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sabato 6 agosto 2022

CENTOQUARANTAQUATTROMILA

 



Pe. Gabriel - missionario dell'Amazzonia

 

Non sono i 44 gatti in fila per tre col resto di due..., ma è un numero che si trova nell'ultimo libro della bibbia: Apocalisse.

 Il 31 luglio 2022, dopo nove ore di navigazione, arriviamo alla comunità Tikuna di Vista Alegre. Naturalmente, purtroppo, la luce elettrica non funziona, basta un temporale, un albero caduto e il filo si rompe. Sono più i giorni che non funziona, delle notti illuminate. Così lasciamo per fare il nostro incontro sulla bibbia per il mattino seguente. Mentre salgo verso la chiesetta, che si trova ben in cima alla collina, osservo le case e su tutte le porte vedo scritto in grande: 144.000. Cominciamo il nostro incontro per conoscere meglio la bibbia e la Parola di Dio. Chiedo: "Che cosa avete scritto sulla vostra porta di casa?" Silenzio assoluto. Continuo: "Ho letto un numero importante, 144.000; perché lo avete scritto, cosa vuol dire?" Dopo alcuni minuti di imbarazzo, Santiago, il kassique, dice: "Vedi padre, è passato un pastore evangelico e ci ha detto che se vogliamo essere salvi, dobbiamo far parte di questi 144.000. Solo loro si salveranno". Dispiaciuto ribatto: "E voi gli avete creduto? É forse questo il Vangelo che ascoltiamo ogni domenica alla Celebrazione della Parola, e anche nella Messa che celebriamo insieme? Credete davvero che Dio sia così cattivo e ingiusto, che in mezzo a molti milioni di persone, vostri ancestrali, e a quanti verranno dopo di noi, Dio vorrà salvare solo 144.000? Questo non è il Dio che Gesù chiamava di papà! Questo non è il mio Dio, che ho conosciuto nel cammino della chiesa di Gesù! Poi riprendiamo la nostra condivisione sulla bibbia: "Il Creatore del mondo e dell'umanità ha scelto un popolo per portare la sua Parola di amore a tutti i popoli. Questo popolo, Israele, era formato da 12 tribù. Purtroppo questo popolo si è chiuso in se stesso e nel suo privilegio di essere il 'popolo di Dio', perdendo così la sua missione di portare la salvezza a tutti i popoli. Dio, che è padre e madre, non si arrende, e decide di camminare con noi, si fa uomo in Gesù di Nazareth e sceglie 12 apostoli, testimoni del suo amore, per portare la sua Parola fino agli estremi confini della terra, perché tutti accolgano la salvezza di Dio, attraverso della fede in Gesù, che ha vissuto un amore così grande da vincere la morte e aprire un nuovo cammino di vita piena".



Mentre racconto la storia dell'amore di Dio per l'Umanità, vedo brillare gli occhi dei più giovani che, ad ogni parola tradotta dal portoghese al tikuna, sembrano accogliere la Buona Notizia. Allora dico loro: "Vedete, 12 erano le tribù del popolo di d'Israele; 12 sono gli apostoli scelti da Gesù per formare il nuovo popolo di Dio; e 1.000 nella bibbia è un numero simbolico che indica la pienezza, il completamento di un tempo. Così: 12 x 12 x 1.000 = 144.000, che dice la volontà di Dio perché molti, tutti i chiamati alla vita, con fede in Gesù (l'agnello) possano entrare nella pienezza della vita, nell'amore grande di Dio".

Anche i più anziani, a questo punto, cominciano a guardarsi in faccia e dire, con cenni del capo, che sono d'accordo e hanno capito. Possiamo lasciare questo numero sulle porte delle nostre case, importante che non sia per escludere gli altri, ma per includere tutti coloro che accolgono con amore la vita.

Dal 31 luglio all'11 agosto passeremo in tutte le 28 comunità cattoliche lungo il fiume. Porteremo la bibbia a chi sa leggere e non ne ha una in casa. Cercheremo di capire come usare il libro della Parola di Dio e prendere l'impegno concreto di leggere tutto il Vangelo di Matteo, due capitoli alla settimana, nei mesi di settembre - ottobre - novembre, preparandoci così all'Avvento del nuovo anno. Settembre e ottobre saranno due mesi senza la celebrazione dell'eucaristia perché io sarò in visita alla mia famiglia in Italia, ma saranno una opportunità per conoscere il Signore, leggendo in Comunità il Vangelo dall'inizio alla fine. Matteo sarà il Vangelo del prossimo Anno Liturgico e ci accompagnerà nelle celebrazioni della Parola della domenica, per questo lo abbiamo scelto come inizio di approccio alla Parola di Dio contenuta nelle Scritture.



 Risalendo il fiume, arriviamo al 'paranà' (una specie di scorciatoia sul fiume) detto Gamboa, vicino al paese chiamato Juí e, senza voler credere a ciò che i nostri occhi vedevano, incontriamo una "draga" (imbarcazione per estrarre l'oro dal letto del fiume), dove c'è una spiaggia dovuta al diminuire dell'acqua in questa stagione. Di fianco alla draga, una barca grande di legno del paese di Juí. Così mi ricordo di aver già incontrato delle draghe anche all'entrata del 'Lago Grande' e dopo la comunità di São Pedro all'entrata di un altro lago. Anche nei pressi della comunità di São Lazaro hanno provato a garimpare, ma la gente della comunità lo ha impedito, grazie a Dio. Mi hanno raccontato, ma io non l'ho visto con i miei occhi, che vogliono entrare con draghe per garimpare nei ruscelli e nelle sorgenti dopo Juí fino alla comunità della vecchia Ipiranga, perché poi c'è il posto militare e non è possibile. Questa situazione è davvero preoccupante. Non bastasse il garimpo illegale nel fiume Puretê, affluente del fiume Içá, dove ci troviamo, ma in questo modo inquineranno l'acqua e provocheranno la morte dei pesci e della vita anche del grande fiume. "Villa Alterosa", nome originale di Juí, sta diventando il centro operativo dell'illegalità: là si costruiscono le draghe e di lá passa molta droga, specialmente cocaina proveniente dalla Colombia, sempre là viene venduto l'oro estratto illegalmente nel garimpo.

 La "rota" (cammino) del fiume Puretê, purtroppo è conosciuta come la "rota della cocaina". Certamente il garimpo e il traffico di droga sono strettamente legati. Tutto questo ci preoccupa e ci fa soffrire, pensando al futuro della nostra gente. Si illudono i giovani, portati a lavorare nel garimpo; giovani delle comunità che là conosceranno la violenza, la prostituzione e l'illegalità. Illusi con un guadagno facile, che non ha mai portato benessere a nessuno. La febbre dell'oro è una vera disgrazia per il popolo e i suoi figli. E mi chiedo: dove sono le autorità politiche del nostro Comune di Santo Antônio do Içá? Cosa fa la Polizia Federale presente nella nostra città? E l'esercito che dovrebbe difendere la vita di tutti? Nessuno s'importa e vigila in difesa dei nostri fiumi, del pesce e dei nostri popoli!?

 Da quattro anni ad oggi tutto è peggiorato, tutto è più difficile per chi dovrebbe difendere la foresta, i fiumi, la vita degli indigeni e le loro riserve territoriali... Tutto è stato disattivato e non c'è più nessun tipo di appoggio federale necessario per difendere la costituzione e il diritto alla vita. Il nostro Stato dell'Amazzonia è ormai l'ultima frontiera per salvaguardare l'esistenza e la dignità del vivere. Il nord dello Stato del Mato Grosso e più della metà dello Stato del Pará sono stati distrutti dall'agro-negozio della soia, dal latifondo per l'allevamento bovino, del garimpo dell'oro e dei diamanti e dalle grandi centrali idroelettriche che danneggiano il corso dei fiumi. La nostra Amazzonia deve essere difesa, oggi più che mai, perché i nostri figli hanno il diritto di vivere anche dopo la nostra generazione. Lavoro per tutti, casa per tutti, luce per tutti, salute per tutti, educazione e scuola per tutti e anche il giusto divertimento e sport per tutti! Speriamo davvero che il popolo e i politici, servitori del Bene Comune, ritornino ad una politica che difenda la creazione, a una giustizia che riconosce il diritto alla vita per tutti. Che il prossimo presidente, i senatori e i deputati, ma anche l'ultimo bambino nato nelle nostre aldeie, perché i genitori non hanno avuto la possibilità economica di raggiungere l'ospedale in città, che tutti si sentano impegnati per una nuova ecologia integrale del creato e dell'umanità. Buona festa della Trasfigurazione e che la nostra vita sia davvero trasformata per una fede impegnata.


IPIRANGA, 6 agosto 2022 - festa della Trasfigurazione del Signore.

sabato 25 dicembre 2021

Coerenza

 


 

Padre, è difficile quando la tua propria famiglia, tuo padre e tua madre, i tuoi fratelli si mettono contro...”

Sono nella comunità di Mamurià, siamo arrivati che era già notte dopo aver scaricato 36 casse per l’acqua piovana. Mangiamo pesce cotto al forno, farina di mandioca e peperoncino piccante. Poi prepariamo le amache e la notte ci accoglie cullandoci col movimento dell’acqua del fiume. Alle 7 del nuovo giorno l’animatore della comunità bussa al vetro della barca. “Entra Assis, gli dico, puoi entrare e far colazione con noi, caffè e banane cotte nell’acqua”. Lo vedo entrare con la testa bassa e gli occhi lucidi, gli chiedo se era successo qualcosa di grave. Lui mi risponde che ci sono problemi nella comunità e che i suoi propri familiari, il padre e i fratelli, si sono messi contro di lui. Lo invito a sedersi e a prendere un po’ di caffè: “Racconta, che ti ascolto con attenzione!” Lui comincia a parlare:



Vedi, padre, io quando ero giovane bevevo molto (oggi Assis ha 40 anni e 10 figli), un giorno ero in piedi in fondo alla cappella della comunità, piena di gente, i miei genitori, i vicini, i miei fratelli insegnanti e professori... io ero rimasto in fondo, sulla porta, perché sono solo un lavoratore, non ho studiato, pesco e faccio assi di legno per costruire case e canoe. Così mantengo e do da mangiare ai miei figli, mia moglie lavora in casa e con tanta gente non le rimane tempo per fare altro. Quel giorno fr. Gino chiese alla comunità se qualcuno era disposto a servire e prendersi la responsabilità di fare la celebrazione della Parola, come ministro, perché la comunità potesse celebrare il giorno del Signore. Nessuno alzò la mano, nessuno diede la sua disponibilità, tutti muti, guardandosi intorno. Allora fr. Gino chiese se poteva, lui, scegliere una persona per questo servizio alla comunità, come ministro della Parola. Tutti risposero di si, alleviando la tensione di quel momento. Così fr. Gino puntò il dito verso la porta e disse: “Quel giovane lì, in piedi sulla porta della chiesa”. Mi guardai intorno per vedere chi era, e fr. Gino, col suo sorriso di sempre disse: “Proprio tu, Assis, tu sei disposto a fare questo servizio importante per la tua comunità?” Io ancora non capivo cosa stava succedendo, ma risposi prontamente di sì: “Se posso aiutare, sono pronto a servire la mia comunità”. Quel giorno la mia vita è cambiata, ho smesso di bere e ho cominciato a conoscere la Parola di Dio, sono ormai 14 anni che ogni domenica celebriamo insieme il giorno del Signore, nella luce del Risorto che sempre ci accompagna. Quattordici anni che sono cresciuto, e sto crescendo, alla scuola del Vangelo”. Bene, gli dico, questo è molto bello e importante. Grazie a Dio per tutto! Assis prende ancora la parola e mi racconta: “Vedi, padre, la mia vita è cambiata e io ho imparato che dobbiamo obbedire alla Parola di Dio. Come sempre ci insegni tu, leggendo il Vangelo. Gesù ha portato a compimento e superato tutto l’Antico Testamento: non basta più voler bene solo ai tuoi, alla tua famiglia o alla tua comunità; dobbiamo amare tutti e servire i fratelli riconoscendo il Signore risorto in ogni povero e bisognoso”.

È vero, gli dico, per questo abbiamo bisogno di alimentarci con la parola del Vangelo di Gesù e nutrirci con il suo corpo e il suo sangue: la Parola e l’Eucaristia non sono un premio per quelli che lo meritano, ma sono un dono gratuito per tutti coloro che ne hanno bisogno, specialmente i deboli e i fragili nella fede, anche per i peccatori, perché abbiano la forza di rialzarsi.



Assis mi interrompe: “Vedi padre, la politica è una ‘brutta bestia’, come è vissuta qui da noi. Chi vince umilia i perdenti e si mostra come più forte, pur sapendo che è una ruota che gira. La mia famiglia ha perso la politica per 12 anni, ma l’anno scorso abbiamo appoggiato il candidato a sindaco che ha vinto, così tre dei miei fratelli hanno avuto un lavoro come insegnanti e responsabili della salute pubblica. Come comunità abbiamo ricevuto una lancia (piccola imbarcazione) con un motore di 40 cv che deve servire per portare i malati al posto medico più vicino. Io sono stato scelto come autista ufficiale per guidare la lancia sul fiume, non guadagno niente, ma ho accettato per aiutare chi avesse bisogno. La Segreteria della Salute non aiuta in niente, non dà la benzina per i viaggi perché la lancia è stata un dono del deputato che appoggiava il candidato a sindaco. Ora accade che persone di altre comunità a noi vicine, mi cercano e mi chiedono, quando hanno dei malati, di portarli in città o al posto di salute più vicino, a tre ore di lancia, perché se andassero di canoa impiegherebbero sei o sete ore. Ho sempre risposto di sì ad ogni richiesta, anche per portare persone dai medici tradizionali che allontanano gli spiriti maligni. Ho sempre e solo chiesto la benzina necessaria, perché non ne abbiamo”.

Sorrido e gli dico: “Hai fatto bene, Assis, hai offerto il tuo tempo e il tuo servizio per chi aveva bisogno”.



Lui continua: “Si, padre, ma i miei fratelli e anche i miei genitori dicono che è sbagliato quello che faccio, perché la gente ne approfitta e la lancia è stata data alla nostra comunità che ha vinto la politica, gli altri, le tre comunità vicine, hanno appoggiato l’avversario che ha perso, quindi ora devono arrangiarsi.  E questo fa male al mio cuore, e ho detto la verità alla mia famiglia. Ho detto loro che il Vangelo di Gesù non dice così, ma chiede di amare e servire tutti, perdonare i nemici e pregare per i persecutori. E queste persone che abitano nelle comunità vicine non sono nemici né persecutori, ma sono nostri compagni di vita, nostri fratelli. O viviamo il Vangelo, oppure non serve dire che abbiamo fede e neanche celebrare il giorno del Signore. Ho dovuto dire la verità: che il loro cuore è lontano da Dio. E ho restituito a loro la chiave del motore della lancia, che ora rimane qui ferma e non serve a niente, se non a mostrare che noi siamo i vincitori, come fosse un trofeo di guerra. Questo mi fa male e mi umilia: che la mia propria famiglia mi sia contro e non veda il suo grande errore rispetto alla fede che professiamo. Mio fratello non parla più con me, mio padre non mi dà il segno della pace nelle celebrazioni e mia madre dice che ho sbagliato a dire la ‘mia’ verità”.

Cerco di rincuorarlo un po’, di mostrargli che le incomprensioni sono sempre presenti dove ci sono persone. Gli do un consiglio: formare una equipe che sia responsabile per la lancia e che le prossime decisioni vengano prese insieme per evitare che uno solo si senta o la faccia da padrone. Mi riprometto di parlarne dopo la Messa con la comunità e di proporre che si decidano alcuni criteri oggettivi che aiutino a dare risposte giuste e imparziali, criteri che valgano per tutti, per i membri della comunità e anche per i vicini. Poi guardo gli occhi di Assis, vedo che i suoi occhi sono lucidi e pieni di lacrime, lo abbraccio forte e gli dico: “Il Vangelo ce lo ha detto: Avrete cento volte tanto, insieme a persecuzioni. E ancora: Si divideranno padre contro figlio e figlia contro madre, fratello contro fratello, per causa del mio nome. Coraggio Assis, hai dato la tua bela testimonianza, anche dov’è più difficile, nella tua comunità e nella tua propria famiglia. Abbi fede, il Signore ce lo ha promesso: Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Coraggio Assis, non sei solo e la tua perseveranza salverà anche i tuoi fratelli; sappi che la vita di comunità a volte è difficile, ma sempre apre nuove prospettive, nuove possibilità per tutti, se perseveriamo nel bene e cerchiamo di essere coerenti con la fede che professiamo, procurando sempre ciò che ci unisce”.



 Nella Messa ascoltiamo il Vangelo del giorno, Lc 7,19-23, anche Giovanni il Battista fa fatica ad accettare l’agire di Gesù, che supera la giustizia retributiva, che premia i buoni e castiga i cattivi. Gesù usa di misericordia con tutti. Questo nuovo agire di Gesù purifica i cuori, aiuta a recuperare una visione fraterna e umana, permette di capire e di ascoltare la sofferenza dei fratelli. Anche lui, Giovanni il Battista, deve convertire la sua visione religiosa e aprirsi alla fede, senza scandalizzarsi della gratuità dell’amore di Dio. Con umiltà e fermezza rivolgo lo sguardo verso Assis e i suoi fratelli, verso il padre e la madre che si scandalizzavano per la bontà del proprio figlio e dico loro: “Noi, noi dobbiamo essere questa Buona Notizia annunciata ai poveri! I nostri gesti di gratuità e apertura verso tutti, sono la fonte della nostra gioia. Solo così potremo cambiare e rinnovare la nostra storia politica e sociale, affinché non ci siano più vincitori e vinti, ma solo fratelli e sorelle”.

 

  Gabriel Carlotti, missionario in Amazzonia.

 

Santo Antonio do Içá, 25 dicembre 2021 – Natale del Signore

 

 

P.S.

Ormai sono passati più di due anni da quando siamo partiti per l’Amazzonia. Un tempo che è passato in fretta, carico di molte emozioni e storie di vita, di sofferenza, di fede e di speranza. In queste ormai più di 35 lettere, se consideriamo anche quelle scritte da Gabriele Burani, mio compagno di viaggio (si potrebbe farne un libro, ma non è questo l’intento) abbiamo cercato di condividere, raccontando, una esperienza che non è solo nostra, ma anche vostra, perchè siamo qui anche a nome vostro, della vostra fede, della nostra Chiesa reggiano-guastallese. Queste lettere sono state scritte ‘di getto’, senza molta riflessione, almeno da parte mia, ma con l’intento di raccontare una esperienza di vita, di condividere quello che anch’io stavo scoprendo. Se qualcuno non le avesse tutte, può richiederle al Centro Missionario Diocesano, a Roberto Soncini (roberto@cmdre.it o com um messaggio al +39 3200714445). Ora sento la necessità di fermarmi a riflettere e vorrei farlo insieme a voi. Per questo ho pensato di non scrivere più per alcuni mesi, ma di rileggere questi racconti, che neppure io ricordo nei particolari, e lasciarli risuonare dentro di me. Vorrei cogliere alcune luci che possano illuminare l’esperienza di una vita di fede. Vi propongo di farlo insieme:

a)  Rileggendo una lettera con calma e alla luce dello Spirito Santo, con atteggiamento di preghiera

b) Chiedendoci quale fede sostiene la vita di questa gente

c)  Scoprendo quali intuizioni e suggerimenti, quali esperienze possono aiutarci a riscoprire la bellezza del Vangelo, la sua radicalità gioiosa; come vivere la fraternità nelle nostre Parrocchie e Unità Pastorali.

Potremmo, metodologicamente, rileggere i racconti dalla Missione e, quando una parola o una frase o una esperienza attira la nostra attenzione e ci fa pensare (ricordate il card. Martini che diceva: L’Umanità si divide in due gruppi, quelli che pensano e coloro che non pensano...), allora possiamo annotare la nostra riflessione e metterla come “nota” in calce alla lettera. Poi nel nostro gruppo “in barca con...” possiamo postare i nostri pensieri per condividerli. Per coloro che non sono di Castelnovo Sotto e/o non appartengono al grupo, potete inviare le vostre riflessioni direttamente a me (E-mail: lele6387@gmail.com ; WhatzApp: 005597984196606). Credo che così potremo arricchirci gli uni gli altri e ascoltare lo Spirito del Signore che parla ancora al nostro tempo e alla nostra Umanità. Anche questo potrà essere un passo per ‘fare sinodo’ e rinnovare la nostra Chiesa.

Buon cammino, Buon Natale e Felice Anno Nuovo. Grazie di tutto quello che siete e che fate per la vita dei fratelli tutti.   Gabriel

martedì 16 novembre 2021

Vita di pescatori ...

 



  Gabriel Carlotti, missionario in Amazzonia.

Dopo due mesi e mezzo costretti a rimanere in città, a Santo Antonio do Içá, finalmente il 2 novembre, giorno festivo per la ricorrenza di tutti i morti, anniversario di due anni del nostro arrivo in questa parrocchia di Santo Antonio di Lisbona, finalmente ripartiamo. Segno bello di risurrezione: la vita è annuncio e missione; è ripartire sempre per andare verso l’altro, i fratelli e le sorelle con cui condividiamo il cammino e nei quali incontriamo il Mistero del ‘Totalmente Altro’. Così intimo a noi stessi da lasciarsi riconoscere nella bellezza di ogni incontro che ha sapore di umanità.

Ripartiamo perché il motore della barca ha ripreso a funzionare anche grazie alla solidarietà di persone e comunità reggiane che condividono e sostengono il cammino della missione. Visiteremo e celebreremo la vita insieme a 28 comunità: 25 lungo il fiume Içá e 3 sulle sponde del fiume Solimões, più conosciuto come Rio delle Amazzoni.

Già di ritorno dal confine colombiano, dopo aver celebrato nella comunità di Ipiranga, ci fermiamo a “Itu”. Mamma Eléna ci aspetta con le sue due figlie e i suoi molti bambini. Il marito è sdraiato sull’amaca perché sono alcuni giorni che ha la febbre molto alta, forse malaria, con aggravanti di vomito e dissenteria. Gli do alcune medicine per abbassare la temperatura e controllare vomito e diarrea; se questa notte non migliorerà domani dovrà affrontare un viaggio di quattro ore di canoa, probabilmente sotto la pioggia perché il cielo è cupo, per raggiungere il posto medico più vicino, a Villa Alterosa, chiamata anche Juí, dove riposa Irmão José fondatore della Chiesa della Croce, ultima chiamata per accedere al Cielo.



 Molte comunità lungo il fiume hanno lasciato la Chiesa Cattolica per seguire questo movimento fondamentalista che annuncia la fine imminente. Le necessità della vita così difficile e spesso abbandonata da tutti, tranne che da Dio, e la mancanza di catechesi, conoscenza ed esperienza di Chiesa, ha portato molti a seguire questo cammino segnato dalla testimonianza austera di Irmão José ormai sepolto nel paese da lui fondato, Villa Alterosa, già santo e in cielo secondo la fede di tante persone. Le Chiese Evangeliche e la Chiesa Cattolica sarebbero i due bracci orizzontali della croce che portano i fedeli alla vera Chiesa della Croce, ultimo cammino offerto per il paradiso.



Arriviamo nella comunità di Itu sotto una pioggia battente, riusciamo ad entrare con la barca tra un grande albero caduto sul fiume e una grande canoa carica di molto pesce. É un porto sicuro perché qui passeremo la notte. In questo periodo l’acqua è bassa e per raggiungere la casa dobbiamo affrontare la ‘scalata’ a una montagna di fango; i bambini si divertono a scivolare, noi un po’ meno, e aiutati dai cespugli di erba, piano piano, riusciamo a salire. A scendere, dicono, tutti i santi aiutano, e lo speriamo davvero! Come sempre qui la Messa è molto bella, la presenza di tanti bimbi e alcuni giovani venuti di canoa dal vicinato, rendono la celebrazione gioiosa, anche se nessuno conosce le risposte convenzionali della liturgia e i canti sono sostenuti solo da mamma Eléna e dalle sue due figlie. Per l’occasione anche una scimmietta, due cagnolini e alcuni pulcini rallegrano la preghiera, sempre molto partecipata col cuore e la vita. I bambini hanno adocchiato subito le caramelle sulla mensa e aspettano con ansia il canto finale. La scimmietta, ‘gabigou’ è il suo nome, prova ad anticipare, ma viene prontamente redarguita e si conforma.



Dopo la celebrazione salutiamo e scendiamo nella barca, stanno rientrando i pescatori, 2...3...4... canoe con Pirarucu, Pirapitinga, Surubì, Tucunaré...,  frutto della pesca notturna nei laghi che impreziosiscono il corso del fiume con la loro abbondanza di pesce. La pesca fuori dai laghi è più difficile e meno abbondante. Cinque bambini corrono all’incontro del papà, ancora molto giovane, ma già vedovo, e dei tre fratelli maggiori, adolescenti dai 16 ai 21 anni. È la gioia dell’incontro, che lascia subito il tempo al lavoro: bisogna pulire il pesce e passarlo nel sale perché possa resistere fino all’arrivo in città, dove sarà venduto. Tutti si danno da fare, i piccoli corrono a prendere i sacchetti di sale, i giovani, come esperti chirurghi, squartano i pesci e li preparano lavandoli accuratamente, il papà con mano veloce ed esperta passa il sale per garantire che la carne resista al tempo e al calore del giorno. Se ci fosse del ghiaccio tutto sarebbe più semplice, ma dove manca l’energia elettrica, questo rimane un sogno impossibile. Il sole è già tramontato, ma sulla barca a lato c’è ancora un grande movimento. Tutto il pesce è coperto con grandi teli plastici, bisogna pulire la barca e lasciarla pronta per il domani che sarà ancora un giorno di pesca. Tutti si lavano al fiume e lavano anche pantaloncini e magliette, indossando indumenti asciutti per la notte.



Con le torce sulla fronte li vedo mangiare qualcosa, pesce fritto con farina di mandioca e riso che mamma Eléna e le sue figlie hanno preparato con cura. Poi tutto tace e anche noi apriamo le nostre amache e ci prepariamo per la notte. Sono le 9 di sera. Mi chiedo come dormiranno visto che zanzare e papatacci nella notte sono più intraprendenti... Poi cullati dalle onde del fiume ci addormentiamo. Penso a Gesù che ha chiamato dei pescatori per essere i primi discepoli di una nuova avventura.

Mi sveglio alle 4:30, è ancora notte, il sole sorge puntuale alle 6 del mattino tra il tropico e l’equatore. Nella barca accanto c’è già gran movimento, i giovani preparano il materiale per la pesca e il papà controlla i piccoli motori delle canoe. I bambini dormono ancora tra un pesce salato e il caffè che mamma Eléna e le sue figlie hanno portato agli uomini. Tutto è pronto e si riparte per un nuovo giorno di pesca, il cielo è cupo, carico di pioggia, ma bisogna andare, i pesci aspettano e scivolando sull’acqua del fiume, riparati da un telo dall’acqua del cielo, questi uomini gettano ancora le reti. E mi ricordo le parole del Maestro: “Venite, vi farò pescatori di uomini”. Rimango ancora sull’amaca, cullata dalle onde, ormai non posso più dormire pensando a quei ragazzi gettando le reti, con fiducia che il duro lavoro porterà abbondanza di vita. Così è l’essere pescatori di uomini, e tutti lo siamo per la speranza del nostro battesimo, per la promessa della fede. Gettare la rete sempre, nei tempi di bonaccia e in quelli di tempesta. Lavorare tutti uniti, dal più piccolo al più grande, senza differenze, ma nella gioia di poter fare la nostra parte con tenacia e disponibilità. Senza stancarsi e senza lamentarsi, facendo nostre le parole di Pietro, il primo dei pescatori: “Signore, abbiamo pescato tutta la notte e non abbiamo preso niente, ma sulla tua Parla getterò la rete”.



 

Santo Antonio do Içá, 15 novembre 2021 – festa della proclamazione della Repubblica brasiliana

 

sabato 23 ottobre 2021

“ Io ho un sogno... “

 



 Padre Gabriele Carlotti, missionario in Amazzonia

       Carissimi amici, non sempre le buone intenzioni sono realizzabili, e bisogna accettare il limite della realtà. Vorremmo seguire i nostri piani e vedere realizzati i nostri progetti, ma poi improvvisamente siamo costretti alla pazienza e ai tempi lunghi che non avevamo preventivato. Cerco di spiegarmi: uno degli obiettivi del nostro impegno pastorale è la “continuità”, visitare e celebrare vita e fede tutti i mesi con le Comunità per educarle a una fede che è vissuta nella quotidianità e non solo nei momenti straordinari. Parlo della vita di Comunità, perché la fede che è fiducia e affidamento a Dio, questa è il pane quotidiano del nostro popolo. Più difficile è accogliere l’invito del Vangelo a camminare insieme, ma è proprio questa la peculiarità della fede: “nessuno vive per se stesso e nessuno muore per se stesso”.

Così per un anno abbiamo percorso il fiume in lungo e in largo cerando di accompagnare anche i piccoli passi, di sostenere e incoraggiare la vita comunitaria. Avevamo anche programmato per fine novembre una grande Assemblea di tutte le Comunità per una condivisione che aiutasse un cammino sinodale anche fra le proprie Comunità, un “camminare insieme”.

Poi... si rompe il motore della barca, e quando aggiustiamo una parte, se ne rompe un’altra. Ieri abbiamo montato il pezzo nuovo del motore, credendo di aver risolto il problema, e già pensavo ad oggi visitando la Comunità di Nazaré sul Rio Solimões, che sta in festa e domenica ripartire proprio dalla Comunità sul lago Saquera che pure ha come patrona Nossa Senhora de Nazaré. Ma al momento di collegare il motore all’albero di trasmissione... c’è uno scarto di 3 centimetri, così ora si dovrà rifare tutta la base per allineare la macchina... e ci vorrà tempo! Un grande sospiro e la dura conclusione: ci vorrà ancora una settimana di lavoro, tutto rimandato alla prossima. Così penso che sono già due mesi e mezzo che siamo bloccati e costretti a rimandare i nostri viaggi missionari, i nostri animatori vengono in città, li incontro lungo le strade e mi sento ripetere sempre lo stesso ritornello: “padre, quando viene a trovarci?” “Spero presto, uno di questi giorni arrivo...”, rispondo.



E mi chiedo... è solo una coincidenza o è un segno che devo imparare a leggere e capire? Mi viene alla mente il ricordo di una animatrice analfabeta della Bahia, una mamma di famiglia che aveva otto figli ed era stata abbandonata dal marito, forse la migliore delle nostre animatrici di Comunità, Antonia. Lei a volte fingeva di non stare bene affinché la Comunità imparasse a camminare con le proprie gambe, magnifica! Così anch’io spero di avere questa consolazione: incontrare le Comunità che stanno camminando con le proprie gambe, un po’ costrette dalla nostra forzata assenza di questi giorni. Forse non tutte, ma per alcune nutro una grande speranza, e sono ansioso di poter rivedere il volto di tante persone e ascoltare la loro storia di vita.



Il 12 ottobre sono stato nella Comunità di São Vicente, abbiamo inaugurato la chiesetta dedicata a San Lazzaro e a Nossa Senhora Aparecida, la patrona del Brasile, che si festeggia proprio il giorno 12, e qui è festività anche civile. Sono andato con la canoa e il piccolo motore di 15cv che abbiamo comprato, quattro ore di viaggio di cui due sotto una pioggia battente. Siamo arrivati bagnati come pulcini. Tolti i vestiti, strizzati ben bene e rimessi per asciugarli con il calore del corpo... normale per la nostra gente! Verso le 10 cominciano ad arrivare alcuni giovani portando grandi pentole con piatti, bicchieri, posate, bibite e molto cibo: è festa e c’è da mangiare con abbondanza e per tutti. Alle 11 celebriamo la Messa, ben preparata con i canti e le letture, e alla fine dico loro: “chi non fa la comunione non potrà neppure mangiare dopo...”. Tutti, con molta devozione, si avvicinano per ricevere la vita donata del Signore Gesù, il suo corpo e il suo sangue; donne, uomini, bambini, giovani, sposati o accompagnati, índios e caboclos, ragazze madri e signore ormai vedove, chi beve un po’ e chi a volte fa uso di droga e fuma, chi è onesto e chi ha già rubato o tradito... Tutti chiamati alle nozze dell’Agnello!

 C’è un senso di grande pace e la voglia di riconoscersi, forse solo per un momento, tutti fratelli e sorelle, amati e desiderosi di amare. Un grande silenzio, dopo la comunione, per ringraziare col cuore questo momento di grazia!



“Io ho un sogno...” di vedere un giorno Comunità che si vogliono bene, libere dal giudizio sempre aggressivo, capaci di compassione e animate da una speranza viva, che non viene meno neppure nei momenti più difficili della vita. Comunità che trovino, nell’unione, la forza di resistere al male e di lottare per i propri diritti e una dignità di tutti e per tutti. Senza differenze tra uomini e donne, tra giovani e anziani, tra ricchi e poveri, tra nativi e immigrati. Comunità che celebrano il Giorno del Signore, che vivono la risurrezione, che spezzano il pane e bevono all’unico calice: che nella condivisione del cibo e della mensa comune sanno riconoscere il Signore, che è venuto per servire, perché tutti abbiano vita e vita piena. Comunità che non aspettano l’arrivo del prete, ma che sono gioiose e consapevoli che per la fede del Battesimo possono e devono rendere culto al Dio della Vita, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dove il più grande è il servo di tutti. Gettiamo via il mantello, le sicurezze che ci mantengono a mendicare sulle strade della vita, facciamo un salto di libertà che ci permetta di vedere bene e di essere discepoli del Signore della vita. BUONA GIORNATA MISSIONARIA! Gabriel, con i fratelli e sorelle dell’Amazzonia.     

 

sabato 28 agosto 2021

“Ho desiderato ardentemente ......”



 

Gabriel Carlotti, missionario in Amazzonia. Gabriel Carlotti, missionario in Amazzonia.

 

Purtroppo il secondo viaggio di agosto non è stato possibile. Nel primo viaggio di questo mese il motore si era fermato e Burani era rientrato a traino della grande canoa dei militari di Ipiranga. Per fortuna, hanno visto la barca del prete in panne e si sono fermati per aiutare, così hanno legato la nostra barca alla loro e hanno riportato a casa Moises, Moacir e don Gabri. Subito ho chiamato il meccanico che ha smontato letteralmente il motore, scoprendo che un pezzo interno che permette la circolazione dell’olio si era crepato non compiendo più la sua funzione essenziale. Per avere il pezzo di ricambio ci sono voluti alcuni giorni perché viene di barca da Manaus, e non tutti i giorni c’è il trasporto fluviale, poi, dulcis in fundo, sollevando a braccia il motore si sono rotti i supporti di alluminio, così ci sono voluti altri giorni per saldare il tutto e lasciare pronta la base di appoggio. Forse lunedì riusciremo a rimontare il motore che poi dovrà essere allineato all’albero di trasmissione... insomma speriamo che ai primi di settembre si possa ripartire! Così questo 26° viaggio non si è mai realizzato e le nostre Comunità ci hanno aspettato inutilmente. Meno male che questo popolo è paziente e ci insegna ad aver pazienza.

 


   Pensavo alle difficoltà, allo sforzo e alla buona volontà, ma anche all’impossibilità di questo viaggio, e al desiderio frustrato di incontrare le Comunità. Alcuni sono passati qui in città e sono venuti a cercarmi:

   “ti abbiamo aspettato..., poi abbiamo pensato sia successo qualcosa... va tutto bene?”; altri sono passati per confermare il prossimo incontro: “allora ci vediamo in settembre, vieni presto che mangiamo qualcosa insieme..., abbiamo invitato i vicini per inaugurare la nostra chiesetta che finalmente è finita, l’abbiamo desiderata tanto e ci siamo impegnati, è proprio bella e siamo contenti!”.

 Così anche un viaggio che non si è mai realizzato può portare frutti di comunione e di relazione attesi e desiderati.

La realtà rimane una grande sfida, qui piano piano si riprendono le varie attività, ma le chiese sono ancora poco frequentate, la pandemia ha interrotto bruscamente una abitudine; ma anche lì da voi mi sembra che non ci sia proprio molto entusiasmo nel riprendere la vita di comunità! Allora pensavo... anche provocato dal Vangelo di questa domenica che smaschera l’ipocrisia dell’apparenza e di una superficialità che ci illude e ci priva dell’essenziale e della gioia. Pensavo a come l’ipocrisia di una liturgia formale e di relazioni molto superficiali abbiano addomesticato il Vangelo, abbiano fatto dell’annuncio straordinario della Risurrezione di Colui che ha creduto nell’amore di una vita offerta e donata, un sistema religioso chiuso in se stesso, spesso giudicante e scostante, certamente non attraente né desiderabile. Dio ci salvi da “questa” chiesa!



Al contrario, la Comunità rimane una opportunità di relazioni semplici e vere, senza giudicare nessuno perché il nostro giudice è il Signore, ma luogo per vivere la fiducia fraterna e l’abbandono fiducioso nel Signore risorto. Prima che le persone possano dire: “guardate come ci amano”, devono poter constatare: “guardate come si amano”. Non siamo cristiani per fare delle cose o obbedire a dei comandamenti, piuttosto perché crediamo e abbiamo incontrato un cammino per vivere relazioni positive e profondamente umane, perché inspirate a Colui che così ci ha voluto quando ci ha pensati e creati. Per non vivere secondo la “carne”, nell’egocentrismo e nell’egoismo, ma secondo lo “spirito”, nel servizio amoroso e nella gratuità del dono. È la qualità delle relazioni che sta in gioco. E non possiamo nasconderci che molto delle nostre relazioni dipende dalla nostra volontà, sostenuta da una scelta libera e consapevole. La vita che noi scegliamo di vivere è il frutto di ciò in cui crediamo col cuore e non solo con la ragione. È per la fede nella croce e nella risurrezione di Gesù che siamo nuove creature!

    Credo allora che “questa” chiesa sia davvero una possibilità di gioia, perché è fondata sulla fede e non solo sulle nostre capacità. Ma bisogna crederci davvero! Il frutto della libertà della fede è poi l’amore fraterno che fugge ogni ipocrisia e formalismo. Questa chiesa sarà bella e attraente e per questo missionaria, capace di annunciare la gioia e offrire un cammino di vita e di fraternità.




Benedetta pandemia che ha distrutto e fatto crollare i nostri castelli ormai vuoti e spesso diroccati, ora siamo invitati ad abitare sotto le tende dell’insicurezza e a trovare nelle mani e nel cuore dell’altro quella fiducia che ci aiuterà nel cammino di una vita alternativa, lieta di aver scelto la bellezza della sobrietà, e per questo attraente. “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli”.

 Così sarà la Chiesa di domani!

Santo Antonio do Iça, 28 agosto 2021 – memoria di Santo Agostino

mercoledì 21 luglio 2021

Un passo nuovo di ritorno alle origini ...


 


Gabriele Carlotti – missionario diocesano in Amazzonia

 

 

Su tredici Comunità che abbiamo incontrato, solo in 6 ho potuto celebrare l’Eucaristia, il 50% sembrerebbe un buon risultato, ma se penso alle ore di viaggio, in questi nove giorni, allora mi chiedo il perché... e cosa stia mancando... quale passo sarebbe importante per rispondere a questa realtà? É già passato un anno da quando è arrivata la nostra barca e il prossimo viaggio del 24 luglio sarà il ventiquattresimo. Credo che nessuno prima di noi sia stato così presente lungo il fiume e nelle piccole comunità. Anche la nostra gente è un po’ spiazzata, non abituata a vedere il prete così spesso. Prima si lamentavano dell’assenza, ma ora sembra quasi che sia troppo, e manca l’attesa, il desiderio. Quando arrivo spesso mi sento dire: “C’è la messa oggi, si può battezzare? Perché il frate quando veniva ci avvisava risalendo il fiume e sapevamo il giorno in cui si fermava, quando scendeva”. E ogni volta li guardo sbigottito e sorridendo: “Ma, è un anno che vengo tutti i mesi e sempre lo stesso giorno, così sapete che quel giorno del mese il padre arriva, lo sapete un mese prima, e vi ho lasciato anche un foglio con la data e l’orario...” “Hai ragione, ma ci siamo dimenticati, chissà dove è finito il foglio...”. Così ogni volta mi rendo conto che il tempo è relativo e il calendario non esiste, se non per il giorno in cui si va in città a ritirare i soldi della pensione o degli aiuti del governo alle famiglie, giorno sacrosanto! Già è successo, e più di una volta, di arrivare in una comunità e non trovare nessuno, o solo una famiglia. “Ma dove sono andati tutti?” - “Sono scesi oggi in città per la pensione e la borsa-famiglia” - “ma sapevano che oggi c’era la messa della comunità, potevano andare domani... ho impiegato sette ore per arrivare in tempo!” - “ha ragione, padre, ma.... se vuole celebrare, noi ci siamo”. Così mi rendo conto che la vita di preghiera come momento comunitario è ancora un sogno. Sono poche le comunità che si riuniscono alla domenica per pregare e ascoltare insieme, condividere la Parola. In questo i nostri fratelli evangelici sono migliori e più fedeli al culto della loro chiesa! Mi rendo conto che il cammino è ancora lungo. Tutto questo non mette in dubbio la Fede personale, non il contenuto che è vicino allo zero, ma la fiducia in Dio e nella sua presenza e provvidenza. In questa materia le nuove generazioni sono molto più deboli degli anziani, questo ci fa pensare: come aiutarli?



Anche nei popoli indigeni, dove tutto è comune, questo aspetto della religiosità è sempre più segnato dall’individualismo, frutto prediletto di un certo sistema economico che ormai è davvero globalizzato. In almeno cinque comunità erano presenti quasi solo bambini, una ventina, e alcune mamme, così, prima della merenda, abbiamo preso spunto dal Vangelo e conversato sull’essere parte della famiglia di Gesù, suoi fratelli, sorelle e madre. E ci siamo chiesti dove sia, come chiamarlo nel bisogno, dove cercarlo... “Dì al mio popolo che non c’è bisogno che mi cerchino e mi chiamino: io sono colui che è sempre presente, io sarò lì al loro fianco, ho visto l’umiliazione del mio popolo, ho udito il loro lamento e sono venuto per liberarli... e mando te – questo è il mio nome”.  Così Mosè ci indica la strada, nell’andare incontro ai fratelli, nel fare con loro un cammino di liberazione e di libertà, incontreremo Dio, ci renderemo conto della sua presenza fedele. Così, un po’ improvvisato, con alcuni canti conosciuti, abbiamo vissuto un momento di catechesi che ci ha coinvolti e ha provocato interrogativi, risvegliando il desiderio di una vita fraterna perché amata e desiderata dal Signore. Poi abbiamo fatto merenda con i biscotti che avevamo portato, ed è stata una festa. I bambini riescono sempre a valorizzare la presenza e sono i primi ad accoglierci e gli ultimi a lasciarci andare. Certo Gesù ce lo aveva consigliato: “diventate come i bambini”. E aveva ragione, bambini non si nasce, ma si diventa. Forse questo voleva dirci quando ci ha chiesto di “rinascere dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito”.



Quest’anno ci eravamo prefissati di celebrare tutti i mesi in tutte le comunità, per iniziare, aiutare e sostenere una vita fraterna. Qualcosa si è mosso: sette comunità celebrano la Parola alla domenica, due hanno anche la condivisione del pane eucaristico e in otto è stata costruita o ristrutturata la chiesetta, segno e luogo della Comunità. Ma non basta, è urgente evangelizzare! Così, per il prossimo anno, iniziando ad agosto, pensiamo di preparare una catechesi mensile, iniziare i nostri incontri comunitari attorno a un tema e alla Parola, in agosto pensavamo di parlare di Maria della sua figura di donna e giovane di fede, della sua libertà e della sua fiducia che la fa rischiare, del suo farsi discepola del proprio Figlio, visto che c’è la festa dell’Assunta e agosto è il mese vocazionale in tutto il Brasile. Poi sceglieremo altri temi: settembre la Parola, qui è il mese della bibbia, che il papa ha proposto per tutta la Chiesa; ottobre è il mese missionario e potremo approfondire il nostro essere discepoli-missionari, la missione come vita della Chiesa. Nelle comunità dove è possibile continueremo, dopo la catechesi, con l’offertorio e la parte eucaristica della messa; in altre ci limiteremo alla preghiera del Padre Nostro, dell’Ave Maria e della pace, condividendo i biscotti o altro che a volte le persone ci offrono. Evangelizzare mantenendo forte il legame Fede-Vita per riaccendere il desiderio di una vita fraterna. A questo mirano anche i segni di condivisione presenti, come il doposcuola in chiesa a Ipiranga, la distribuzione delle casse per l’acqua piovana, la denuncia dell’estrazione illegale dell’oro e il conseguente inquinamento del fiume, come pure la distribuzione di generi alimentari nelle situazioni familiari più difficili.   



Così era stato per il Vaticano II°: ritornare alle origini! Alla Parola per l’evangelizzazione dei poveri. Non dare più per scontata la tradizione cristiana, la conoscenza dei suoi contenuti che spesso non erano più vissuti, facendo scadere la Fede in ritualismo, ideologia o movimento religioso. O la Fede è la Vita e la Speranza di una persona che si riconosce parte di una Comunità, o non è Fede! È di questa coscienza e scelta libera, di questo desiderio del cuore che sentiamo il bisogno e intravediamo la forza dirompente. Pur nella coscienza che nulla è scontato. Anche nel Concilio la questione dei poveri e della povertà della Chiesa non ha avuto seguito! Eppure una liturgia vuota di povertà rimane un aborto! Al contrario, la scelta di una povertà dignitosa e fraterna è già una liturgia di lode che sa gridare per giustizia senza mai maledire, ma fiduciosa nel suo Signore.

L’evangelizzazione qui è stata, di fatto, una sacramentalizzazione. La gente chiede solo il battesimo, ma non c’è coscienza e volontà, desiderio di una vita fraterna di Comunità. E a peggiorare la situazione la ‘pratica’ religiosa si basa sulle feste dei santi una volta all’anno. Ma quando scatta il cambiamento le persone sono felici di essere parte di una nuova famiglia, la Comunità appunto, e si impegnano molto. Noi continuiamo a gettare la semente, a piantare e irrigare. Il Signore farà crescere. E altri raccoglieranno... tanto siamo in una ‘azienda familiare’ e tutto appartiene a tutti. O meglio, tutti amiamo lo stesso Signore, poniamo in lui la nostra fiducia e lavoriamo nel suo Regno di giustizia, di speranza e di pace!



Per inciso, credo che la situazione italiana non sia molto diversa nella sostanza, solo, a volte e sempre meno, si presenta meglio; allora se avete qualche suggerimento lo accogliamo con gioia e riconoscenza. Noi continuiamo a trasmettere e condividere la nostra esperienza e la bellezza che qui incontriamo nella vita dei poveri. Voi aiutateci a riflettere! Buon cammino a tutti!

 

Santo Antônio do Içá, Festa di Santa Maria Maddalena, giovedì 22 luglio 2021

 

venerdì 18 giugno 2021

Manchiamo di tutto, ma non ci manca niente!

 

 


Gabriele Carlotti – missionario diocesano in Amazzonia

 

 

Il giorno 14 giugno, come tutti i 14 del mese, arriviamo a Ipiranga, ultima Comunità sul fiume Içá, prima di cambiare il suo nome in ‘Putumaio’, entrando in terra colombiana. In città a Santo Antonio è tempo di festa, tredici giorni animati dalle Comunità dei quartieri cittadini, anche il vescovo, dom Adolfo, ha voluto essere presente per celebrare la festa con la nostra gente. Il giorno 9 siamo partiti per visitare e celebrare la fede con alcune piccole Comunità lungo il fiume... torneremo il 17  del mese e la festa popolare sarà solo un bel ricordo, già aspettando la prossima nell’ormai vicino 2022.



La sera del 13, giorno di Santo Antonio, celebriamo nella Comunità di Nova Esperança II, tre candele accese perché non c’è energia, il motore è rotto, le bragi della cena ancora accese, tre bimbi che già dormono in braccio alle mamme. Siamo una decina di persone, pochi, ma si percepisce la fede presente nella semplicità. Chiedo: “Che cosa vi manca? Possiamo aiutare?” Un silenzio prolungato, cercando una risposta che alla fine ci fa quasi vergognare. Così il cassique ci risponde: “Voi avete un buon cuore, ci avete portato cinque casse per raccogliere l’acqua della pioggia, vi preoccupate con la nostra vita. E sinceramente vi ringraziamo”. Il giorno seguente leggo la prima lettura della Messa e trovo le parole di San Paolo: “Manchiamo di tutto, ma non ci manca niente”. Così finalmente riesco a capire la risposta del cassique Kocama, che non ci ha chiesto nulla.



A Ipiranga portiamo una lavagna e materiale scolare per il doposcuola. L’insegnante è già in chiesa con alcuni bambini, altri verranno nel pomeriggio. Così quel ‘rudere’ diventato la chiesa di Santo Espedito, ora serve anche come scuola per quei bambini che hanno più bisogno di un aiuto. È un piccolo doposcuola, 30 bimbi in tutto, iniziato per non perdere la presenza di una signora, maestra da 17 anni in Ipiranga, che per causa della politica non è stata contrattata nella scuola ufficiale. Lei è una presenza molto importante perché conosce tutte le famiglie e ha già preparato altri bimbi per la prima comunione e alcuni giovani alla cresima. In verità ci stiamo rendendo conto che questo piccolo segno di attenzione gratuita verso i bambini più poveri, parla più di molte ‘prediche’. Alla sera, alla celebrazione comunitaria dell’Eucaristia, tutti i genitori sono venuti, la loro presenza silenziosa ci ha ripagato abbondantemente tutto lo sforzo fatto per realizzare questo piccolo segno. Alcune torte hanno coronato la serata.

Durante il viaggio di ritorno diamo un passaggio, di tre giorni, a due insegnanti che rientrano in famiglia per una settimana a Santo Antonio. Tre giorni perché ci fermeremo ancora in tre Comunità lungo il cammino. Così la barca naviga al completo: io e Moises, due maestre e una scimmietta di un mese e mezzo che mi hanno regalato nella Comunità di Mamurià III. Il suo nome è “Pipoca” che è il nostro granoturco soffiato, quello che si comprava negli anni ’70 per andare al cinema...



Contemplando il fiume ancora carico d’acqua, penso ad un incontro con il signor Antonio, della Comunità di Novo Pendão. Arriviamo vicino alla vecchia casa, ormai tutta smontata, perché l’acqua è entrata e Antonio ha dovuto spostarla di 50 metri più in su, per evitare di aver l’acqua in casa ad ogni anno. Ci avviciniamo e leghiamo la nostra barca in sicurezza agli ultimi pali rimasti. Vedo che molti uomini stanno lavorando alla costruzione di una grande zattera. Chiedo: “Antonio, state facendo un “flutuante” per avere un posto migliore per le vostre canoe?” “Sì padre, ma lo porteremo all’interno del fiume ‘Puritè’ a circa due settimane di viaggio da qui, per estrarre oro nel garimpo”. Lo guardo incredulo, pensavo che solo i ricchi potessero permettersi i macchinari cari per l’estrazione dei minerali, quei ricchi che si sono sentiti minacciati dalla Chiesa e che ci avevano minacciato. “Vedi padre – continua Antonio – fatto il flutuante (grande zattera) gli uomini del garimpo imprestano i soldi per comprare il motore-pompa, quarantamila reais (8.000 eu), ma in un mese potremo ripagarlo, l’oro è pagato bene: 240 reais al grammo, qui a Vila Alterosa o in Santo Antonio. Gli dico di stare attento perché c’è molta violenza, già hanno trovato gente morta nel fiume, per causa dell’oro, perché la “febbre dell’oro” non rispetta la vita, anzi inquinando l’acqua del fiume uccide pesci e persone. Antonio mi guarda con occhi diversi, capisce che non approvo questa loro scelta. Chiedo ancora: “Ma, ci sono molte ‘draghe’ per l’estrazione del metallo?” “Circa 10 molto grandi, di chi ha soldi, e un centinaio piccole, come la nostra...”. Così mi rendo conto che la febbre dell’oro ha già contagiato la nostra gente e mi passano nella memoria immagini di alcune Comunità che stavano costruendo fluttuanti sulla riva del fiume. Non erano per la pesca, ma per l’oro! Durante la Messa, con la presenza anche delle donne, ritorno sull’argomento, esternando la preoccupazione per la cecità che la febbre dell’oro produce, per le famiglie che vedono i loro figli e mariti rimanere lontani molto tempo, per la prostituzione e la droga che sempre accompagnano i luoghi di garimpo, per la violenza legata ai soldi facili e abbondanti, per la distruzione e l’inquinamento delle acque e della foresta. Tutti ascoltano, ma regna un grande silenzio, e vedo negli occhi l’illusione di uscire dalla miseria. Una povertà dignitosa cambiata per una promessa di ricchezza bagnata di sangue. Che fare? Per ora non lo so. Tutto è illegale e dovrebbe essere il Governo a intervenire, come aveva fatto 3 o 4 anni fa lungo il fiume Japurà, con l’intervento della marina, dell’esercito e dell’aeronautica, distruggendo tutto il garimpo. Ma con l’attuale presidente del Brasile, gli organi di controllo della foresta, sono stati praticamente disattivati e sarà molto difficile e improbabile un loro intervento. Ora che anche la gente umile, delle nostre Comunità, viene contagiata dalla febbre dell’oro, chiediamo al Signore della vita che doni luce e sapienza per rimanere a fianco delle persone e continuare ad essere presenza, amorevole e critica, che sappia accompagnare questo processo.



Ancora alzo lo sguardo e vedo il grande fiume, la bellezza della foresta e dei suoi abitanti, e ripenso alle Parola della Genesi: “Erano nudi e non ne provavano vergogna... poi si sono nascosti agli occhi di Dio... fino a quando Caino alzò la mano contro Abele”.

E il Signore della vita continua ad interrogarci: “Dov’è tuo fratello?”  

 

 

Giornata mondiale per combattere la secca e la desertificazione, giovedì 17 giugno 2021.

 


Lettera dalla missione amazzonica: DROGA

  Santo Antonio do Içá      15-05-2024 La nostra è la regione della cosiddetta ‘triplice frontiera’, dove Brasile, Colombia e Perù si incont...