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venerdì 12 maggio 2023

RITORNO AL FUTURO

 




È un privilegio, una grazia speciale passare queste ore sulla barca, attraccare a un albero su una riva di un lago, di una palude, di un rivolo, lontano da qualsiasi abitazione, senza luce elettrica, senza i suoni stridenti della città, udendo solo il concerto di rospi e rane, orchestra di mille flauti e cicale, versi di uccelli notturni che non feriscono il silenzio. Trovarsi nel nulla del nulla. Gli alberi e le sponde diventano sempre più fitti man mano che ci si avvicina al confine colombiano e le case sempre più rare. Il vento culla le chiome frondose degli alberi centenari. Alcuni sono in fiore. Un luccicante giallo e un delicato lilla risaltano nel verde scuro. E le stelle, così vicine che sembra di poterle prendere con la mano, si specchiano nell’acqua come scintille silenziose e saltellanti. Che silenzio, profondo, misterioso, divino. La linea della foresta spacca l’orizzonte. Se non ci fossero gli alberi non distinguerei davvero l’acqua dal cielo.

Senza sosta andiamo visitando le varie comunità, senza far caso ai venti, alle piogge, alla piena e ai problemi che la barca ci dà. Alcune comunità ci attendono e ci accolgono, perfino con petardi e fuochi d’artificio, in altre si fa più fatica a incontrare le persone perché impegnate nel lavoro o nella pesca... L’attesa è già una questione spirituale. L’attendere è già una presenza.

I primi giorni in queste comunità ammetto di averli vissuti con molta urgenza di “dare in cambio qualcosa”: un racconto, un gioco, un dono… Ma presto sono arrivata a capire che questo baratto non è necessario. Stando insieme alle comunità capisco che è solo richiesto che IO SIA in ascolto con il cuore aperto. Importa solo il COME sei, il CHI non importa a nessuno.



C’è un verbo portoghese, “mergulhare” in acque profonde, ovvero andare sempre più in profondità a questa misteriosa esistenza. In pochi metri di foresta esiste un numero di specie, di animali e di piante e insetti maggiore che in tutta la fauna e flora europea. La natura sembra avere una propria intenzionalità. Questo popolo custodisce una sapienza antica e profonda che integra vita e morte, essere umano e natura, rende compatibili lavoro e divertimento, in sintonia tra cielo e terra. Una terra dove il mito non è racconto ma realtà, dove le storie quotidiane sono popolate di animali fantastici, dove i “pajè” (uomo del sacro e dei misteri capace di curare con le piante della foresta) custodiscono questa sapienza ancestrale. In questo senso, questo popolo è altamente civilizzato per quanto tecnologicamente primitivo. Qui l’invisibile fa parte del visibile.  

“Mergulhar na vida”, vuol dire però anche entrare sempre più in profondità in dinamiche di ingiustizia e corruzione disarmante.

Lo sfruttamento irrazionale della terra e del lavoro non riguarda solo il povero, ma anche la natura. Il protrarsi della devastazione delle foreste e della biodiversità mette in pericolo la vita di milioni di persone, in particolare quella dei giovani in cerca di futuro, che vengono spinti verso terre di bassa qualità o nelle grandi città, come Manaus, dove si trovano a vivere ammucchiati in miserevoli periferie rimanendo soli. La crisi culturale si manifesta da un lato come una crisi di senso e dall’altro come fondamentalismo, che si esprime nelle ramificazioni delle grandi religioni e nelle ideologie politiche. Il valore della vita è bassissimo: il credere superstizioso “nel paradiso” fa sì che la sofferenza, l’ingiustizia e la morte non vengano riconosciute come tali e non abbiano il loro spazio di comprensione. Il conflitto è quotidiano e spesso violento: genitori in lite con i figli, figli in lite con i cognati, mogli con le suocere, nonni che non vogliono che i padri incontrino i figli, le madri che lasciano i figli per relazioni con ragazzi più giovani. Relazioni che si alternano come si cambia un paio di ciabatte, bambini che spariscono, forse venduti al mercato internazionale di organi, cacciatori d’oro, abbandoni, incesti… E in tutto questo… L’omertà del popolo per non incorrere nel pettegolezzo.



Il maschilismo è fortissimo: le autorità proteggono e difendono il maschio. Tutto ruota attorno agli interessi di una potente oligarchia a caccia di guadagni immediati. I politici si scelgono in base a chi potrebbe vincere, non in base a chi si fa carico del bene per la tutta la comunità. C’è paura di denunciare. Perché ci si dovrebbe ribellare se poi non c’è un sistema che ti sostiene? Ciò che chiamiamo giustizia nei nostri paesi è una giustizia formale, lenta e costosissima, che opera lontano da luoghi come questo e non permette ai poveri, che non conoscono i sistemi legali e non riescono a pagare avvocati competenti, vedere garantiti i loro diritti minimi e riconoscerli come tali. Calunnie, diffamazioni, minacce di morte sono le armi che vengono utilizzate per chiudere la bocca a chi alza troppo la voce … Ma non si può tacere.  

Mi chiedo chi è povero. Lei, lui, o io? Loro non sanno né leggere né scrivere. Io ho due lauree, un master e diversi corsi di perfezionamento. Ma le persone che incontro qui sanno pescare, seminare, costruire, nuotare, leggere la natura meglio di me. Ci sono donne giovanissime capaci di tirare su 9 figli e rimanere bellissime. Come si misura la povertà? In intelligenza? In denaro? Forse la povertà si misura in termini di ingiustizia. La quantità di ingiustizia che deve vivere e sopportare una persona innocente. E quando queste ingiustizie sono considerate normali è il peggiore dei casi. È dunque questo che chiamano vocazione? La cosa che fai con gioia come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo? Se le comunità cominciassero insieme a fare una resistenza di massa, dire NO ai “garimpo” illegali (estrazione illegale dei minerali), allora forse smetterebbero. Lavoriamo sull’onestà.   

Questa terra è la concreta conseguenza di ciò che ha generato la logica del capitalismo: il lavoro è lavoro. I garimpero brasiliani cercano l’oro illegalmente a discapito dei governi europei. I poveri vengono sfruttati a rotazione come forza lavoro: si guadagna di più con l’oro che con la semina, ma a discapito degli altri. Ognuno pensa al proprio interesse, non al bene per la vita della comunità, del fiume e della foresta. Ed è anche questo il capitalismo: l’importante è che ci sia sempre un gruppo di lavoratori attivo e chi non ha un possedimento economico valido può soccombere perché è inutile alla società. L’accumulo di denaro, a cui si sacrifica tutto, a cominciare da se stessi, porta le persone a diventare sempre più insensibili nei confronti del prossimo perché questa schiavitù anestetizza la capacità di attenzione e compassione. E noi incontriamo queste famiglie, inventando riti e raccontando storie di resistenza, ingiustizia e libertà, da Gesù al Re Mida passando per fiabe africane. Siamo ridicoli? Forse. O forse no. Partendo dalla più grande storia di ingiustizia, un innocente messo in croce, ci diciamo che la morte non è mai l’ultima parola, e neanche l’ingiustizia, cerchiamo di far capire che il proprio interesse personale non può essere sempre e soltanto la cosa primaria. L’oro luccica, ma porta solo fame.



“Parli facile tu che sei ricco, ma io sono povera. È più importante il lavoro dell’amore.” Ma se il lavoro non ti gratifica, se degrada la tua salute, saccheggia la tua terra e la tua vita e se questo lavoro legittima la gerarchia e la corruzione, non è un lavoro. È sfruttamento. È schiavitù. La convinzione che l’unico miglioramento possibile sia quello individuale è una illusione. Il culto della carriera, la competizione con i colleghi, la ricerca ossessiva di gratificare i superiori ci rende divisi. E quando siamo divisi ogni nostro diritto è sotto attacco. Il lavoro migliora l’uomo e la vita con l’aiuto dell’altro e di una comunità, non con la corruzione e la disonestà.

Affinché ci possa essere parità e uguaglianza, è necessaria una Legge che sia garante di questi diritti e che venga rispettata da tutti. Se questa manca, allora mancherà sempre la giustizia in queste case. Non è facile, soprattutto quando si scopre che perfino le istituzioni più stimate sono corrotte, come ci racconta Gabri Carlotti nella sua ultima lettera. Violenza che genera violenza, morte che viene vendicata da altra morte (non ci sono statistiche affidabili sui casi di morte violenta). Sembra proprio che tutto questo non abbia fine.

Questa realtà ci sbatte in faccia l’effetto collaterale di questa nostra società che ci vuole divisi, nuclei, in conflitto. Una società che ci tiene insieme con la paura e ci dimentichiamo del valore della libertà. “Non abituatevi a tutto questo! Non abituatevi!”… Eppure continuo ad essere fermamente convinta che nessun potere, nessuna forza, nessuna ingiustizia può vincere sulla vitalità e sull’amore che una persona può vivere e donare, proprio perché unica irripetibile e capace di creatività. Queste persone non hanno potuto scegliere certo il loro destino, il luogo del mondo in cui nascere, o la famiglia sgangherata in cui crescere, ma possono e desiderano dare un senso alla loro vita e alla loro morte. E noi con loro. Non temere, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te, risuona ancora la voce del profeta.

E mentre ci lasciamo alle spalle il confine colombiano prendendo la rotta verso Sant’Antonio, con un martello pneumatico di domande senza risposta nella testa, ancora una volta guardo il cielo: e la natura parla. Vedo due arare, sono uccelli con ali lunghe e strette che si vedono mentre si attraversa il fiume. Sono uccelli che volano sempre in coppia. Gabri mi racconta che una volta che si guardano, si scelgono e da quel momento volano per sempre insieme. Il loro volo si distingue dagli altri perché tracciano traiettorie sincroniche in parallelo. Le loro curve sono così perfette che sembrano lineari. La libertà del volo di una comincia con la libertà del volo dell'altra. E allora la natura risponde: sì, è possibile fare scelte coraggiose e rimanere nella semplicità. Riconoscere il sentimento, che sia rabbia o amore, riconoscerne il valore e scegliere che direzione darci. È possibile scegliere l’onestà e la libertà. Condivisa.



Lo stupore e la gioia più grandi sono proprio nel vedere la nascita di luoghi nuovi in questa terra. Se non c’è lo spazio, lo si crea. Dove c’è una urgenza, si risponde alla necessità. “Padre, vorremmo una chiesa in comunità!”, “Facciamola”. “Padre, non c’è una scuola!”, “ Vi aiutiamo”. “I garimpos ormai hanno avvelenato tutto il nostro lago”, “Avete bisogno di acqua? Vi diamo una cisterna con depuratore per l’acqua piovana, che è sicuramente più sana di quella del fiume”. I discorsi oggi dominanti affermano che non c’è alternativa al capitalismo, che le utopie non hanno più senso e che la storia è arrivata al capolinea. Sono discorsi di autogiustificazione e disperazione che infieriscono sui poveri! Generano pessimismo e depressione. La speranza nasce quando le vittime cominciano a parlare, ad agire, a organizzarsi per conto proprio; quando i missionari si fanno presenti in mezzo al popolo, rinunciando ai vantaggi della propria classe sociale, accompagnando i processi di organizzazione, aiutando a cancellare il sentimento di incapacità; quando si danno delle opportunità per essere un inizio nuovo. La speranza ci dà le ragioni e la forza per decidere tra un presente imprevedibile e sofferente e un esodo verso un futuro imprevedibile e rischioso. Vivere nella speranza ha i suoi rischi: esige presenza, visione e intervento. Siamo attori…sociali. Camminare, ascoltare e agire. È questo che mi insegna ancora l’Amazzonia. La fede, prima di essere teologia, prima di essere credo e religione, prima di essere filosofia, prima di essere cultura, prima di essere tutto quel bagaglio di conoscenza che se fine a se stessa non serve a nulla, è incontro e presenza.



Comunità di Vista Alegre, ultima notte in barca. Alle 4 del mattino sentiamo dei petardi e una barca, con le sue luci abbaglianti, ci sveglia. Ci alziamo tutti e tre per capire cosa sta succedendo. Sono arrivati degli uomini della comunità con il materiale per costruire la chiesa. Gabri si alza a guardare chi è: “Beh io non lavoro adesso… fanno poi loro…” e torna a letto esausto. Prima di richiudere gli occhi mi fa “é la vita mia cara…” e torna questo mantra. Rido. È la frase ricorrente in queste settimane. Ma ormai non si dorme più. Non siamo allenati come gli abitanti della foresta. Ci alziamo alle sei e riprendiamo il viaggio. Solchiamo il fiume. Alzando gli occhi non si vede il sole, ma i suoi raggi giocano con le foglie sui rami più alti. “Di tramonti ne vediamo tanti… ma di albe poche…”.  Tainà, dice Gabri. È la parola che si grida quando il sole sorge: vogliamo essere un mondo nuovo, né primo né terzo, un mondo secondo e fraterno. Si, è la vita.

Anna Chiara e Gabriel, missionari dell’Amazzonia

 

Santo Antonio do Içá, 12 maggio 2023 – mese di Maria e di tutte le mamme

 

domenica 2 aprile 2023

Fraternità e fame: “Dategli voi stessi da mangiare”.

 



 

Carissimi amici, nell’ultimo viaggio di febbraio abbiamo portato alle Comunità un pallone per i ragazzi, questa volta un pallone professionale, di quelli che si usano nelle partite ufficiali, più caro, ma molto più resistente. Ringraziamo di cuore gli amici scandianesi che hanno condiviso con noi e permesso di realizzare questo dono pasquale. Abbiamo comprato anche alcune scarpe perché molti giocano scalzi, ma nelle partite organizzate non è permesso e alcuni ragazzi venivano esclusi per questo. Abbiamo visto volti sorridenti e occhi sgranati… e questo ha ripagato abbondantemente la spesa. Poi in questa Pasqua abbiamo consegnato alle Comunità un pacco con tre chili di fagioli, tre chili di riso, tre chili di pasta, due litri di olio e alcune bustine per preparare succhi di frutta. Mancava la farina di manioca, l’açaì e il pesce, ma questo le Comunità riescono a procurarselo con facilità.

In ogni Quaresima la Chiesa brasiliana lancia una “Campagna per la Fraternità”: una riflessione su di un tema sociale che tocca la dignità della vita umana. Quest’anno il tema è “la fame”. Durante gli ultimi anni del governo federale di estrema destra (Bolsonaro) sono state smantellate molte delle politiche pubbliche in favore delle popolazioni più povere; a questo si aggiunge la struttura fondiaria, cioè una ingiusta distribuzione della terra, pochi con molta terra e molti senza un palmo di terra per piantare e vivere; l’assenza di una politica agricola attenta ai piccoli agricoltori, che solo contempla il latifondo legato all’agro negozio e all’allevamento del bestiame su grande scala; tutto questo, assieme ai cambiamenti climatici, dovuti anche al taglio di vaste estensioni della foresta amazzonica, hanno portato all’aggravarsi della situazione di gran parte della popolazione più povera. In aprile del 2022, 58,1% della popolazione brasiliana era toccata da una certa insicurezza alimentare, e il 15,5% vivevano in situazione di fame. Questo vuol dire che nel nostro Brasile più di 33 milioni di persone vivono in situazione di sottoalimentazione, dove i più fragili spesso muoiono: bambini, donne in gravidanza, ammalati e anziani. In questo contesto abbiamo proposto alle nostre piccole Comunità di riunirsi e condividere la Parola di Dio, Gesù che di fronte a una grande folla invita i suoi discepoli a non ‘lavarsene le mani’, ma a dare loro stessi il cibo necessario, distribuendo quei cinque pani e due pesci, sufficienti così a sfamare più di cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. Abbiamo proposto come gesto liturgico di condividere il pesce e la farina di manioca, insieme agli alimenti ricevuti, affinché per la Pasqua tutti potessero mangiare insieme in Comunità.



Condividere, partecipare, educare, non buttare, interessarsi a progetti comunitari e sociali, partecipare attivamente nel dibattito politico… sono stati i verbi e le parole chiave di un nuovo impegno per la vita delle persone. La sapienza popolare ci insegna che “Poco con Dio è molto, e molto senza Dio non è nulla”, così abbiamo avuto il coraggio di chiedere ai poveri di condividere anche la generosità della loro povertà per contribuire a una grande raccolta in favore dei più bisognosi delle periferie cittadine e dei campesinos del Nordest. Poter dire con gioia: anche noi abbiamo partecipato a questo grande progetto per vincere la fame nel nostro Paese; anch’io ho dato il contributo della mia povertà”.

 

Carissimi amici, con questa speranza vogliamo vivere la Pasqua, arricchiti anche dall’arrivo di due Missionarie di Cristo Risorto: Virginia dall’Uruguay e Mariana dall’Argentina. Oggi vivono in casa con noi, ma stiamo costruendo una piccola casetta perché possano prolungare la loro presenza in appoggio alle Comunità Ecclesiali di Base, nelle periferie esistenziali, cittadine e lungo i grandi fiumi. Per tre mesi abbiamo anche la gioia di avere con noi Anna Chiara, una ragazza di Sassuolo che, dopo aver partecipato al campo estivo organizzato dal Centro Missionario Diocesano, nel settembre scorso, ora è ritornata per tre mesi per scommettere sulle possibilità creative dei giovani e adolescenti, perché il teatro è vita e la vita si esprime e spesso si fa libertà nel teatro. Al suo rientro Anna Chiara continuerà il suo impegno di promuovere cultura nel suo territorio di origine, nel rispetto di tutte le diversità e nell’impegno per l’inclusione di tutti; le auguriamo che anche questa sua esperienza amazzonica possa arricchire il suo essere, come arricchirà certamente l’espressione della libertà e della dignità dei nostri ragazzi.



Approfitto di questa opportunità per invitare altri a venire a conoscere la Missione Amazzonia, a metà agosto si farà il prossimo ‘campo in missione’, quest’anno sono pochi gli iscritti per motivi logistici, il campo va dal 16 agosto al 15 settembre, periodo buono per i costi del viaggio, ma più difficile per la disponibilità del tempo. Comunque ci sono posti liberi e chissà che non sia l’occasione e l’opportunità per una esperienza nuova, con amici della parrocchia e, perché no, accompagnati dal vostro don. Non vuole essere una alternativa alla GMG, ma una proposta parificata e complementare. Quindi: “Non abbiate paura…”.

 


Da ultimo voglio condividere una gioia dell’ultimo viaggio. Eravamo fermi nella Comunità di San Lazzaro e vediamo avvicinarsi una canoa con una coppia giovane, due bambini e un signore più maturo.

“Padre, fai il battesimo nella Comunità?”, mi chiedono.

 “Si, sempre, quando celebriamo la nostra vita con fede possiamo realizzare il battesimo dei nostri bambini… ma voi di dove siete?” rispondo.

“Siamo della Comunità di San Sebastiano, qui vicino”, mi dicono.

 “Ah si, siete della chiesa dell’Assemblea di Dio, per questo non mi fermo, siete tutti evangelici, così mi ha detto un giovane la prima volta che sono passato… solo il sr. Siro è cattolico, ma non ho avuto ancora la gioia di incontrarlo”.

 “No, padre, siamo tutti cattolici, anche il nome della Comunità lo conferma: San Sebastiano; quel giovane non abita più con noi, si è trasferito in città”.

“Allora, se volete, nel viaggio di ritorno posso fermarmi, possiamo conoscerci meglio e anche pregare e battezzare i vostri bambini… lunedì 20, verso le 11 del mattino posso fermarmi, se volete”.

“Ottimo, padre, ti aspettiamo”.

 


Così il Signore ha aggiunto un’altra Comunità a quelli che avevano abbracciato la fede. Il 20 è stato un giorno molto bello, abbiamo conosciuto queste famiglie e battezzato tre bambini, poi abbiamo pranzato insieme e ci siamo dati appuntamento per l’8 aprile, quando potremo celebrare insieme la Pasqua, nel prossimo viaggio, e battezzare altri due bimbi, le cui famiglie hanno chiesto il battesimo.

 

L’acqua del fiume sta crescendo rapidamente e presto le prime case saranno allagate. Qui è normale, ma in altre parti del Brasile, come nello Stato dell’Acre o sulla costa di San Paolo e Rio de Janeiro, le piogge stanno allagando intere città e provocando morte per chi ha costruito la casa nei pendii scoscesi della costa. Cambiamenti climatici dovuti all’inquinamento e al riscaldamento globale del pianeta Terra. Cambiamenti che si vedono ormai ovunque, in tutti i continenti, e che confermano l’urgenza di prendere decisioni radicali e responsabili sui gas e sulle risorse che stiamo utilizzando. Ormai non è più una questione di politiche locali, ma è un imperativo che tocca tutti: America, Russia, Europa, Cina, Africa e India, nessuno escluso, nessuno può dire non mi riguarda. Questa dovrebbe essere l’unica guerra permessa: la guerra all’avidità dell’imperialismo capitalista. Tutte le altre sono e saranno sempre guerre ingiuste. Ormai la parola d’ordine dovrà essere “accoglienza e integrazione”, affinché questo Mondo ‘glocale’ possa vivere e l’Umanità possa ridistribuirsi nei vasi comunicanti dei nostri Paesi, alcuni troppo invecchiati e bisognosi di gioventù e bambini, come la nostra povera vecchia Italia. Altro che chiudere i porti e le frontiere, dovremmo spalancarli per non morire asfissiati nel nostro miope egoismo. Anche in questo la Missione ci può aiutare: il Brasile e l’Amazzonia sono il segno tangibile di una nuova società frutto dell’integrazione di molti popoli di culture, religioni, colori diversi e complementari. Una vera ricchezza! Che la Pasqua sia questo passaggio a una mentalità nuova e rinnovata dove al centro ci sia l’Umanità del Cristo Risorto e dei fratelli e sorelle accolte.

 

Un grande abbraccio a tutti e la preghiera di una Felice Pasqua di Risurrezione.

 

Gabriel Carlotti – missionario dell’Amazzonia

 

 

Santo Antonio do Içá, 2 aprile – Domenica delle Palme, Santa Pasqua 2023

mercoledì 21 dicembre 2022

Un nuovo inizio

 




 

 

Vi scrivo ancora in questo 4° Natale che, per grazia di Dio, vivo qui in Amazzonia, nella grande foresta, immerso nell’umiltà dei popoli che la abitano.

 


Da voi inizia il freddo inverno, qui da noi ormai il grande caldo e le forti piogge dell’estate stanno arrivando. Prospettive diverse dell’unico sguardo sulla vita che scorre speranzosa e inesorabile, come l’acqua del grande fiume. È l’ultimo viaggio che facciamo con la nostra piccola barca “Mani Unite”, che ci ha accompagnato e servito in questi due anni e mezzo, subito dopo la grande pandemia. Il 1° gennaio 2023 segna l’inizio di un nuovo governo, Lula, il presidente eletto, potrà governare a tutti gli effetti e speriamo davvero che le cose cambino in meglio anche per la nostra Amazzonia. Risalendo il fiume, ancora secco e pieno di spiagge auree che emergono dall’acqua, abbuiamo incontrato più di venti piccole draghe cercando oro e inquinando le acque e i pesci. Ora la febbre dell’oro è senza controllo, e solo una nuova politica federale potrà arginare questa distruzione delle risorse naturali, che ancora garantiscono la vita dei popoli indigeni. Il dolore più grande è quando questa febbre prende gli stessi abitanti del fiume, che si illudono di una ricchezza apparentemente facile, ma che non dà vita, anzi che produce morte per tutto il Creato: natura, animali e persone.

 


In questi due anni e mezzo di navigazione con “Mani Unite” abbiamo molto sofferto a causa dell’insicurezza: in quasi tutti i viaggi qualcosa si è rotto nella struttura della barca e principalmente nel motore. Anno nuovo, vita nuova, il 1° gennaio andremo a Manaus, io e Moises, perché la nuova barca della parrocchia è ormai pronta: 15 mt di lunghezza per 3,5 mt di larghezza e un motore nuovo di 320 cv (quello attuale è di 52 cv). Un dono dell’organizzazione “La Chiesa che Soffre”. Anche il nome è nuovo: “Sempre Incontrando”, per essere una Chiesa in uscita, protesa verso un ascolto e un dialogo nuovi con le persone, una Chiesa sinodale. Il 6 gennaio, festa missionaria dell’Epifania inizieremo il nostro viaggio di 1.200 km, risalendo il Rio delle Amazzoni, fino alla città di Santo Antonio do Içá. Che Dio ce la mandi buona!

 


In questo tempo nuovo, ancora una buona notizia: le Missionarie di Cristo Risorto hanno fatto discernimento e scelto la nostra parrocchia per iniziare il loro servizio in Amazzonia. Siamo molto contenti della loro decisione che, da marzo 2023, sarà effettiva e porterà una presenza femminile inserita nella vita delle Comunità Ecclesiali Missionarie. Stiamo già costruendo una piccola casa, vicino alla nostra, ‘campo base’ per riposarsi, programmare e condividere la vita delle famiglie e delle Comunità lungo il fiume e anche nei quartieri periferici della città.  

 


Arrivando a Ipiranga, troviamo la chiesa chiusa e trascurata, cerchiamo la chiave e scopriamo che dalla partenza dei due militari che animavano le celebrazioni e la catechesi, la Comunità non si è più riunita. Solo il doposcuola ha funzionato fino alla chiusura dell’anno scolastico. Così ci rimbocchiamo le maniche, scopa alla mano, stracci, secchio e acqua… una pulizia generale lasciando un profumo nuovo. Poi passiamo per il paese, visitiamo alcune famiglie, invitiamo per la celebrazione della terza domenica di avvento. La sera suoniamo più volte la campana, fiduciosi che qualcuno risponderà alla chiamata del Signore. Verso le 8, ora della celebrazione, arrivano alcuni bambini, quelli del catechismo; poi alcune mamme che li accompagnano, due o tre uomini e una famiglia al completo con un bimbo in braccio alla figlia più giovane, un bimbo di pochi mesi. Il Signore ci darà un segno: la giovane partorirà e il nome del bambino sarà Emmanuele, Dio con noi. Così celebriamo l’Eucaristia con semplicità di cuore, animata da canti conosciuti e accompagnati dal battito delle mani, perché tutti possano partecipare. Alla fine, distribuiamo i biscotti, che non possono mancare per la condivisione fraterna, quella che una volta si chiamava ‘Agape’. Prima del canto finale chiedo la parola e dico: “Per due anni abbiamo avuto la fortuna di aver con noi la Tenente Correia e il Sergente Alysson che ci hanno aiutato molto a celebrare la nostra fede e anche a costruire la nostra cappella di Santo Espedito e Nossa Senhora Aparecida. Ora loro sono stati trasferiti per un altro servizio, ma noi abitiamo qui e la nostra vita continua. Qualcuno è disposto a ricevere la chiave della chiesa, a organizzare la pulizia e aprire la domenica sera per la preghiera?” Silenzio. Lunghi, interminabili minuti di silenzio. Poi dico: “Bene, se nessuno si offre, allora porto con me la chiave e verrò una volta al mese per invitarvi alla preghiera. La chiesa evangelica (protestante) è già chiusa da alcuni mesi perché il pastore se n’è andato… ma, almeno fino a Pasqua, noi continueremo a venire, fiduciosi nella misericordia di Dio per tutti i suoi figli, anche per voi di Ipiranga”. Ancora silenzio. Poi, due signore, una più anziana che abita a fianco della cappella, e una più giovane che sempre viene con i suoi molti bambini, dicono: “Padre, noi possiamo tenere la chiave, garantiamo di pulire e aprire la chiesa ogni domenica, solo non sappiamo fare la celebrazione”. Un nuovo inizio, un bambino è nato per noi, non è più qualcuno di fuori che aiuta, ma è l’Emmanuele: uno-di-noi. Ho molta fiducia che piano piano la Comunità potrà rivivere. Il giorno dopo, anche un giovane si offre di suonare la chitarra, lui che ha imparato con il Sergente Alysson, ora può aiutare la Comunità. Con gioia e pieni di speranza riprendiamo il nostro viaggio. Come Giuseppe che, svegliatosi dal sonno, prese Maria a vivere con lui, nell’attesa che nascesse colui che salverà il suo popolo dai suoi peccati: Gesù.

 


Allora vi auguro un Buon Natale, che sia sempre un nuovo inizio, una nuova possibilità di vita. Il Signore ha messo la sua tenda in mezzo al suo popolo, a questa Chiesa – Popolo di Dio. Il Signore ha rinnovato la sua fiducia e non abbandona la nostra Storia. Una nuova Umanità sorgerà. Ancora le spade e le bombe saranno fuse in aratri e non ci saranno più le guerre. Nessuno sarà più abbandonato in mezzo al Mediterraneo, e riceveremo un nome nuovo che il Signore pronuncerà: “Fratelli e Sorelle, tutti”. L’accoglienza e la fraternità saranno il volto di coloro che resteranno Umani. L’agnello e il lupo pascoleranno insieme, e un bambino li guiderà.

 

Buon Natale e Felice Anno Nuovo di Pace!

 

 

Gabriel Carlotti – missionario dell’Amazzonia

 

 

 

 

Santo Antonio do Içà, 21 dicembre 2022 – inizio estate brasiliano e inverno europeo

 

     

venerdì 25 novembre 2022

Ripartire sempre …

 







 

Perché ripartire? Perché la “missione” è troppo importante per una Chiesa locale italiana. Il respiro di una Chiesa sorella, povera e giovane, è vitale per il nostro essere-chiesa missionaria qui sul nostro territorio e fra la nostra gente. Dopo 54 anni abbiamo lasciato la Missione in Bahia, perché ormai il clero locale era sufficiente, ma non potevamo chiuderci le orecchie e il cuore: la Chiesa dell’Amazzonia chiamava altre chiese sorelle, altri preti diocesani fidei donum, per il servizio dell’evangelizzazione tra i popoli originari, 180 popoli indigeni che vivono nella grande foresta. Così siamo ripartiti, impegnando la nostra Diocesi a proseguire questo cammino, fiduciosi e felici per aver mantenuta aperta la finestra della missione ad gentes sul mondo. Il Signore, come sempre, saprà essere generoso con chi dona con gioia.



Così da tre anni mi trovo nel cuore dell’Amazzonia, nella Diocesi dell’Alto Solimões, nella parrocchia di Santo Antonio di Lisbona che accompagna il corso del fiume Içà dal Rio delle Amazzoni fino al confine con la Colombia. Il fiume Içá, o Putumayo, segna- per un lungo tratto -  il confine tra Perù e Colombia, poi attraverso la Colombia entra in Brasile, percorrendo tutto il territorio della nostra parrocchia per poi gettarsi nel Rio Solimões (Rio delle Amazzoni): 358 Km da Ipiranga, sede di una caserma dell’esercito brasiliano sul confine con la Colombia, fino alla città di Santo Antonio ai margini del grande fiume.  Lungo il fiume ci sono diverse comunità ‘riberinhas’, alcune di indigeni Tikuna e Kokama.  Inizialmente erano tutte comunità cattoliche, oggi alcune sono evangeliche della Chiesa Battista, della Assemblea di Dio, altre della Chiesa della Croce (Cruzada), fondata da fratel José, un profeta itinerante che aveva scelto il fiume Içá come luogo privilegiato di salvezza; morto da pochi anni, il suo corpo è in una di queste comunità.

 Ci sono 55 comunità, alcune formate da poche famiglie, altre organizzate come “aldeias” e piccoli villaggi di un centinaio di persone, per un totale di 12.500 abitanti. Solo Betania si distingue con i suoi cinquemila abitanti, tutti Tikuna e protestanti della Chiesa Battista. I frati cappuccini hanno accompagnato la vita religiosa di questo popolo con il metodo della cosiddetta “desobriga”: arrivare una volta all’anno e celebrare tutti i sacramenti; finora non c’è stata la possibilità di una presenza che aiutasse a creare un senso di appartenenza con un minimo di organizzazione. Un popolo che professa la sua fede in Dio senza conoscerlo, ma confidando nella sua presenza e nel suo aiuto. Tutte le Chiese presenti nel nostro territorio parlano di Gesù e, per questo, le persone rimangono disorientate e passano da una confessione a un’altra; dipende dai missionari che arrivano nella comunità con l’offerta di una risposta alle loro necessità.



Dobbiamo dunque passare da una pastorale di semplice visita ad una pastorale di presenza; dalla ‘desobriga’ alla catechesi; dal fatalismo alla fede. Qualcuno conserva ancora le tradizioni religiose degli antenati, ma le nuove generazioni non conoscono più la sapienza degli anziani e neppure hanno avuto la possibilità di conoscere il Vangelo, abbandonando ogni pratica religiosa o lasciandosi influenzare dalla predicazione fondamentalista di chi vuole fare proseliti, o da un dilagante secolarismo, frutto della globalizzazione, già arrivata anche in foresta. Così, ci siamo messi in cammino, abbiamo visitato tutte le comunità e conosciuto ogni famiglia, e abbiamo constatato una grande fragilità nella coscienza di essere Chiesa a causa di un senso di abbandono.  Molti sono passati ad altre Chiese perché non hanno avuto nessun accompagnamento liturgico-catechetico o una semplice vita di comunità. Per ora, iniziamo accompagnando le comunità cattoliche, senza escludere nessuno e accettando con gioia la presenza di cristiani di altre confessioni nei nostri incontri e celebrazioni.

Abbiamo progettato due viaggi al mese, di dieci giorni, per essere presenti e celebrare l’eucaristia in tutte le comunità. Siamo alla ricerca di leaders per animare e presiedere la celebrazione domenicale della Parola di Dio. Durante i viaggi, un ministro laico, padre di famiglia e pescatore, mi accompagna e presiede la liturgia della Parola, come segno che tutti possiamo celebrare la fede in forza del nostro battesimo, e anche per incentivare la ministerialità.  Per ora, stiamo approfittando della celebrazione liturgica per fare una catechesi che coinvolga la vita delle persone. Il cammino è lento, come l’acqua del fiume, ma non si ferma. Alcune comunità hanno già iniziato a celebrare il giorno del Signore e condividono con noi le loro gioie e difficoltà. Altre ancora, non sono riuscite, per mancanza di persone, così ci sforziamo di offrire una certa formazione a chi si rende disponibile. Stiamo aiutando a ristrutturare le poche cappelle già esistenti, appena quattro, e aiutiamo altre comunità ad avere un luogo nel quale riunirsi per la preghiera e la condivisione della vita. Le case sono piccole e non sempre c’è la scuola nella “aldeia”; due delle nostre chiese servono anche come scuola per i bambini della comunità.

Crediamo che una presenza costante e rispettosa delle persone e delle tradizioni possa incentivare e promuovere una appartenenza alla Chiesa, come possibilità di dialogo fraterno con le altre confessioni religiose, che formano con noi l’unico Popolo di Dio. Ci sforziamo di essere attenti alle necessità vitali delle persone che incontriamo, come la casa e l’acqua da bere. I fiumi sono molto inquinati e l’estrazione di minerali come l’oro peggiora la situazione, così raccogliere l’acqua piovana è un grande aiuto. Per questo, ci siamo organizzati affinché tutte le famiglie avessero una piccola cisterna. Anche i tetti, in lamiera zincata, hanno spesso bisogno di manutenzione, così le comunità si organizzano per aiutare chi da solo non ce la fa. Piccoli segni di una Fede che cammina sempre unita alla Vita.



Siamo coscienti che abbiamo davanti un lungo cammino, ma sappiamo che lo Spirito soffia come e dove vuole e, per questo, cerchiamo di riconoscere la sua presenza nei poveri.  Sogniamo una Chiesa di Comunità Ecclesiali di Base, comunità fraterne che promuovano la vita e la speranza nella nostra cara Amazzonia. Una Chiesa dal volto amazzonico, edificata su quattro colonne: la parola condivisa, il pane spezzato, la carità e la missione. Una Chiesa che ha fiducia nei giovani e che sa riconoscere la presenza fondamentale delle donne, aperta a tutti i ministeri necessari per una vita di comunità; una Chiesa aperta al diaconato delle donne, come hanno richiesto i nostri vescovi riuniti a Santarém, celebrando i 50 anni della prima Conferenza dell’Amazzonia dopo il Concilio Vaticano II°.

Ogni giorno ringrazio per essere qui e camminare insieme a una Chiesa povera e fatta di poveri, una Chiesa tenace nella difesa dei diritti umani e del Creato, una Chiesa viva e capace di continuo cambiamento, una Chiesa giovane, non solo nell’età, ma anche nel cuore e nello spirito. Gabriel

 

sabato 27 agosto 2022

PARTECIPATE DELLA MIA GIOIA

 



Gabriel - missionario dell'Amazzonia.

 

Carissimi amici, vi scrivo da Ipiranga, domani riprenderemo il nostro viaggio di ritorno verso casa, passeremo ancora in due comunità per celebrare con fede la nostra vita, abbiamo alcuni bambini che aspettano per essere battezzati e alcune famiglie per chiedere un aiuto per aggiustare il tetto delle loro case. Il 30 saremo a casa e Burani potrà viaggiare per Manaus ed accogliere i sette giovani che rimarranno con noi fino al 20 settembre. In questo viaggio portiamo con noi due donne: Maniana, una consacrata e Virginnia, una giovane missionaria; la prima argentina e la seconda uruguaiana. Lungo il viaggio siamo riusciti a farle mangiare un pesce speciale, il "jaraquí", perché, come dice la nostra gente, "mangiando jaraquí, non vadano via di qui". Speriamo davvero che queste religiose missionarie della risurrezione scelgano la nostra parrocchia per iniziare la loro presenza in diocesi. Sentiamo davvero il bisogno di donne che possano condividere la quotidianità delle giovani mamme, delle ragazze e della vita di comunità, specialmente delle aldeie lungo il grande fiume. Affidiamo la nostra speranza al Signore!

Abbiamo incontrato scuole senza il professore, altre senza il materiale didattico, altre ancora senza la merenda del governo: scuole chiuse. Questo ci preoccupa, l'educazione, assieme alla salute, sono i diritti fondamentali alla vita, troppo spesso disattesi. Cercheremo di incontrare e dialogare con i responsabili della segreteria comunale. Una comunità era in lutto: Otto giorni fa un bambino di quattro anni è morto a causa della polmonite e anche del virus del covid che lo ha trovato fragile e indifeso. La tragedia è che il virus è stato portato in comunità dal papà del bimbo che, ora, non riesce a perdonarsi. Hanno anche letteralmente smontato la casa dove abitavano e la ricostruiranno in altro posto, per provare a iniziare una vita nuova. Così è la fede: non ci toglie la croce, ma ci permette di risorgere sempre a vita nuova. Nel viaggio di ritorno speriamo di poter incontrare la famiglia che si trova nel paese di Juí-Vila Alterosa, dove il bimbo è stato sepolto.

Nella comunità di Itu abbiamo potuto verificare la parabola del buon pastore. Nella casa del colombiano c'era solo Salomone, il figlio piú piccolo e la sorella maggiore. Tutti si trovavano sull'isola, sull'altra sponda del fiume perché una mucca, piuttosto magra e fragile che stava allattando il vitellino, era scomparsa. Abbiamo aspettato un po', preso un buonissimo succo di limone che ci ha ristorato dal caldo torrido di questi giorni, e, già pronti a ripartire, avvistiamo la famiglia di ritorno a casa. Hanno legato la canoa alla zattera nel porto e a testa bassa sono rientrati.

 " Padre, che bello vederti, purtroppo non abbiamo trovato la nostra mucca, dev'essere caduta nel fiume e la corrente deve averla trascinata... sai era molto magra e debilitata".

 La moglie del colombiano aveva anche perso il papà a inizio mese, così li invito alla Messa che avremmo celebrato nel primo pomeriggio, nella casa di donna Elena, che ha una figlia di 32 anni deficiente grave e un mucchio di nipoti che le figlie, non avendo marito, lasciano con lei. Mangiamo qualcosa e ci diamo appuntamento per la Messa. Si avvicina una imbarcazione di pescatori e avvisano di aver visto una mucca incagliata ai margini del fiume, alcune centinaia di metri più in basso. Il colombiano prende il fucile e, con tutta la famiglia, di canoa, parte... chissà che si possa recuperare la carne e venderla al mercato!



Noi partiamo per celebrare a casa di donna Elena. Non celebriamo l'eucaristia perché sono molti bambini e le missionarie li intrattengono colorando disegni del vangelo. Preghiamo il Padre Nostro e l'Ave Maria e ci prepariamo per riprendere il viaggio, alle cinque ci aspettano nella comunità di Mamuniá dove passeremo la notte. Mentre usciamo di casa vediamo arrivare il colombiano con tutta la famiglia, la moglie e cinque figli, il maggiore era dalla nonna per farle compagnia dopo la morte del marito. "Padre, abbiamo ritrovato la nostra mucca, era viva e senza ferite gravi, l'abbiamo caricata sulla canoa e ora è a casa sana e salva, vicino al suo vitellino. Siamo venuti per ringraziare il Signore.

Così mi risuonano le parole del Vangelo: il pastore buono chiamò i suoi vicini e disse loro: venite facciamo festa, perché ho ritrovato la mia pecora che si era perduta... Così é il cuore di Dio quando ci perdiamo nelle nostre fragilità!

Purtroppo abbiamo incontrato ancora due "draghe", proprio lungo il fiume... la febbre dell'oro continua a fare le sue vittime. Un giovane ritornato dal garimpo, insoddisfatto di tutto quello che ha visto, ci diceva che da Juí partono barche piene di ragazzine minorenni che vengono portate al garimpo, dove gli uomini rimangono per molto tempo senza ritornare a casa, e spesso le proprie famiglie sono conniventi. Chiediamo perdono a Dio per tutto il male di cui, ancora, l'essere umano é capace. La droga, la prostituzione infantile, il garimpo illegale, l'alcool ... continuano a mietere vittime tra i giovani e le popolazioni indigene, durante un governo federale che non fa niente se non favorire il disboscamento della foresta, l'inquinamento delle acque dolci e l'illegalità a favore delle grandi imprese. Davvero dobbiamo crescere in una coscienza politica che ci permetta di agire come cittadini responsabili.

Così, al termine delle nostre Messe, facciamo un poco di "propaganda elettorale" a favore di Lula e di quanti dovranno governare nei prossimi anni. Lasciamo anche alcuni foglietti con la foto e il numero dei candidati, per evitare che, spesso per ignoranza politica, molti si lascino comprare.



Oggi giochiamo con i bambini qui a Ipiranga, e questa sera celebriamo la vita, nella fede del Cristo risorto. Domani alle 6, prima che sorga il sole, saremo già in viaggio, lasciandoci aiutare e portare dalla corrente del fiume, ora che ritorniamo verso casa.

Un grande abbraccio a tutti e un arrivederci a presto. Torno con i giovani campisti per visitare la mia famiglia e incontrare tutti voi, se Dio lo vorrà! Grazie.

 

27 agosto 2022, memoria di Santa Monica, mamma di Sant"Agostino.

giovedì 25 agosto 2022

Nostra Signora di Guadalupe: lavori in corso

 






Lettera dalla missione in Amazzonia, n.20. (25 Agosto 2022)

La comunità di NS di Guadalupe è una delle comunità cittadine, ma un po’ fuori dal centro, e già tra la vegetazione della foresta; la visione della natura affascina. Abbiamo due comunità vicine, San Salvador e San Gabriel; san Gabriel è quasi interamente abitata da famiglie della religione della Croce-Cruzada ( un misto tra cattolicesimo, evangelismo, ebraismo ma che si propone come la ultima e definitiva rivelazione di Dio); in San Salvador  ci sono protestanti e cattolici e la comunità è stata dedicata a Maria, NS di Guadalupe. Una ventina di famiglie, con le case in mezzo agli alberi ma anche vicine al fiume e non distanti dal paese. Una comunità di etnia indigena Kokama; poche famiglie ma che partecipano con fedeltà: circa 25-30 persone alla messa domenicale e una decina il venerdì quando facciamo la Lectio Divina. Per passare dalla città alla comunità bisogna attraversare due ponti di legno che erano malmessi, con le assi rotte o mancanti e pericolo soprattutto per i bambini.

Dopo sollecitazioni al sindaco da parte di don Gabriele Carlotti, un ponte è stato riparato (anche se ha già ceduto in un punto); per l’altro il responsabile della comunità (cacique) ha tentato di parlare con il sindaco ma non è stato ricevuto. Così, abbiamo deciso di aiutare la comunità a ricostruirsi il ponte, pagando il legname che serviva. E così, in gruppo hanno ricostruito la parte rovinata e pericolosa del ponte.


Inoltre, da tempo si parlava di rinnovare la cappella, che in effetti aveva bisogno di una sistemazione: il tetto doveva essere rifatto in toto; le travi di legno erano tutte piene di buchi; la cappella era aperta, con la impossibilità di lasciare dentro qualcosa perché ci sono sempre molti ladri in giro!  La facciata non aveva proprio l’aspetto di una cappella; abbiamo inoltre visto che si poteva ampliare un poco, cioè allungare di 3 metri, costruire una piccola sacristia- deposito, e una copertura a lato della cappella per eventuali incontri.  Abbiamo parlato con la comunità e fatto un progetto tentando di limitare le spese, ma in corso di opera appaiono nuove necessità: si scopre che non era state fatte fondamenta, i muri cioè poggiavano semplicemente sulla terra. E dunque bisogna rifare tutto, scavare le fondamenta, mettere il cemento e rifare tutti i muri… di fatto la costruzione di una nuova chiesa al posto della vecchia, e di uno spazio per incontri. 



Un lavoro necessario è stata la rimozione della terra addossata al retro della cappella per spostarla di fianco e costruire lo spazio per incontri.
In realtà, non sono grandi cose, ma siamo sul limitare della foresta, e la ruspa, la bitumiera, i camion non possono arrivare qui. Il trasporto per attraversare i ponti viene fatto a mano o con un piccolo automezzo a 3 ruote; scavare e trasportare la terra: tutto a mano, col badile. Nelle prime settimane la necessità di molti operai per questi lavori di base per poi continuare con qualche muratore più esperto e molti aiutanti.  Abbiamo dato lavoro a 30 persone della comunità (in maggioranza giovani); la comunità vive di pesca e qualche coltivazione per la sopravvivenza della famiglia, non hanno soldi, così stiamo costruendo con le offerte che ci arrivano dall’Italia tramite il Centro Missionario.



Cerco di far fare alla comunità anche qualche giorno di lavoro volontario, anche se non è molto facile perché il servizio gratuito non è un dato spontaneo…. Ma insisto nel proporlo. Ora che i muri sono stati innalzati, aspettiamo che arrivino da Manaus, via nave, le parti di ferro e alluminio per la copertura.  Per ora abbiamo speso 20.000reais per materiali (mattoni, cemento, sabbia, legname.) e 25.000 per i muratori e operai vari, circa 9.500 euro.  Dovrà arrivare tutto il materiale per il tetto (altri 20.000 reais) e il lavoro per la pavimentazione, la facciata con la torre per la campana, intonacare, imbiancare, mettere le porte e finestre e pensare alla sistemazione interna della cappella. Ci teniamo a portare avanti questo lavoro per dare comunque un riferimento a questa comunità piccola ma tra le più fedeli nella nostra parrocchia.  Gli spazi per la vita della comunità, come ben sapete, sono importanti, per questo ci stiamo dedicando alla costruzione di varie cappelle, anche per essere un segno visibile nei vari quartieri, accanto a innumerevoli cappelle dei gruppi evangelici neo-pentecostali.



Un caro saluto riconoscente, don Gabriele Burani, Santo Antonio do Içá – Amazonia

Brasile, 25 agosto 2022 

Cammini di libertà e di liberazione

  "La Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". 
 Il Verbo continua a parlare nella storia e a servirsi di chi è ch...