI DI SANTO ANTONIO

 



Ciao a tutti e tutte!

Mentre dall’Italia mi giungono notizie di un caldo asfissiante, qui siamo in “inverno” e momenti più caldi si alternano a piogge brevi ed intense (molto intense…), che tengono la temperatura a livelli gradevoli.

Quindi per invidiarvi aspettiamo agosto – settembre, quando da voi le temperature inizieranno a calare e qui avremo il tempo della “secca” che io ancora non conosco, ma che dai racconti che ascolto non mi pare molto gradevole.

Vengo da una settimana tranquilla, continuando i primi passi da parroco con una serenità che non credevo di avere; ieri sera d. Gabriele è tornato dal viaggio sul fiume, sempre ricco di nuove idee da realizzare, che mi danno forza ed anche un po’ di mal di testa…

Come succede ad ogni nuovo parroco, le prime cose che arrivano sono le lamentele, le cose che non vanno, quelle che sarebbero da fare, etc etc etc… Grazie a Dio l’esperienza italiana nell’Unità Pastorale “Gioia del Vangelo” mi ha insegnato che non sono qui per risolvere i problemi (neanche Gesù li ha risolti, quindi…), ma per starci dentro con un po’ di amore del Signore.

Ora ascolto e tanto dovrò ascoltare. La comprensione del portoghese è realmente il primo compito: sto scoprendo che ho attorno a me tanti buoni maestri, che non mi esentano dall’impegno dello studio, ma continuamente mi consentono di esercitarmi ed aggiungere ogni giorno un pezzettino.

Credo che tante volte nella vita siamo circondati da buoni maestri, ma non sempre li vediamo perché pensiamo di non averne bisogno.

Fra le cose più significative e toccanti vi è stato il ritorno al carcere, che non visitavo da prima della partenza. Ora è pieno in modo impressionante: la stanza più grande accoglie dodici uomini, la piccola nove, con amache su più piani per dormire. Ora la temperatura è accettabile, ma quando verrà il caldo sarà molto dura.

Ho ritrovato facce note, uno di loro è dentro quella stanza da due anni: sono persone “in attesa di giudizio”, ma questa attesa può essere molto lunga.

Fra le facce nuove, quella spaurita di un diciottenne, Eduardo: “hai amici?” - “no, vivo con mio padre”; “hai avuto problemi con la droga?” – “no” (sembrava sincero). Ci siamo accordati che quando uscirà – spera la prossima settimana – passerà in parrocchia: di certo non abbiamo una soluzione, ma forse un po’ di amicizia buona potrà trovarla.

Poi, semplici chiacchiere alla sbarra, preghiere e canti (che tutti conoscevano benissimo...), consegna di alcuni libri, una fetta di torta ed una bibita. Gli ho raccomandato il giovane convivente: “in questo momento avete un figlio, trattatelo con cura”. Mi hanno chiesto una piccola cassa amplificata, perché quella che hanno è rotta: sapendo quanto può rilassare ascoltare un po’ di musica il giorno dopo l’ho fatta avere.

Volevo parlarvi di una cosa che può sembrare banale, ma che mi sta facendo riflettere molto: i cani di S. Antonio.

I cani? Perché?

S. Antonio è piena di cani che vivono in strada; alcuni sono di famiglie, altri forse fanno riferimento a qualcuno (come il nostro Miguel, che pur mancando di un occhio si è autoproclamato guardiano della parrocchia), molti sono semplicemente per strada.

Quello che impressiona è la loro integrazione nell’ambiente sociale. Sono rispettati (dormono tranquillamente in mezzo alla strada…) e - al di là delle feci sparse qua e là – non creano problemi particolari: sono parte della società cittadina e convivono pacificamente con la componente umana. Nessuno ha paura di lasciare i bimbi in giro perché “ci sono i cani…”.

Facevo il paragone con quanto succede da noi se in paese gira un cane senza collare.

In un primo momento è “un cane”, poi diventa un “cane randagio” – con il secondo termine più accentuato - poi diventa un “randagio”, perdendo la sua identità di cane e tenendo solo il termine dispregiativo (vi ricorda qualcosa in campo umano?).

Poi arriva l’allarme su facebook con commenti non citabili, poi le guardie comunali, i pompieri e se è il caso i carabinieri… Tutto questo nonostante che le cronache parlino più spesso di bambini uccisi da “Fido” domestici un po’ cresciutelli che da cani randagi.

Ed intanto il cane randagio è solo, magari affamato, spaventato, braccato… e diventa aggressivo, e tutti pensano che l’allarme sia più che giustificato e che il “randagio” non debba esistere perché inevitabilmente cattivo.

 

I cani italiani ed i cani di S. Antonio non hanno DNA diverso: l’unica differenza è che uno viene preventivamente escluso e considerato pericoloso (e quindi lo diventa), l’altro è integrato nel vivere sociale, anche accettando le problematiche che la sua presenza può dare (e quale presenza non genera problemi?).

I risultati dei due atteggiamenti sono molto differenti ed anche un anti-cinofilo come il sottoscritto ha iniziato a guardare i cani con simpatia, forse perché qui possono fare i cani come Dio comanda.

No, non sono diventato improvvisamente cinofilo: penso abbiate già capito cosa sto dicendo, perché quello che avviene con i cani avviene anche con altre creature, ad esempio gli uomini.

Forse parlare di cani ci aiuta a cogliere il pericolo che viene non dalle persone, ma dalle dinamiche di paura ed esclusione che generano uomini e donne considerati non-persone (non vengono nemmeno più indicati come tali, ma solo come “clandestino”, “drogato”, “prostituta”, etc…)

Forse parlare di cani “randagi e quindi pericolosi” ci aiuta anche a cogliere come un popolo può arrivare ad accettare la guerra, addirittura quella “preventiva”, le stragi, la nullificazione dei suoi fratelli e sorelle in umanità. Forse riguarda anche noi.


Il Signore ci accompagni tutti!

d. Paolo

I CANI DI SANTO ANTONIO

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