martedì 15 febbraio 2022

LAVORI IN CORSO!

 




Da molti anni sono prete e nella storia del mio ministero quasi sempre ho convissuto con muratori, architetti, geometri, carpentieri, imbianchini, falegnami, ingegneri: opere nelle chiese, oratori, canoniche, seminario, ricostruzioni post-terremoto, cappelle cadenti da restaurare e così via...  Mio malgrado, e in contrasto con considerazioni che facevo e scrivevo sul ministero del prete, mi ritrovavo a dover accompagnare continuamente opere di muratura.  A partire dal primo giorno del ministero quando ho incontrato il parroco di Boretto don Walter (il nostro primo incontro) tra le macerie della cupola di Boretto da poco crollata e continuando nei più di trenta anni di ministero, ricordo solo alcuni mesi senza qualche lavoro riguardante chiese e varie strutture parrocchiali.  Da questo punto di vista molti amici preti hanno una storia simile alla mia.  E ora, nel cuore della Amazzonia?  Da quando siamo arrivati a S. Antonio do Içá, i muratori non hanno smesso di ‘perseguitarci’, avendo subito affrontato una ristrutturazione necessaria in molti luoghi della casa parrocchiale (non il tetto: quando piove con intensità entra l’acqua da varie parti); abbiamo dovuto ristrutturare e costruire parte dell’altro edificio parrocchiale che ha sale di incontro, di catechesi e lo spazio della cucina.  La chiesa aveva bisogno di essere tutta tinteggiata; inoltre stiamo aiutato la costruzione di cappelle delle comunità sul fiume. E ora, in città, nelle comunità dove opero prevalentemente, che cosa abbiamo? Vari cantieri aperti!

a.       Un edificio semi-crollato nel retro della casa parrocchiale, che era usato anni fa per i francescani in formazione. Ora stiamo costruendo due stanze per ospitare quando avremo necessità, e per dormire (per me): nella piazza di fronte alla canonica abbiamo una discoteca all’aperto, il venerdì sera, sabato e domenica che mi infastidisce molto, sia per il volume alto, che per la pessima qualità della musica e del cantante che grida senza alcuna grazia, che per il gruppo di ubriachi e drogati che gridano e litigano, specialmente il sabato notte.  Spostandomi all’interno del giardino e con muri maggiori, forse riuscirò a dormire in pace anche nel week-end, chissà.

 


b.      La chiesa di “Nossa Senhora da Saúde”, che aveva bisogno della copertura del soffitto (sotto la lamiera del tetto) e di due sale, per la catechesi e la sacristia e di rifare parte del presbiterio, mettere lampade nuove, tinteggiare. Dopo molto tempo, il lavoro è a buon punto, anche se non concluso.

c.       La cappella della comunità del Bambino Gesù, la più lontana dal centro; in realtà è una zona che non ha mai avuto una comunità cattolica e non abbiamo ancora una comunità organizzata; per ora la unica attività è la celebrazione della messa ogni 15 giorni nella casa di una famiglia, frequentata da poche persone. La chiesetta ora há giá la struttura di mattoni.

 


d.      La cappella di Santa Chiara; avevamo il terreno e da molto tempo la intenzione di costruire, e siamo molto in ritardo. La costruzione comunque è iniziata, con le fondazioni e una prima parte di muro, ma è solo un inizio.  A motivo della situazione metereologica (terreno fradicio per la pioggia) e le poche persone disponibili ad aiutare, siamo ancora lontani. Siamo in un quartiere molto grande, e quasi nessuno frequenta la comunità cattolica. 

 

e.       Comunità di San Giuseppe. La chiesa è stata costruita, ma non conclusa; lavoro urgente è ora sistemare la parte di cortile che è terra (cioè fango per molta parte dell’anno) e sarebbe il luogo di incontro per la festa del patrono – per loro molto importante-.  Pensavo di fare una piazzetta di cemento, così ci sarebbe anche la possibilità di un campo di pallavolo e calcetto.  Poi avremmo la necessità di costruire sale per la catechesi, per incontro con i Giovani e altri incontri. Non abbiamo ancora sale comunitarie a parte la cappella e ho promesso che mi impegnerò per aiutarli in queste costruzioni.

 


f.        Nossa Senhora de Guadalupe” : una piccola la cappella nella comunità indigena di San Salvador. Per ora abbiamo il progetto di sistemare la cappella, chiudere la parte frontale perché é aperta e quando non ci sono nuvole il sole infastidisce molto. Manca poi un deposito per il materiale della comunità, una sacristia, uno spazio per la catechesi e incontro con i giovani.

 


 

g.      Bairro “Taboca”; non abbiamo una comunità qui e la maggioranza delle famiglie sono cristiani evangelici di diverse chiese. Ho visto un piccolo spazio comunitario, cioè è possesso degli abitanti del quartiere, cadente e con la necessità di ristrutturazione per poter far qualcosa.   Pensavo di sistemarlo un po’ per poterlo poi usare anche con qualche iniziativa per le poche famiglie cattoliche (rosario, catechesi...) re se gli ‘evangelici’ non creano impedimenti.  

Sette cantieri aperti contemporaneamente; e con la prospettiva di altri, perché vorremmo tentare di avere uno spazio cattolico in altri quartieri dove ancora manca un luogo di incontro comunitario.

Le chiese protestanti e soprattutto le chiese/sette neopentecostali sono assai diffuse da noi, e aprono edifici in tutti i luoghi, così che la gente partecipa; sono ormai molto più i protestanti ( e affini) che non i cattolici, anche per questa loro maggiore azione missionaria capillare.

La comunità è comunione di persone, quindi il luogo materiale di incontro non sarebbe importante; e invece è importante!  Ci incontriamo anche nelle case, e questo é bello, ma non è sufficiente; la maggioranza delle famiglie vive in case povere, strette, solo con lo spazio necessario per chi vi abita, ma con poca possibilità di accogliere altri e questa è una difficoltà. Di conseguenza è importante costruire un edificio comunitario, sufficientemente ampio e che sia di tutti.





 Inoltre succede anche questo: la celebrazione è in una famiglia, ma chi vota un partito differente da quello della famiglia che ospita, non va; molte volte ci sono litigi tra famiglie, quindi ci si esclude a vicenda... ecco perché uno spazio di tutti, comunitario e non di una sola famiglia, aiuterebbe il formarsi di una comunità – chiesa. É la mostra realtà.




Questo per rendervi partecipi delle nostre occupazioni e pre-occupazioni e rendere conto di come vengono (anche) impiegati gli aiuti che ci mandate.

Grazie a tutti, don Gabriele Burani

Santo Antonio do Içá, Amazonas, 15 febbraio 2022 


   

lunedì 14 febbraio 2022

Assemblea parrocchiale a S Antonio

 






Assemblea parrocchiale a S Antonio con i rappresentanti delle comunità della città per decidere il cammino del prossimo anno pastorale. Questo anno, grazie a Dio, è stata una assemblea propositiva, senza litigi o critiche insensate…vedremo se porterà frutto!   Mando foto anche della equipe della coordinazione di qualche comunità.   A presto, don Gabriele Burani Santo Antonio do Içá Amazonas

martedì 1 febbraio 2022

AFFONDATA LA BARCA DI PADRE GABRIELE CARLOTTI

 







ALCUNE RIFLESSIONI DI DON LUIGI GIBELLINI DAL VIAGGIO IN AMAZZONIA

 

S.Antonio do Iça, 20/01/22 

Certamente quello che rimane impresso all’arrivo a Tabatinga è il vedere, ma questo si era visto anche dall’alto, il fiume, come un grande serpente che striscia nella foresta, camminando con lentezza ma con grande maestria. Poi l’impatto con il caldo, abbastanza forte, ma soprattutto, umido; poi l’accoglienza di dom Adolfo che con grande semplicità e tranquillità ci è venuto a prendere e ci ha accompagnato nella sua casa, dandoci molta attenzione e tempo. Aveva voglia di parlare e noi gliene abbiamo dato l’occasione; poi il rito della cena a base di pesce e poi il gelato, come ulteriore segno di accoglienza e amicizia. E’ una persona molto semplice e con grande senso di accoglienza. Alla mattina ci ha accompagnato alla barca e ha aspettato li con noi fino al momento dell’imbarco; parabèns. 

Il viaggio in barca, super lusso, forse è stato il viaggio più confortevole che abbiamo fatto, al di  là dell’aria condizionata a bomba, ma certamente molto bello. Vedere il fiume che è maestoso e che  incontra sulle rive la popolazione riberinha e poi il camminare lento che da un senso di tranquillità e di vita differente. Otto ore di barca però sono pesanti, ma pensando a chi facendo lo stesso percorso, con barche più  piccole o meno confortevoli, ci mette il doppio, non possiamo lamentarci. Arriviamo a S. Antonio do  Iça, e sulla banchina del porto sta’ aspettandoci pe. Gabriel Carlotti, che con due pesci in mano ci  accoglie e ci dice che quelli saranno la cena di quella sera. Poi passando per una passerella, che sono due tavoloni, ci avviamo verso la macchina per arrivare alla casa parrocchiale dove ci attende l’altro  Gabriele;  un  poco  stanchi  ma  molto  contenti. 

Il  mattino  seguente  ci  mettiamo  in  viaggio  ben  presto, con  pe. Gabriel Burani,  Moises, e un’altra  persona che ci accompagna per una visita a due comunità riberinhe che si incontrano sul  fiume Solimões, che in Manaus diventa il rio delle Amazzoni, una si chiama Piatã e l’altra Nazarè. Arriviamo nella prima comunità dopo quasi 3 ore di barca, un rumore abbastanza assordante ci  accompagna durante tutto il viaggio, tanto che è necessario avere le cuffie per proteggere le orecchie. Arriviamo a Piatã verso le 10,30 e sulla  riva si  vedono i bimbi che stanno aspettando l’arrivo del  padre; scendiamo dalla barca e con un poco di difficoltà risaliamo la riva che porta alle case della comunità; sono circa 20 famiglie Tukuna e  vivono in case a palafitta, perché nei mesi  di maggio giugno il fiume sale di almeno 5-6 metri dal livello attuale e si arriva davanti alla cappella con la  piccola barca che serve come navetta. E’ una comunità ben strutturata, c’è la scuola con il maestro  residente, che è anche un animatore della comunità, suona la chitarra ed è il marito della catechista; poi c’è il lider della comunità che è anche ministro della Parola e poi tanti bimbi, molto belli e con i  tratti  tipici indios. Comincia la celebrazione e all’inizio pe. Gabriel ci presenta alla comunità, io e Marinella, perché don Eugenio non si è sentito di venire; la celebrazione è accompagnata dai canti in lingua Tukuna e anche l’omelia è  fatta dal ministro; il  tutto  senza capire una mazza. I bimbi si danno da fare per  togliere le mosche dalle gambe di Marinella, ma alla  sera si vede un risultato penoso; molte picadas nas pernas… Terminata la celebrazione gli avvisi, in modo particolare quello  dell’Assemblea che sarà alla fine del mese e dove tutte le comunità  sono invitate a partecipare.

Ci si rimette in cammino, o meglio in navigazione per arrivare all’altra comunità, Nossa Senhora de Nazarè. Ci arriviamo dopo due ore di navigazione; parcheggiamo la barca e ci prepariamo per il pranzo a base  di riso e pollo. Poi scendiamo per arrivare alla piccola comunità composta di 5  famiglie, ma la salita non è stata molto facile, dopo aver attraversato una tavola che affondò nell’acqua, mi sono inerpicato sulla riva, ma il fango era demais, e ho cominciato ad affondare fino al ginocchio, perdendo le ciabatte che poi Moisés ha recuperato. Marinella vedendo questo spettacolo ha  desistito e si è fermata sulla barca.  Abbiamo celebrato con una decina di persone delle quali metà erano bimbi che come nella comunità precedente ci schiacciavano  le mosche che aggredivano le nostre gambe…poi una signora anziana con suo marito, Leonilda e Pedro, che hanno vissuto tutta la loro vita in quell’aldeia (comunità). Poi il rientro a casa dopo aver viaggiato sul fiume Solimões per circa 7 ore. 

Il giorno seguente ci siamo recati al porto per cominciare a caricare le cose necessarie per potere partire venerdì per visitare alcune comunità riberinhe insieme con pe. Gabriel Carlotti e la  sorpresa, e che  sorpresa, è stata vedere la barca affondata; tutta la parte posteriore era sott’acqua e le cose che erano  nella  barca  galleggiavano dentro la barca. Ho visto Gabriel un po’ spaventato ma non arrabbiato. Quindi con calma abbiamo cominciato a tirare fuori quello che si poteva ma senza successo. Ci si è rivolti alla prefettura (Comune) che con una chiatta e sollevatori sono riusciti a rimettere la barca a galla; adesso bisogna vedere come fare per tamponare i buchi e rimettere in moto il motore, sperando che non abbia subito grossi danni. Il programma quindi cambia, non si va più per celebrare ma si va per avvisare le comunità che non ci  sarà  celebrazione  se  non  il  prossimo  mese,  barca  permettendo. 

Con  una  barca  più  piccola  con  il  motore fuori bordo, si parte venerdì mattina, insieme con Moises, il fedele motorista e pe. Gabriel. Ci infiliamo sul fiume Içã, affluente del Rio Solimões, che arriva fino ai confini con la Colombia (358  km) e dopo 3 ore di navigazione arriviamo alla prima comunità, São Vicente. Lasciamo il messaggio  e invitiamo  all’assemblea  che  si  terrà  alla  fine  del mese a Sant’Antonio do Içã; facciamo così in tutte le comunità, 5 in tutto e poi rientro. Il paesaggio è da urlo, una vegetazione lussureggiante e di tanto in tanto si vedevano spuntare il golfin (delfini  di  acqua  dolce) e i beloa grossi pesci di colore  rosa…poi gli uccelli e i  falci che si dilettavano a procurarsi il cibo in queste  ricche di pesce e i pescatori che ritiravano le reti dopo averle messe la sera  prima. E’ una vita che accompagna il corso del fiume, con i suoi ritmi e con le  sue  regole; adesso siamo nella stagione dove il fiume è basso, quindi per arrivare alle comunità bisogna risalire la sponda, questo non sarà così nei mesi di maggio-giugno quando il fiume si alzerà di almeno 5 metri e anche le case che sono sulla sponda, nonostante che siano su palafitte, rischieranno  di essere allagate. Mangiamo mentre navighiamo sul fiume, e verso le 15,30  siamo di nuovo a casa, rossi come i peperoni ma direi contenti.  


don Luigi Gibellini

 

sabato 25 dicembre 2021

Coerenza

 


 

Padre, è difficile quando la tua propria famiglia, tuo padre e tua madre, i tuoi fratelli si mettono contro...”

Sono nella comunità di Mamurià, siamo arrivati che era già notte dopo aver scaricato 36 casse per l’acqua piovana. Mangiamo pesce cotto al forno, farina di mandioca e peperoncino piccante. Poi prepariamo le amache e la notte ci accoglie cullandoci col movimento dell’acqua del fiume. Alle 7 del nuovo giorno l’animatore della comunità bussa al vetro della barca. “Entra Assis, gli dico, puoi entrare e far colazione con noi, caffè e banane cotte nell’acqua”. Lo vedo entrare con la testa bassa e gli occhi lucidi, gli chiedo se era successo qualcosa di grave. Lui mi risponde che ci sono problemi nella comunità e che i suoi propri familiari, il padre e i fratelli, si sono messi contro di lui. Lo invito a sedersi e a prendere un po’ di caffè: “Racconta, che ti ascolto con attenzione!” Lui comincia a parlare:



Vedi, padre, io quando ero giovane bevevo molto (oggi Assis ha 40 anni e 10 figli), un giorno ero in piedi in fondo alla cappella della comunità, piena di gente, i miei genitori, i vicini, i miei fratelli insegnanti e professori... io ero rimasto in fondo, sulla porta, perché sono solo un lavoratore, non ho studiato, pesco e faccio assi di legno per costruire case e canoe. Così mantengo e do da mangiare ai miei figli, mia moglie lavora in casa e con tanta gente non le rimane tempo per fare altro. Quel giorno fr. Gino chiese alla comunità se qualcuno era disposto a servire e prendersi la responsabilità di fare la celebrazione della Parola, come ministro, perché la comunità potesse celebrare il giorno del Signore. Nessuno alzò la mano, nessuno diede la sua disponibilità, tutti muti, guardandosi intorno. Allora fr. Gino chiese se poteva, lui, scegliere una persona per questo servizio alla comunità, come ministro della Parola. Tutti risposero di si, alleviando la tensione di quel momento. Così fr. Gino puntò il dito verso la porta e disse: “Quel giovane lì, in piedi sulla porta della chiesa”. Mi guardai intorno per vedere chi era, e fr. Gino, col suo sorriso di sempre disse: “Proprio tu, Assis, tu sei disposto a fare questo servizio importante per la tua comunità?” Io ancora non capivo cosa stava succedendo, ma risposi prontamente di sì: “Se posso aiutare, sono pronto a servire la mia comunità”. Quel giorno la mia vita è cambiata, ho smesso di bere e ho cominciato a conoscere la Parola di Dio, sono ormai 14 anni che ogni domenica celebriamo insieme il giorno del Signore, nella luce del Risorto che sempre ci accompagna. Quattordici anni che sono cresciuto, e sto crescendo, alla scuola del Vangelo”. Bene, gli dico, questo è molto bello e importante. Grazie a Dio per tutto! Assis prende ancora la parola e mi racconta: “Vedi, padre, la mia vita è cambiata e io ho imparato che dobbiamo obbedire alla Parola di Dio. Come sempre ci insegni tu, leggendo il Vangelo. Gesù ha portato a compimento e superato tutto l’Antico Testamento: non basta più voler bene solo ai tuoi, alla tua famiglia o alla tua comunità; dobbiamo amare tutti e servire i fratelli riconoscendo il Signore risorto in ogni povero e bisognoso”.

È vero, gli dico, per questo abbiamo bisogno di alimentarci con la parola del Vangelo di Gesù e nutrirci con il suo corpo e il suo sangue: la Parola e l’Eucaristia non sono un premio per quelli che lo meritano, ma sono un dono gratuito per tutti coloro che ne hanno bisogno, specialmente i deboli e i fragili nella fede, anche per i peccatori, perché abbiano la forza di rialzarsi.



Assis mi interrompe: “Vedi padre, la politica è una ‘brutta bestia’, come è vissuta qui da noi. Chi vince umilia i perdenti e si mostra come più forte, pur sapendo che è una ruota che gira. La mia famiglia ha perso la politica per 12 anni, ma l’anno scorso abbiamo appoggiato il candidato a sindaco che ha vinto, così tre dei miei fratelli hanno avuto un lavoro come insegnanti e responsabili della salute pubblica. Come comunità abbiamo ricevuto una lancia (piccola imbarcazione) con un motore di 40 cv che deve servire per portare i malati al posto medico più vicino. Io sono stato scelto come autista ufficiale per guidare la lancia sul fiume, non guadagno niente, ma ho accettato per aiutare chi avesse bisogno. La Segreteria della Salute non aiuta in niente, non dà la benzina per i viaggi perché la lancia è stata un dono del deputato che appoggiava il candidato a sindaco. Ora accade che persone di altre comunità a noi vicine, mi cercano e mi chiedono, quando hanno dei malati, di portarli in città o al posto di salute più vicino, a tre ore di lancia, perché se andassero di canoa impiegherebbero sei o sete ore. Ho sempre risposto di sì ad ogni richiesta, anche per portare persone dai medici tradizionali che allontanano gli spiriti maligni. Ho sempre e solo chiesto la benzina necessaria, perché non ne abbiamo”.

Sorrido e gli dico: “Hai fatto bene, Assis, hai offerto il tuo tempo e il tuo servizio per chi aveva bisogno”.



Lui continua: “Si, padre, ma i miei fratelli e anche i miei genitori dicono che è sbagliato quello che faccio, perché la gente ne approfitta e la lancia è stata data alla nostra comunità che ha vinto la politica, gli altri, le tre comunità vicine, hanno appoggiato l’avversario che ha perso, quindi ora devono arrangiarsi.  E questo fa male al mio cuore, e ho detto la verità alla mia famiglia. Ho detto loro che il Vangelo di Gesù non dice così, ma chiede di amare e servire tutti, perdonare i nemici e pregare per i persecutori. E queste persone che abitano nelle comunità vicine non sono nemici né persecutori, ma sono nostri compagni di vita, nostri fratelli. O viviamo il Vangelo, oppure non serve dire che abbiamo fede e neanche celebrare il giorno del Signore. Ho dovuto dire la verità: che il loro cuore è lontano da Dio. E ho restituito a loro la chiave del motore della lancia, che ora rimane qui ferma e non serve a niente, se non a mostrare che noi siamo i vincitori, come fosse un trofeo di guerra. Questo mi fa male e mi umilia: che la mia propria famiglia mi sia contro e non veda il suo grande errore rispetto alla fede che professiamo. Mio fratello non parla più con me, mio padre non mi dà il segno della pace nelle celebrazioni e mia madre dice che ho sbagliato a dire la ‘mia’ verità”.

Cerco di rincuorarlo un po’, di mostrargli che le incomprensioni sono sempre presenti dove ci sono persone. Gli do un consiglio: formare una equipe che sia responsabile per la lancia e che le prossime decisioni vengano prese insieme per evitare che uno solo si senta o la faccia da padrone. Mi riprometto di parlarne dopo la Messa con la comunità e di proporre che si decidano alcuni criteri oggettivi che aiutino a dare risposte giuste e imparziali, criteri che valgano per tutti, per i membri della comunità e anche per i vicini. Poi guardo gli occhi di Assis, vedo che i suoi occhi sono lucidi e pieni di lacrime, lo abbraccio forte e gli dico: “Il Vangelo ce lo ha detto: Avrete cento volte tanto, insieme a persecuzioni. E ancora: Si divideranno padre contro figlio e figlia contro madre, fratello contro fratello, per causa del mio nome. Coraggio Assis, hai dato la tua bela testimonianza, anche dov’è più difficile, nella tua comunità e nella tua propria famiglia. Abbi fede, il Signore ce lo ha promesso: Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Coraggio Assis, non sei solo e la tua perseveranza salverà anche i tuoi fratelli; sappi che la vita di comunità a volte è difficile, ma sempre apre nuove prospettive, nuove possibilità per tutti, se perseveriamo nel bene e cerchiamo di essere coerenti con la fede che professiamo, procurando sempre ciò che ci unisce”.



 Nella Messa ascoltiamo il Vangelo del giorno, Lc 7,19-23, anche Giovanni il Battista fa fatica ad accettare l’agire di Gesù, che supera la giustizia retributiva, che premia i buoni e castiga i cattivi. Gesù usa di misericordia con tutti. Questo nuovo agire di Gesù purifica i cuori, aiuta a recuperare una visione fraterna e umana, permette di capire e di ascoltare la sofferenza dei fratelli. Anche lui, Giovanni il Battista, deve convertire la sua visione religiosa e aprirsi alla fede, senza scandalizzarsi della gratuità dell’amore di Dio. Con umiltà e fermezza rivolgo lo sguardo verso Assis e i suoi fratelli, verso il padre e la madre che si scandalizzavano per la bontà del proprio figlio e dico loro: “Noi, noi dobbiamo essere questa Buona Notizia annunciata ai poveri! I nostri gesti di gratuità e apertura verso tutti, sono la fonte della nostra gioia. Solo così potremo cambiare e rinnovare la nostra storia politica e sociale, affinché non ci siano più vincitori e vinti, ma solo fratelli e sorelle”.

 

  Gabriel Carlotti, missionario in Amazzonia.

 

Santo Antonio do Içá, 25 dicembre 2021 – Natale del Signore

 

 

P.S.

Ormai sono passati più di due anni da quando siamo partiti per l’Amazzonia. Un tempo che è passato in fretta, carico di molte emozioni e storie di vita, di sofferenza, di fede e di speranza. In queste ormai più di 35 lettere, se consideriamo anche quelle scritte da Gabriele Burani, mio compagno di viaggio (si potrebbe farne un libro, ma non è questo l’intento) abbiamo cercato di condividere, raccontando, una esperienza che non è solo nostra, ma anche vostra, perchè siamo qui anche a nome vostro, della vostra fede, della nostra Chiesa reggiano-guastallese. Queste lettere sono state scritte ‘di getto’, senza molta riflessione, almeno da parte mia, ma con l’intento di raccontare una esperienza di vita, di condividere quello che anch’io stavo scoprendo. Se qualcuno non le avesse tutte, può richiederle al Centro Missionario Diocesano, a Roberto Soncini (roberto@cmdre.it o com um messaggio al +39 3200714445). Ora sento la necessità di fermarmi a riflettere e vorrei farlo insieme a voi. Per questo ho pensato di non scrivere più per alcuni mesi, ma di rileggere questi racconti, che neppure io ricordo nei particolari, e lasciarli risuonare dentro di me. Vorrei cogliere alcune luci che possano illuminare l’esperienza di una vita di fede. Vi propongo di farlo insieme:

a)  Rileggendo una lettera con calma e alla luce dello Spirito Santo, con atteggiamento di preghiera

b) Chiedendoci quale fede sostiene la vita di questa gente

c)  Scoprendo quali intuizioni e suggerimenti, quali esperienze possono aiutarci a riscoprire la bellezza del Vangelo, la sua radicalità gioiosa; come vivere la fraternità nelle nostre Parrocchie e Unità Pastorali.

Potremmo, metodologicamente, rileggere i racconti dalla Missione e, quando una parola o una frase o una esperienza attira la nostra attenzione e ci fa pensare (ricordate il card. Martini che diceva: L’Umanità si divide in due gruppi, quelli che pensano e coloro che non pensano...), allora possiamo annotare la nostra riflessione e metterla come “nota” in calce alla lettera. Poi nel nostro gruppo “in barca con...” possiamo postare i nostri pensieri per condividerli. Per coloro che non sono di Castelnovo Sotto e/o non appartengono al grupo, potete inviare le vostre riflessioni direttamente a me (E-mail: lele6387@gmail.com ; WhatzApp: 005597984196606). Credo che così potremo arricchirci gli uni gli altri e ascoltare lo Spirito del Signore che parla ancora al nostro tempo e alla nostra Umanità. Anche questo potrà essere un passo per ‘fare sinodo’ e rinnovare la nostra Chiesa.

Buon cammino, Buon Natale e Felice Anno Nuovo. Grazie di tutto quello che siete e che fate per la vita dei fratelli tutti.   Gabriel

martedì 16 novembre 2021

Vita di pescatori ...

 



  Gabriel Carlotti, missionario in Amazzonia.

Dopo due mesi e mezzo costretti a rimanere in città, a Santo Antonio do Içá, finalmente il 2 novembre, giorno festivo per la ricorrenza di tutti i morti, anniversario di due anni del nostro arrivo in questa parrocchia di Santo Antonio di Lisbona, finalmente ripartiamo. Segno bello di risurrezione: la vita è annuncio e missione; è ripartire sempre per andare verso l’altro, i fratelli e le sorelle con cui condividiamo il cammino e nei quali incontriamo il Mistero del ‘Totalmente Altro’. Così intimo a noi stessi da lasciarsi riconoscere nella bellezza di ogni incontro che ha sapore di umanità.

Ripartiamo perché il motore della barca ha ripreso a funzionare anche grazie alla solidarietà di persone e comunità reggiane che condividono e sostengono il cammino della missione. Visiteremo e celebreremo la vita insieme a 28 comunità: 25 lungo il fiume Içá e 3 sulle sponde del fiume Solimões, più conosciuto come Rio delle Amazzoni.

Già di ritorno dal confine colombiano, dopo aver celebrato nella comunità di Ipiranga, ci fermiamo a “Itu”. Mamma Eléna ci aspetta con le sue due figlie e i suoi molti bambini. Il marito è sdraiato sull’amaca perché sono alcuni giorni che ha la febbre molto alta, forse malaria, con aggravanti di vomito e dissenteria. Gli do alcune medicine per abbassare la temperatura e controllare vomito e diarrea; se questa notte non migliorerà domani dovrà affrontare un viaggio di quattro ore di canoa, probabilmente sotto la pioggia perché il cielo è cupo, per raggiungere il posto medico più vicino, a Villa Alterosa, chiamata anche Juí, dove riposa Irmão José fondatore della Chiesa della Croce, ultima chiamata per accedere al Cielo.



 Molte comunità lungo il fiume hanno lasciato la Chiesa Cattolica per seguire questo movimento fondamentalista che annuncia la fine imminente. Le necessità della vita così difficile e spesso abbandonata da tutti, tranne che da Dio, e la mancanza di catechesi, conoscenza ed esperienza di Chiesa, ha portato molti a seguire questo cammino segnato dalla testimonianza austera di Irmão José ormai sepolto nel paese da lui fondato, Villa Alterosa, già santo e in cielo secondo la fede di tante persone. Le Chiese Evangeliche e la Chiesa Cattolica sarebbero i due bracci orizzontali della croce che portano i fedeli alla vera Chiesa della Croce, ultimo cammino offerto per il paradiso.



Arriviamo nella comunità di Itu sotto una pioggia battente, riusciamo ad entrare con la barca tra un grande albero caduto sul fiume e una grande canoa carica di molto pesce. É un porto sicuro perché qui passeremo la notte. In questo periodo l’acqua è bassa e per raggiungere la casa dobbiamo affrontare la ‘scalata’ a una montagna di fango; i bambini si divertono a scivolare, noi un po’ meno, e aiutati dai cespugli di erba, piano piano, riusciamo a salire. A scendere, dicono, tutti i santi aiutano, e lo speriamo davvero! Come sempre qui la Messa è molto bella, la presenza di tanti bimbi e alcuni giovani venuti di canoa dal vicinato, rendono la celebrazione gioiosa, anche se nessuno conosce le risposte convenzionali della liturgia e i canti sono sostenuti solo da mamma Eléna e dalle sue due figlie. Per l’occasione anche una scimmietta, due cagnolini e alcuni pulcini rallegrano la preghiera, sempre molto partecipata col cuore e la vita. I bambini hanno adocchiato subito le caramelle sulla mensa e aspettano con ansia il canto finale. La scimmietta, ‘gabigou’ è il suo nome, prova ad anticipare, ma viene prontamente redarguita e si conforma.



Dopo la celebrazione salutiamo e scendiamo nella barca, stanno rientrando i pescatori, 2...3...4... canoe con Pirarucu, Pirapitinga, Surubì, Tucunaré...,  frutto della pesca notturna nei laghi che impreziosiscono il corso del fiume con la loro abbondanza di pesce. La pesca fuori dai laghi è più difficile e meno abbondante. Cinque bambini corrono all’incontro del papà, ancora molto giovane, ma già vedovo, e dei tre fratelli maggiori, adolescenti dai 16 ai 21 anni. È la gioia dell’incontro, che lascia subito il tempo al lavoro: bisogna pulire il pesce e passarlo nel sale perché possa resistere fino all’arrivo in città, dove sarà venduto. Tutti si danno da fare, i piccoli corrono a prendere i sacchetti di sale, i giovani, come esperti chirurghi, squartano i pesci e li preparano lavandoli accuratamente, il papà con mano veloce ed esperta passa il sale per garantire che la carne resista al tempo e al calore del giorno. Se ci fosse del ghiaccio tutto sarebbe più semplice, ma dove manca l’energia elettrica, questo rimane un sogno impossibile. Il sole è già tramontato, ma sulla barca a lato c’è ancora un grande movimento. Tutto il pesce è coperto con grandi teli plastici, bisogna pulire la barca e lasciarla pronta per il domani che sarà ancora un giorno di pesca. Tutti si lavano al fiume e lavano anche pantaloncini e magliette, indossando indumenti asciutti per la notte.



Con le torce sulla fronte li vedo mangiare qualcosa, pesce fritto con farina di mandioca e riso che mamma Eléna e le sue figlie hanno preparato con cura. Poi tutto tace e anche noi apriamo le nostre amache e ci prepariamo per la notte. Sono le 9 di sera. Mi chiedo come dormiranno visto che zanzare e papatacci nella notte sono più intraprendenti... Poi cullati dalle onde del fiume ci addormentiamo. Penso a Gesù che ha chiamato dei pescatori per essere i primi discepoli di una nuova avventura.

Mi sveglio alle 4:30, è ancora notte, il sole sorge puntuale alle 6 del mattino tra il tropico e l’equatore. Nella barca accanto c’è già gran movimento, i giovani preparano il materiale per la pesca e il papà controlla i piccoli motori delle canoe. I bambini dormono ancora tra un pesce salato e il caffè che mamma Eléna e le sue figlie hanno portato agli uomini. Tutto è pronto e si riparte per un nuovo giorno di pesca, il cielo è cupo, carico di pioggia, ma bisogna andare, i pesci aspettano e scivolando sull’acqua del fiume, riparati da un telo dall’acqua del cielo, questi uomini gettano ancora le reti. E mi ricordo le parole del Maestro: “Venite, vi farò pescatori di uomini”. Rimango ancora sull’amaca, cullata dalle onde, ormai non posso più dormire pensando a quei ragazzi gettando le reti, con fiducia che il duro lavoro porterà abbondanza di vita. Così è l’essere pescatori di uomini, e tutti lo siamo per la speranza del nostro battesimo, per la promessa della fede. Gettare la rete sempre, nei tempi di bonaccia e in quelli di tempesta. Lavorare tutti uniti, dal più piccolo al più grande, senza differenze, ma nella gioia di poter fare la nostra parte con tenacia e disponibilità. Senza stancarsi e senza lamentarsi, facendo nostre le parole di Pietro, il primo dei pescatori: “Signore, abbiamo pescato tutta la notte e non abbiamo preso niente, ma sulla tua Parla getterò la rete”.



 

Santo Antonio do Içá, 15 novembre 2021 – festa della proclamazione della Repubblica brasiliana

 

sabato 23 ottobre 2021

“ Io ho un sogno... “

 



 Padre Gabriele Carlotti, missionario in Amazzonia

       Carissimi amici, non sempre le buone intenzioni sono realizzabili, e bisogna accettare il limite della realtà. Vorremmo seguire i nostri piani e vedere realizzati i nostri progetti, ma poi improvvisamente siamo costretti alla pazienza e ai tempi lunghi che non avevamo preventivato. Cerco di spiegarmi: uno degli obiettivi del nostro impegno pastorale è la “continuità”, visitare e celebrare vita e fede tutti i mesi con le Comunità per educarle a una fede che è vissuta nella quotidianità e non solo nei momenti straordinari. Parlo della vita di Comunità, perché la fede che è fiducia e affidamento a Dio, questa è il pane quotidiano del nostro popolo. Più difficile è accogliere l’invito del Vangelo a camminare insieme, ma è proprio questa la peculiarità della fede: “nessuno vive per se stesso e nessuno muore per se stesso”.

Così per un anno abbiamo percorso il fiume in lungo e in largo cerando di accompagnare anche i piccoli passi, di sostenere e incoraggiare la vita comunitaria. Avevamo anche programmato per fine novembre una grande Assemblea di tutte le Comunità per una condivisione che aiutasse un cammino sinodale anche fra le proprie Comunità, un “camminare insieme”.

Poi... si rompe il motore della barca, e quando aggiustiamo una parte, se ne rompe un’altra. Ieri abbiamo montato il pezzo nuovo del motore, credendo di aver risolto il problema, e già pensavo ad oggi visitando la Comunità di Nazaré sul Rio Solimões, che sta in festa e domenica ripartire proprio dalla Comunità sul lago Saquera che pure ha come patrona Nossa Senhora de Nazaré. Ma al momento di collegare il motore all’albero di trasmissione... c’è uno scarto di 3 centimetri, così ora si dovrà rifare tutta la base per allineare la macchina... e ci vorrà tempo! Un grande sospiro e la dura conclusione: ci vorrà ancora una settimana di lavoro, tutto rimandato alla prossima. Così penso che sono già due mesi e mezzo che siamo bloccati e costretti a rimandare i nostri viaggi missionari, i nostri animatori vengono in città, li incontro lungo le strade e mi sento ripetere sempre lo stesso ritornello: “padre, quando viene a trovarci?” “Spero presto, uno di questi giorni arrivo...”, rispondo.



E mi chiedo... è solo una coincidenza o è un segno che devo imparare a leggere e capire? Mi viene alla mente il ricordo di una animatrice analfabeta della Bahia, una mamma di famiglia che aveva otto figli ed era stata abbandonata dal marito, forse la migliore delle nostre animatrici di Comunità, Antonia. Lei a volte fingeva di non stare bene affinché la Comunità imparasse a camminare con le proprie gambe, magnifica! Così anch’io spero di avere questa consolazione: incontrare le Comunità che stanno camminando con le proprie gambe, un po’ costrette dalla nostra forzata assenza di questi giorni. Forse non tutte, ma per alcune nutro una grande speranza, e sono ansioso di poter rivedere il volto di tante persone e ascoltare la loro storia di vita.



Il 12 ottobre sono stato nella Comunità di São Vicente, abbiamo inaugurato la chiesetta dedicata a San Lazzaro e a Nossa Senhora Aparecida, la patrona del Brasile, che si festeggia proprio il giorno 12, e qui è festività anche civile. Sono andato con la canoa e il piccolo motore di 15cv che abbiamo comprato, quattro ore di viaggio di cui due sotto una pioggia battente. Siamo arrivati bagnati come pulcini. Tolti i vestiti, strizzati ben bene e rimessi per asciugarli con il calore del corpo... normale per la nostra gente! Verso le 10 cominciano ad arrivare alcuni giovani portando grandi pentole con piatti, bicchieri, posate, bibite e molto cibo: è festa e c’è da mangiare con abbondanza e per tutti. Alle 11 celebriamo la Messa, ben preparata con i canti e le letture, e alla fine dico loro: “chi non fa la comunione non potrà neppure mangiare dopo...”. Tutti, con molta devozione, si avvicinano per ricevere la vita donata del Signore Gesù, il suo corpo e il suo sangue; donne, uomini, bambini, giovani, sposati o accompagnati, índios e caboclos, ragazze madri e signore ormai vedove, chi beve un po’ e chi a volte fa uso di droga e fuma, chi è onesto e chi ha già rubato o tradito... Tutti chiamati alle nozze dell’Agnello!

 C’è un senso di grande pace e la voglia di riconoscersi, forse solo per un momento, tutti fratelli e sorelle, amati e desiderosi di amare. Un grande silenzio, dopo la comunione, per ringraziare col cuore questo momento di grazia!



“Io ho un sogno...” di vedere un giorno Comunità che si vogliono bene, libere dal giudizio sempre aggressivo, capaci di compassione e animate da una speranza viva, che non viene meno neppure nei momenti più difficili della vita. Comunità che trovino, nell’unione, la forza di resistere al male e di lottare per i propri diritti e una dignità di tutti e per tutti. Senza differenze tra uomini e donne, tra giovani e anziani, tra ricchi e poveri, tra nativi e immigrati. Comunità che celebrano il Giorno del Signore, che vivono la risurrezione, che spezzano il pane e bevono all’unico calice: che nella condivisione del cibo e della mensa comune sanno riconoscere il Signore, che è venuto per servire, perché tutti abbiano vita e vita piena. Comunità che non aspettano l’arrivo del prete, ma che sono gioiose e consapevoli che per la fede del Battesimo possono e devono rendere culto al Dio della Vita, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dove il più grande è il servo di tutti. Gettiamo via il mantello, le sicurezze che ci mantengono a mendicare sulle strade della vita, facciamo un salto di libertà che ci permetta di vedere bene e di essere discepoli del Signore della vita. BUONA GIORNATA MISSIONARIA! Gabriel, con i fratelli e sorelle dell’Amazzonia.     

 

Cammini di libertà e di liberazione

  "La Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". 
 Il Verbo continua a parlare nella storia e a servirsi di chi è ch...