Gabriele
Carlotti – missionário
diocesano in Amazzonia
Come vi dicevo, ho passato la notte di Natale, il 24
dicembre, a Ipiranga, avamposto militare sul confine con la Colombia, quando il
Putumaio, fiume che divide il Perù dalla Colombia, cambia nome entrando in
Brasile e si chiama “ rio Içá “. É un affluente del rio delle Amazzoni e
percorre tutta la nostra parrocchia da est a ovest. Ipiranga un tempo era un paese
abbastanza importante, proprio perché luogo di confine, oggi ha l’apparenza di una città fantasma. Fuori
dal Quartel militare sono solo case in legno, piuttosto vecchie e logorate dal
tempo e dalle abbondanti piogge. I civili sono pochi, credo non superino un
centinaio di persone, includendo vecchi e bambini. I militari oggi sono 54 e
arriveranno ad essere 70 quando il contingente sarà al completo. Tutti molto
giovani, dai 18 ai 24 anni, molti già con moglie e figli. Essendo un luogo
speciale, di frontiera e in mezzo alla foresta, rimangono per almeno due anni e
hanno diritto a portarsi la famiglia. Quindi molte case disabitate e decadenti
sono affittate ai militari e ai loro familiari. La chiesetta di Santo Espedito,
patrono delle forze armate, oggi non esiste più, dicono fosse una chiesa grande
e bella, con due torri e anche le campane, poi l’infiltrazione di acqua nel tetto
e l’abbandono hanno provocato il crollo. È rimasto solo il pavimento in ceramica
che oggi serve da garage per i macchinari militari. Nel corso degli ultimi anni
è apparsa una chiesa evangelica dell’Assemblea di Dio alla quale oggi
partecipano la maggioranza degli abitanti, una volta tutti cattolici. Anche
diversi militari, provenienti dal sud del Brasile, sono evangelici. Il
Comandante dei militari ha parlato con il pastore che abita a Ipiranga (i
pastori evangelici sono preparati con sei mesi di corso accelerato e hanno
famiglia, molto diverso da un prete cattolico che, oltre alla questione del
celibato, deve sobbarcarsi otto anni di seminario e di studi filosofici e
teologici... quasi anacronistico per un indigeno), fiducioso del mio parere
favorevole, per fare un culto ecumenico, tutti insieme per il Natale, ma la
risposta è stata chiaramente negativa. Anzi neppure i militari evangelici hanno
partecipato alla confraternizzazione offerta dopo la conclusione della Messa e
del Culto.
É davvero difficile costruire ponti quando si sono alzati
muri di contrapposizione! Eppure, il vangelo è
chiaro: non ci sono più stranieri e ospiti, uomini e donne, schiavi o liberi,
italiani o africani, bianchi o neri, cattolici o evangelici... ma tutti siamo
uno in Cristo Gesù! Questa parola ci libera e ci rende capaci di
fraternità... quando sapremo spogliarci della nostra arroganza e accogliere il
natale di quel bambino nato per noi, nato per tutti?
Normalmente celebriamo la messa una volta al mese
nella “toca da onça” (tana della pantera), ma questo natale è stato
diverso. Avevo chiesto un pezzo di terra per costruire una capanna in legno che
servisse come luogo d’incontro per la comunità. I militari ci hanno offerto un
vecchio deposito inutilizzato, sepolto in mezzo alle case e quasi diroccato, ma
con le pareti ancora solide. Abbiamo accettato e si è formata una piccola
equipe per ristrutturare. Ho inviato le lamiere per il tetto e loro si sono
impegnati ad andare in foresta per incontrare le travi in legno... arrivo il 24
e vado diretto nella “toca da onça” per preparare per la messa di Natale, c’è
la musica molto alta e tutto è pronto per la confraternizzazione ...
“padre, celebriamo la messa nella nostra chiesetta,
siamo riusciti a coprire e abbiamo preparato là, abbiamo anche messo una lampada
provvisoria ... “.
Quando arrivo mi
si allarga il cuore. Una fogna ancora aperta passa proprio davanti alla porta, o
meglio, al buco nella parete per entrare; non c’è niente, solo pareti sporche
coperte con alcuni drappi improvvisati con vecchie coperte, un tavolino e alcune
seggiole. Sorrido, preparo un piccolo altare con le immagini di Nossa Senhora
Aparecida e Santo Expedito, patroni di Ipiranga, accendo una candela su una
pietra improvvisata e iniziamo la celebrazione. Mi sembrava di essere a
Betlemme, o in tante stalle del nostro appennino. Mi sentivo invitato da
Francesco di Assisi a partecipare del suo primo presepio. Così, tra due giovani
militari che suonavano la chitarra, una mamma che allattava il suo bambino,
alcune anziane signore che finalmente potevano ‘assistere’ alla Messa in chiesa
e non nella discoteca – toca da onça, alcuni giovani che aiutavano a cantare,
con tre panettoni che avevo portato per i bambini, ma che sono serviti perché
tutti potessero averne un pezzetto, ancora un
bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio, il suo nome è Salvatore
potente, principe della pace.
Alcuni avevano criticato la scelta di accettare questa
soluzione per la nostra chiesetta, in verità molto piccola e che la notte di
Natale vedeva addirittura persone in piedi contro le pareti ancora sporche;
anch’io, non lo nego, ero titubante perché è davvero nascosta in mezzo alle
case, bisogna ‘sbatterci contro’ per vederla, mentre le chiese anche degli
evangelici sono sempre in luoghi alti o al centro delle piazze, come nella
città di Santo Antonio. Ma quella notte, una luce ci ha avvolti e tutto è
diventato chiaro. Dio abita in mezzo al suo popolo, tra i suoi figli,
nelle nostre case. Ha fatto della nostra carne la sua dimora. Non ha bisogno di un tempio e dei suoi
ornamenti sacri, gli basta un cuore umile e capace di amare. Non vuole essere
visto e riconosciuto nella sua sacralità e onnipotenza, ma vuole essere
incontrato nel volto e nella persona di tanti fratelli e sorelle spesso
sfigurati dall’ingiustizia, frutto del peccato di egoismo (di consumismo direbbe
papa Francesco). È venuto a liberarci e salvarci da noi stessi per renderci
capaci di essere per gli altri. Solo l’amore che esce da se stesso cresce e non
soffoca.
Credo che il Messia, Figlio di Dio, Gesù non
sia venuto a fondare un’altra religione (ce ne sono già troppe!), neppure il
cristianesimo, spesso frutto del bisogno innato di riconoscenza e affermazione. Il
Signore, che ha vinto sulla morte della contrapposizione e della divisione, ha
schiarito la notte dell’io incurante del fratello e della sorella, ci ha
liberato e resi liberi di amare. Credo che il Risorto, figlio di Maria di
Nazaret sia venuto per aiutare l’umanità a ritrovare se stessa e la gioia della
bellezza della Vita.
Questo tempo di “pandemia” ha smascherato, proprio
imponendoci di usare una maschera, ha smascherato la falsità apparente della
religione, l’interesse nascosto della politica, i blocchi di potere della
confederazione degli stati uniti d’America, della Russia e dell’Europa; la
violenza dell’imposizione ebraica e araba, e la sete incontenibile di vita
della madre Africa.
È ancora Natale, Dio si sottrae a ogni manipolazione, è
l’Emmanuele, Dio-con-noi, con il popolo, con la gente, con gli ultimi a favore
della vita di tutti. Non perdiamo questo Natale pandemico che ci fa sentire la
mancanza di un abbraccio, di un incontro, dell’altro... non delle cose che
consumiamo! Questo Natale che ci invita ad essere un segno nuovo, accogliente,
speranzoso, umile, sorridente, capace di solidarietà e di perdono, onesto e
fraterno: la chiesa di Gesù di Nazaret, figlio di una ragazza madre e di cui,
come per tanti, Dio è l’unico Padre! È ancora Natale... grazie a Dio!
Toccante,vissuto raccontato così bene che arriva dritto ai cuori
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