martedì 16 novembre 2021

Vita di pescatori ...

 



  Gabriel Carlotti, missionario in Amazzonia.

Dopo due mesi e mezzo costretti a rimanere in città, a Santo Antonio do Içá, finalmente il 2 novembre, giorno festivo per la ricorrenza di tutti i morti, anniversario di due anni del nostro arrivo in questa parrocchia di Santo Antonio di Lisbona, finalmente ripartiamo. Segno bello di risurrezione: la vita è annuncio e missione; è ripartire sempre per andare verso l’altro, i fratelli e le sorelle con cui condividiamo il cammino e nei quali incontriamo il Mistero del ‘Totalmente Altro’. Così intimo a noi stessi da lasciarsi riconoscere nella bellezza di ogni incontro che ha sapore di umanità.

Ripartiamo perché il motore della barca ha ripreso a funzionare anche grazie alla solidarietà di persone e comunità reggiane che condividono e sostengono il cammino della missione. Visiteremo e celebreremo la vita insieme a 28 comunità: 25 lungo il fiume Içá e 3 sulle sponde del fiume Solimões, più conosciuto come Rio delle Amazzoni.

Già di ritorno dal confine colombiano, dopo aver celebrato nella comunità di Ipiranga, ci fermiamo a “Itu”. Mamma Eléna ci aspetta con le sue due figlie e i suoi molti bambini. Il marito è sdraiato sull’amaca perché sono alcuni giorni che ha la febbre molto alta, forse malaria, con aggravanti di vomito e dissenteria. Gli do alcune medicine per abbassare la temperatura e controllare vomito e diarrea; se questa notte non migliorerà domani dovrà affrontare un viaggio di quattro ore di canoa, probabilmente sotto la pioggia perché il cielo è cupo, per raggiungere il posto medico più vicino, a Villa Alterosa, chiamata anche Juí, dove riposa Irmão José fondatore della Chiesa della Croce, ultima chiamata per accedere al Cielo.



 Molte comunità lungo il fiume hanno lasciato la Chiesa Cattolica per seguire questo movimento fondamentalista che annuncia la fine imminente. Le necessità della vita così difficile e spesso abbandonata da tutti, tranne che da Dio, e la mancanza di catechesi, conoscenza ed esperienza di Chiesa, ha portato molti a seguire questo cammino segnato dalla testimonianza austera di Irmão José ormai sepolto nel paese da lui fondato, Villa Alterosa, già santo e in cielo secondo la fede di tante persone. Le Chiese Evangeliche e la Chiesa Cattolica sarebbero i due bracci orizzontali della croce che portano i fedeli alla vera Chiesa della Croce, ultimo cammino offerto per il paradiso.



Arriviamo nella comunità di Itu sotto una pioggia battente, riusciamo ad entrare con la barca tra un grande albero caduto sul fiume e una grande canoa carica di molto pesce. É un porto sicuro perché qui passeremo la notte. In questo periodo l’acqua è bassa e per raggiungere la casa dobbiamo affrontare la ‘scalata’ a una montagna di fango; i bambini si divertono a scivolare, noi un po’ meno, e aiutati dai cespugli di erba, piano piano, riusciamo a salire. A scendere, dicono, tutti i santi aiutano, e lo speriamo davvero! Come sempre qui la Messa è molto bella, la presenza di tanti bimbi e alcuni giovani venuti di canoa dal vicinato, rendono la celebrazione gioiosa, anche se nessuno conosce le risposte convenzionali della liturgia e i canti sono sostenuti solo da mamma Eléna e dalle sue due figlie. Per l’occasione anche una scimmietta, due cagnolini e alcuni pulcini rallegrano la preghiera, sempre molto partecipata col cuore e la vita. I bambini hanno adocchiato subito le caramelle sulla mensa e aspettano con ansia il canto finale. La scimmietta, ‘gabigou’ è il suo nome, prova ad anticipare, ma viene prontamente redarguita e si conforma.



Dopo la celebrazione salutiamo e scendiamo nella barca, stanno rientrando i pescatori, 2...3...4... canoe con Pirarucu, Pirapitinga, Surubì, Tucunaré...,  frutto della pesca notturna nei laghi che impreziosiscono il corso del fiume con la loro abbondanza di pesce. La pesca fuori dai laghi è più difficile e meno abbondante. Cinque bambini corrono all’incontro del papà, ancora molto giovane, ma già vedovo, e dei tre fratelli maggiori, adolescenti dai 16 ai 21 anni. È la gioia dell’incontro, che lascia subito il tempo al lavoro: bisogna pulire il pesce e passarlo nel sale perché possa resistere fino all’arrivo in città, dove sarà venduto. Tutti si danno da fare, i piccoli corrono a prendere i sacchetti di sale, i giovani, come esperti chirurghi, squartano i pesci e li preparano lavandoli accuratamente, il papà con mano veloce ed esperta passa il sale per garantire che la carne resista al tempo e al calore del giorno. Se ci fosse del ghiaccio tutto sarebbe più semplice, ma dove manca l’energia elettrica, questo rimane un sogno impossibile. Il sole è già tramontato, ma sulla barca a lato c’è ancora un grande movimento. Tutto il pesce è coperto con grandi teli plastici, bisogna pulire la barca e lasciarla pronta per il domani che sarà ancora un giorno di pesca. Tutti si lavano al fiume e lavano anche pantaloncini e magliette, indossando indumenti asciutti per la notte.



Con le torce sulla fronte li vedo mangiare qualcosa, pesce fritto con farina di mandioca e riso che mamma Eléna e le sue figlie hanno preparato con cura. Poi tutto tace e anche noi apriamo le nostre amache e ci prepariamo per la notte. Sono le 9 di sera. Mi chiedo come dormiranno visto che zanzare e papatacci nella notte sono più intraprendenti... Poi cullati dalle onde del fiume ci addormentiamo. Penso a Gesù che ha chiamato dei pescatori per essere i primi discepoli di una nuova avventura.

Mi sveglio alle 4:30, è ancora notte, il sole sorge puntuale alle 6 del mattino tra il tropico e l’equatore. Nella barca accanto c’è già gran movimento, i giovani preparano il materiale per la pesca e il papà controlla i piccoli motori delle canoe. I bambini dormono ancora tra un pesce salato e il caffè che mamma Eléna e le sue figlie hanno portato agli uomini. Tutto è pronto e si riparte per un nuovo giorno di pesca, il cielo è cupo, carico di pioggia, ma bisogna andare, i pesci aspettano e scivolando sull’acqua del fiume, riparati da un telo dall’acqua del cielo, questi uomini gettano ancora le reti. E mi ricordo le parole del Maestro: “Venite, vi farò pescatori di uomini”. Rimango ancora sull’amaca, cullata dalle onde, ormai non posso più dormire pensando a quei ragazzi gettando le reti, con fiducia che il duro lavoro porterà abbondanza di vita. Così è l’essere pescatori di uomini, e tutti lo siamo per la speranza del nostro battesimo, per la promessa della fede. Gettare la rete sempre, nei tempi di bonaccia e in quelli di tempesta. Lavorare tutti uniti, dal più piccolo al più grande, senza differenze, ma nella gioia di poter fare la nostra parte con tenacia e disponibilità. Senza stancarsi e senza lamentarsi, facendo nostre le parole di Pietro, il primo dei pescatori: “Signore, abbiamo pescato tutta la notte e non abbiamo preso niente, ma sulla tua Parla getterò la rete”.



 

Santo Antonio do Içá, 15 novembre 2021 – festa della proclamazione della Repubblica brasiliana

 

sabato 23 ottobre 2021

“ Io ho un sogno... “

 



 Padre Gabriele Carlotti, missionario in Amazzonia

       Carissimi amici, non sempre le buone intenzioni sono realizzabili, e bisogna accettare il limite della realtà. Vorremmo seguire i nostri piani e vedere realizzati i nostri progetti, ma poi improvvisamente siamo costretti alla pazienza e ai tempi lunghi che non avevamo preventivato. Cerco di spiegarmi: uno degli obiettivi del nostro impegno pastorale è la “continuità”, visitare e celebrare vita e fede tutti i mesi con le Comunità per educarle a una fede che è vissuta nella quotidianità e non solo nei momenti straordinari. Parlo della vita di Comunità, perché la fede che è fiducia e affidamento a Dio, questa è il pane quotidiano del nostro popolo. Più difficile è accogliere l’invito del Vangelo a camminare insieme, ma è proprio questa la peculiarità della fede: “nessuno vive per se stesso e nessuno muore per se stesso”.

Così per un anno abbiamo percorso il fiume in lungo e in largo cerando di accompagnare anche i piccoli passi, di sostenere e incoraggiare la vita comunitaria. Avevamo anche programmato per fine novembre una grande Assemblea di tutte le Comunità per una condivisione che aiutasse un cammino sinodale anche fra le proprie Comunità, un “camminare insieme”.

Poi... si rompe il motore della barca, e quando aggiustiamo una parte, se ne rompe un’altra. Ieri abbiamo montato il pezzo nuovo del motore, credendo di aver risolto il problema, e già pensavo ad oggi visitando la Comunità di Nazaré sul Rio Solimões, che sta in festa e domenica ripartire proprio dalla Comunità sul lago Saquera che pure ha come patrona Nossa Senhora de Nazaré. Ma al momento di collegare il motore all’albero di trasmissione... c’è uno scarto di 3 centimetri, così ora si dovrà rifare tutta la base per allineare la macchina... e ci vorrà tempo! Un grande sospiro e la dura conclusione: ci vorrà ancora una settimana di lavoro, tutto rimandato alla prossima. Così penso che sono già due mesi e mezzo che siamo bloccati e costretti a rimandare i nostri viaggi missionari, i nostri animatori vengono in città, li incontro lungo le strade e mi sento ripetere sempre lo stesso ritornello: “padre, quando viene a trovarci?” “Spero presto, uno di questi giorni arrivo...”, rispondo.



E mi chiedo... è solo una coincidenza o è un segno che devo imparare a leggere e capire? Mi viene alla mente il ricordo di una animatrice analfabeta della Bahia, una mamma di famiglia che aveva otto figli ed era stata abbandonata dal marito, forse la migliore delle nostre animatrici di Comunità, Antonia. Lei a volte fingeva di non stare bene affinché la Comunità imparasse a camminare con le proprie gambe, magnifica! Così anch’io spero di avere questa consolazione: incontrare le Comunità che stanno camminando con le proprie gambe, un po’ costrette dalla nostra forzata assenza di questi giorni. Forse non tutte, ma per alcune nutro una grande speranza, e sono ansioso di poter rivedere il volto di tante persone e ascoltare la loro storia di vita.



Il 12 ottobre sono stato nella Comunità di São Vicente, abbiamo inaugurato la chiesetta dedicata a San Lazzaro e a Nossa Senhora Aparecida, la patrona del Brasile, che si festeggia proprio il giorno 12, e qui è festività anche civile. Sono andato con la canoa e il piccolo motore di 15cv che abbiamo comprato, quattro ore di viaggio di cui due sotto una pioggia battente. Siamo arrivati bagnati come pulcini. Tolti i vestiti, strizzati ben bene e rimessi per asciugarli con il calore del corpo... normale per la nostra gente! Verso le 10 cominciano ad arrivare alcuni giovani portando grandi pentole con piatti, bicchieri, posate, bibite e molto cibo: è festa e c’è da mangiare con abbondanza e per tutti. Alle 11 celebriamo la Messa, ben preparata con i canti e le letture, e alla fine dico loro: “chi non fa la comunione non potrà neppure mangiare dopo...”. Tutti, con molta devozione, si avvicinano per ricevere la vita donata del Signore Gesù, il suo corpo e il suo sangue; donne, uomini, bambini, giovani, sposati o accompagnati, índios e caboclos, ragazze madri e signore ormai vedove, chi beve un po’ e chi a volte fa uso di droga e fuma, chi è onesto e chi ha già rubato o tradito... Tutti chiamati alle nozze dell’Agnello!

 C’è un senso di grande pace e la voglia di riconoscersi, forse solo per un momento, tutti fratelli e sorelle, amati e desiderosi di amare. Un grande silenzio, dopo la comunione, per ringraziare col cuore questo momento di grazia!



“Io ho un sogno...” di vedere un giorno Comunità che si vogliono bene, libere dal giudizio sempre aggressivo, capaci di compassione e animate da una speranza viva, che non viene meno neppure nei momenti più difficili della vita. Comunità che trovino, nell’unione, la forza di resistere al male e di lottare per i propri diritti e una dignità di tutti e per tutti. Senza differenze tra uomini e donne, tra giovani e anziani, tra ricchi e poveri, tra nativi e immigrati. Comunità che celebrano il Giorno del Signore, che vivono la risurrezione, che spezzano il pane e bevono all’unico calice: che nella condivisione del cibo e della mensa comune sanno riconoscere il Signore, che è venuto per servire, perché tutti abbiano vita e vita piena. Comunità che non aspettano l’arrivo del prete, ma che sono gioiose e consapevoli che per la fede del Battesimo possono e devono rendere culto al Dio della Vita, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dove il più grande è il servo di tutti. Gettiamo via il mantello, le sicurezze che ci mantengono a mendicare sulle strade della vita, facciamo un salto di libertà che ci permetta di vedere bene e di essere discepoli del Signore della vita. BUONA GIORNATA MISSIONARIA! Gabriel, con i fratelli e sorelle dell’Amazzonia.     

 

mercoledì 29 settembre 2021

In prigione, in prigione.....

 


 


Don Gabriele Burani, santo Antonio do Içá, Amazonas, 29-09-2021    

 

Edoardo Bennato, nel suo bel LP di molti anni fa su Pinocchio ( “Burattino senza fili”) cantava: “in prigione, in prigione.... e che ti serva di lezione!”.
    Visito a volte la nostra prigione in Santo Antonio do Içá e mi faccio questa domanda: la prigione serve di lezione, come cantava Bennato? Serve per imparare qualcosa di positivo?  Serve per riabilitare le persone? Così dovrebbe essere ma nella nostra attuale organizzazione temo proprio di no.

In realtà qui non abbiamo una prigione ufficiale, un luogo di detenzione organizzato, ma nella sede della Polizia Militare vengono occupate alcune stanze che sarebbero solo di passaggio, di pochi giorni, per poi passare ad una struttura maggiore. Come spesso succede le cose vanno diversamente da come sarebbero progettate e questo spazio angusto viene trasformato in luogo di detenzione stabile.    La Polizia Militare ha sede in un piccolo edificio;  entrando un tavolo con un poliziotto che riceve e scrive i dati delle eventuali denunce. Due stretti uffici per il comandante e il segretario; continuando alla fine del  corridoio, due stanze, a occhio 4m x4m, bagno compreso ( ma non riesco ad avere una idea chiara delle dimensioni). La scorsa settimana erano 38 detenuti: come fanno a starci tutti?  Semplice, sono distribuiti a strati: fissano la loro amaca a livelli differenti di altezza e quello é lo spazio personale; le stanze sono alte 4-5 metri, quindi per qualcuno lo spazio vitale é una amaca a 5 metri di altezza!

Nei mesi di maggior diffusione del Coronavirus le visite erano abolite, e i detenuti non uscivano dalla loro cella; chiusi, senza un momento per prendere un pó di sole e di aria pura, molti sviluppano malattie della pelle. Uno spazio sul corridoio munito di sbarre metalliche é poi la cella dei malati di coronavirus.

Quasi tutti sono giovani sui 20-30 anni e quasi tutti ( o tutti) con problema di droga; in genere sono in prigione per furti, traffico di droga, o violenze in famiglia. Nella città della Bahia dove abitavo erano molti gli omicidi; tutti i mesi vari omicidi. Qui no, ci sono molti furti, liti e violenze sí, ma non molti omicidi.

Quando vado, comunico brevemente davanti alle sbarre; chiedono se li posso aiutare portando materiale di igiene (sapone, dentifricio, shampoo, detersivi per lavare i vestiti, e per la pulizia della stanza), ultimamente mi hanno chiesto medicine per le malattie della pelle. Chiedo al comandante (ora é una donna) se viene regolarmente un medico o infermiere; a volte vengono se li chiamano, non in modo regolare, e i detenuti vanno in ospedale quando si presenta la necessità.

 In una delle due celle si é rotto il ventilatore, l’unico che avevano, e da settimane sono al caldo opprimente; ne ho comprato uno e qualche giorno fa sono andato per darglielo, assieme ad una piccola griglia per scaldare i panini che si era rotta nella cella accanto ma... non ho potuto darglieli perché sono in punizione! Qualcuno di loro, attraverso il soffitto é entrato nell’ufficio del comandante lasciando una certa confusione nella stanza; ma nessuno é riuscito a fuggire!   Così ora le celle sono in punizione per un certo tempo.  

Nei mesi scorsi ho regalato a tutti un vangelo; sono molto contenti quando ricevono qualcosa, anche per la lettura; i soldi per comprare il necessario dovrebbero arrivare dallo Stato, ma .... non si sa! Non sappiamo se arrivano, o più probabilmente, come qualcuno dice, i poliziotti li tengono per loro.



Molti detenuti rimangono per mesi in questa situazione, il giudice lascia marcire i poveri per lungo tempo, ma se l’avvocato lo paga, si risolve anche in pochi giorni la scarcerazione. Ed é difficile che questi ragazzi abbiano la possibilità di pagare un avvocato, sono dei poveretti.  Questa la nostra situazione, non sappiamo di quale autorità civile possiamo fidarci, sembra di vivere in un paese senza legge, o dove vale la legge del più forte/ del piú ricco. A chi fare riferimento? Non saprei.

La prigione così fatta serve di lezione? Purtroppo no; la maggioranza di loro, pochi giorni dopo la scarcerazione entra di nuovo in prigione, perché riprende subito a rubare. Un ragazzo é uscito al mattino e alla sera era di nuovo incarcerato!

Un altro giovane ben conosciuto ( per droga, furti ecc...) veniva ogni tanto a chiedere cibo, e varie volte gli abbiamo dato il pranzo; é entrato anche nelle sale parrocchiali per tentare di rubare qualcosa.... forse é lui che mi ha rubato i cellulari....  comunque quando vado a fare visita mi saluta sorridente; in pochi giorni di libertà aveva collezionato più di 20 denunce di furto.  Giorni e giorni ammassati in una cella stretta, senza fare nulla, senza attività, senza un lavoretto che li occupi, senza una lezione per imparare qualcosa.....   Certo, hanno infranto la legge, hanno commesso crimini, ed é giusto che ci sia una forma di sanzione, ma si dovrebbe anche tentare una alternativa alla identità criminosa che si sono fatti.

Il caldo é spesso opprimente, l’aria viziata, e ovviamente sono stesi sulle amache senza vestiti, solo con i pantaloncini corti.  Mi colpisce che quando vado e li invito a fare una preghiera, si alzano in piedi e tutti si mettono una maglietta in senso di rispetto; non l’ho chiesto io ma loro lo fanno spontaneamente; un loro ‘paramento liturgico’, più sensato di tanti panni inutili che sono nelle nostre chiese.  E mi colpisce che pregano il Padre Nostro a voce ben alta quasi gridando per manifestare la loro fede; mi fa pensare a come a volte le nostre comunità italiane sono così timide nel manifestare la loro fede, così paurose, o forse pigre.

Poco tempo dopo il nostro arrivo abbiamo ospitato nella casa parrocchiale un giovane uscito dalla prigione; era stato ‘beccato’ con una discreta quantità di cocaina pura, proveniente dalla Colombia ( noi qui siamo al confine Brasile- Colombia-Perù)  e che passando attraverso il Brasile sarebbe arrivata chissà dove. Lui era solo un corriere, pagato per il trasporto fino a Manaus ma è stato individuato qui a Santo Antonio e quindi messo qui in carcere. Ha avuto la scarcerazione ma deve rimanere in città fino alla conclusione del processo; lui non è del paese, la sua famiglia abita molto lontano e comunque non ha possibilità di aiutarlo; il padre, coinvolto in varie attività criminose è morto poco tempo fa. Lo abbiamo accolto, è entrato a far parte della nostra famiglia, lavora come guardia notturna per alcuni negozi della piazza centrale dove abitiamo. Riceve un compenso dai commercianti, ma non ha mai soldi, non sa gestirsi. Qualcuno ci critica per questa accoglienza, anche perché oltre a essere ex carcerato per traffico di droga, è anche un omossessuale dichiarato; comunque ci aiuta in molti lavori della casa parrocchiale e manifesta gratitudine.   Il giudice non lo ha mai chiamato finora per concludere la sua vicenda giuridica; abbiamo pensato di pagare un avvocato perché si arrivi al processo e si possa risolvere, in qualche modo, la sua posizione. Ci sembra giusto aiutarlo, abbiamo fiducia che, pur con le contraddizioni del suo carattere, possa essere rispettoso della legge e dei valori della società.

Di fronte a qualche crimine tutti gridano: in prigione, in prigione! Ma chi si preoccupa che ‘serva da lezione’?  che ci sia un tempo e un ambiente non solo per punire ma per riabilitare?

 

sabato 28 agosto 2021

“Ho desiderato ardentemente ......”



 

Gabriel Carlotti, missionario in Amazzonia. Gabriel Carlotti, missionario in Amazzonia.

 

Purtroppo il secondo viaggio di agosto non è stato possibile. Nel primo viaggio di questo mese il motore si era fermato e Burani era rientrato a traino della grande canoa dei militari di Ipiranga. Per fortuna, hanno visto la barca del prete in panne e si sono fermati per aiutare, così hanno legato la nostra barca alla loro e hanno riportato a casa Moises, Moacir e don Gabri. Subito ho chiamato il meccanico che ha smontato letteralmente il motore, scoprendo che un pezzo interno che permette la circolazione dell’olio si era crepato non compiendo più la sua funzione essenziale. Per avere il pezzo di ricambio ci sono voluti alcuni giorni perché viene di barca da Manaus, e non tutti i giorni c’è il trasporto fluviale, poi, dulcis in fundo, sollevando a braccia il motore si sono rotti i supporti di alluminio, così ci sono voluti altri giorni per saldare il tutto e lasciare pronta la base di appoggio. Forse lunedì riusciremo a rimontare il motore che poi dovrà essere allineato all’albero di trasmissione... insomma speriamo che ai primi di settembre si possa ripartire! Così questo 26° viaggio non si è mai realizzato e le nostre Comunità ci hanno aspettato inutilmente. Meno male che questo popolo è paziente e ci insegna ad aver pazienza.

 


   Pensavo alle difficoltà, allo sforzo e alla buona volontà, ma anche all’impossibilità di questo viaggio, e al desiderio frustrato di incontrare le Comunità. Alcuni sono passati qui in città e sono venuti a cercarmi:

   “ti abbiamo aspettato..., poi abbiamo pensato sia successo qualcosa... va tutto bene?”; altri sono passati per confermare il prossimo incontro: “allora ci vediamo in settembre, vieni presto che mangiamo qualcosa insieme..., abbiamo invitato i vicini per inaugurare la nostra chiesetta che finalmente è finita, l’abbiamo desiderata tanto e ci siamo impegnati, è proprio bella e siamo contenti!”.

 Così anche un viaggio che non si è mai realizzato può portare frutti di comunione e di relazione attesi e desiderati.

La realtà rimane una grande sfida, qui piano piano si riprendono le varie attività, ma le chiese sono ancora poco frequentate, la pandemia ha interrotto bruscamente una abitudine; ma anche lì da voi mi sembra che non ci sia proprio molto entusiasmo nel riprendere la vita di comunità! Allora pensavo... anche provocato dal Vangelo di questa domenica che smaschera l’ipocrisia dell’apparenza e di una superficialità che ci illude e ci priva dell’essenziale e della gioia. Pensavo a come l’ipocrisia di una liturgia formale e di relazioni molto superficiali abbiano addomesticato il Vangelo, abbiano fatto dell’annuncio straordinario della Risurrezione di Colui che ha creduto nell’amore di una vita offerta e donata, un sistema religioso chiuso in se stesso, spesso giudicante e scostante, certamente non attraente né desiderabile. Dio ci salvi da “questa” chiesa!



Al contrario, la Comunità rimane una opportunità di relazioni semplici e vere, senza giudicare nessuno perché il nostro giudice è il Signore, ma luogo per vivere la fiducia fraterna e l’abbandono fiducioso nel Signore risorto. Prima che le persone possano dire: “guardate come ci amano”, devono poter constatare: “guardate come si amano”. Non siamo cristiani per fare delle cose o obbedire a dei comandamenti, piuttosto perché crediamo e abbiamo incontrato un cammino per vivere relazioni positive e profondamente umane, perché inspirate a Colui che così ci ha voluto quando ci ha pensati e creati. Per non vivere secondo la “carne”, nell’egocentrismo e nell’egoismo, ma secondo lo “spirito”, nel servizio amoroso e nella gratuità del dono. È la qualità delle relazioni che sta in gioco. E non possiamo nasconderci che molto delle nostre relazioni dipende dalla nostra volontà, sostenuta da una scelta libera e consapevole. La vita che noi scegliamo di vivere è il frutto di ciò in cui crediamo col cuore e non solo con la ragione. È per la fede nella croce e nella risurrezione di Gesù che siamo nuove creature!

    Credo allora che “questa” chiesa sia davvero una possibilità di gioia, perché è fondata sulla fede e non solo sulle nostre capacità. Ma bisogna crederci davvero! Il frutto della libertà della fede è poi l’amore fraterno che fugge ogni ipocrisia e formalismo. Questa chiesa sarà bella e attraente e per questo missionaria, capace di annunciare la gioia e offrire un cammino di vita e di fraternità.




Benedetta pandemia che ha distrutto e fatto crollare i nostri castelli ormai vuoti e spesso diroccati, ora siamo invitati ad abitare sotto le tende dell’insicurezza e a trovare nelle mani e nel cuore dell’altro quella fiducia che ci aiuterà nel cammino di una vita alternativa, lieta di aver scelto la bellezza della sobrietà, e per questo attraente. “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli”.

 Così sarà la Chiesa di domani!

Santo Antonio do Iça, 28 agosto 2021 – memoria di Santo Agostino

Cammini di libertà e di liberazione

  "La Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". 
 Il Verbo continua a parlare nella storia e a servirsi di chi è ch...